IL PROIEZIONISTA di Abe Kazushige

IL COLOPHON
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[Calabuig]

Non soltanto la voce di Haruki Murakami giunge dalle arcaico-tecnologiche lande nipponiche. Non soltanto le mutazioni ipertofiche e genetiche di Akira o l’erotismo pieno di Æon Flux.
L’editore Calabuig, nel suo viaggio tra i generi e gli autori della letteratura mondiale, fa pervenire ai lettori la gradita scoperta di questo Il proiezionista di Abe Kazushige che è oggi riconosciuto come una delle voci più forti della nuova narrativa giapponese. Nato nel 1968 nella cittadina di Jinmachi, nel nord del Giappone, a diciassette anni Kazushige si trasferisce a Tokyo, dove frequenta la Scuola di cinema e si immerge nella cultura underground, alternativa e sperimentale del quartiere simbolo della città, Shibuya. Nei suoi romanzi si alternano claustrofobiche ambientazioni urbane, in una Tokyo lisergicamente trasfigurata in scenario per manga e anime, una Tokyo sfrenata e straordinaria, terreno di caccia ideale per un narratore come Kazushige, ipnoticamente ammaliato dalla modernità (modernista e postmoderna), e storie la cui genesi invece si sviluppa nel paesaggio rurale della sua infanzia, in una sorta di contrapposizione territoriale e spaziotemporale tra tecnologia e arcaicità .
Quella de Il proiezionista è una Tokio violenta, di una violenza efferata, sanguinaria, sadicamente gratuita, ma al contempo accettata, come il seme genetico di una società estrema che ancora fa i conti con i fantasmi di un militarismo nazionalista alla Yukio Mishima, erede della sottile e spietata società feudale di mikado divinizzati e samurai spietati, seme che oggi è intrinsecamente contenuto nella postmoderna dedizione al massacro di sette millenariste come la Aum Shinrikyo.
Feroci affiliati della yakuza dalle teste rasate e boss mafiosi che coniugano omicidio e affari, ragazzine dedite alla mercificazione del proprio corpo, tra prostituzione dissimulata, set di pornografia ostentata in ogni sua più curiosa declinazione, love hotels e vendita di mutandine ancora intrise dell’afrore vaginale, sale cinematografiche nella cui oscurità cercano di rendersi irreperibili ex estremisti di destra e bande di liceali minorenni intenti allo stupro collettivo e alla sopraffazione.
Ecco la Tokio di Abe Kazushige, scenografia mirabilmente tarantiniana, con vie e centri commerciali a metà strada tra la infinita periferia losangelina, con qualche incursione alla metropoli stile Blade Runner, e le minuscole case di legno di un Sol Levante che, dal bagliore mortale delle atomiche dell’agosto ’45, è da allora costretto a fare i conti con la fusione di ataviche ossessioni e devices ultramoderni, protesi tecnologiche che hanno assimilato i corpi e le menti così come, nell’universo di Star Trek i Borg assimilano ogni civiltà che incontrano (e ogni resistenza è inutile… ça va sans dire).
Kazushige costruisce un alter ego narrativo, Onuma, che, onorando come l’autore la propria passione viscerale per il cinema, trova lavoro come proiezionista in un piccolo e periferico cinematografo di Tokyo (le piccole sale di proiezione sono sempre un must nello spietato delirio dell’orrore, basti pensare alla sala in cui si proietta il film satanico La fin absolue du monde nel carpenteriano Cigarette burns o al buio del cinema in cui definitivamente impazzisce il protagonista del sempre carpenteriano Il seme della follia). Un incidente imprevisto catapulta Onuma in un turbinio di avventure bislacche e tuttavia intrise dalla agghiacciante e quasi palpabile presenza di una violenza che, come una dea antropofaga sumera, si nutre delle anime di uomini della yakuza, di ragazzine troppo adulte, di falsi amici subito pronti a commettere efferatezze innominabili e di studenti adolescenti totalmente assisi nelle loro più sadiche perversioni. Muovendosi tra rimandi alla cultura pop e potenti scene di desolazione urbana, Abe Kazushige scolpisce la figura di un protagonista indecifrabile, attratto dalla violenza e ossessionato dalle canzoni di Julio Iglesias; esperto di lotta ma spesso impacciato nelle situazioni di pericolo. E ne esplora i sottili disagi in una storia dagli eccessi quasi onirici.
Siamo lontanissimi dalla patinata e lussureggiante parola di Murakami Haruki, così come siamo lontanissimi dalla fallica simbologia freudiana di manga e anime, e lo siamo a ragion veduta perché Il proiezionista è qualcosa di assolutamente nuovo nel panorama nipponico che osserviamo da lontano. Abe Kazushige ha la capacità di creare una nuova narrazione in cui banalità e orrore, stupefazione e accettazione, si uniscono andando ben oltre ciò che siamo abituati a pensare del Giappone. Tra le asettiche vie di questa metropoli, al contempo bladerunneriana e primaverile, improvvisamente si appalesa tutto un mondo che erroneamente ci illudevamo di conoscere.

Angelo Ricci

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE