ITALIA — UNA STORIA D’AMORE di Piero Meldini

IL COLOPHON
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[Mondadori]

Prendete un paracadute salite su una macchina del tempo e potrete lanciarvi, insieme a Meldini, su piazza del Nettuno a Bologna, nel bel mezzo dei moti irredentisti dell’aprile 1915.

È al tavolino di un caffè sotto i portici che Achille ormai ultrasessantenne racconta a un suo amico la storia dell’Amore della sua vita: la sola donna “di cui conservi un ricordo indelebile e geloso è quella con cui, quarant’anni, fa passai un giorno e una notte.”
Il racconto è duplice perché da un lato c’è la Storia d’Amore, scaturita da un incontro affatto fortuito, avvenuto su una carrozza ferroviaria, dall’altro c’è il presente dei due amici che assistono alle manifestazioni per l’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale.
È una Rimini già avviata a diventare importante centro balneare, che, intorno al 1875, fa da sfondo al fiorire di quest’amore fondamentale nella vita di Achille e della sua bella e misteriosa compagna di viaggio che condividerà con lui momenti assolutamente indelebili: “Pensavo, allora, che un giorno potesse valere un secolo; e così è stato.” Rimini con il suo mare dal colore mutevole e il suo Kursaal, stabilimento balneare, fulcro della vita dei villeggianti e dei borghesi locali, che l’autore descrive magistralmente. Rimini che è all’avanguardia in fatto di libertà di costumi e che, per bocca del direttore del Kursaal, predica la salubrità dei bagni di mare e il diritto dei giovani di sposarsi per amore e non per convenienza, come invece si usava allora. Rimini ancora accogliente, che lascia i due amanti prendersi e lasciarsi di fronte a un mare che in ogni ora del giorno è testimone del loro amore.

Il racconto è struggente e insieme delicato, fatto di ombrellini da sole, di gonne fruscianti, cilindri e frac, ma anche di corpi nudi e trecce sciolte nella penombra della luce lunare.

Ma il libro è anche una riflessione sulla gioventù e sulla morte: la gioventù passata dei due amici seduti al tavolino del caffè, quella presente dei giovani interventisti che risvegliano nel protagonista aspirazioni antiche “all’eroismo, al sacrificio di sé, alla gloria. Ardeva in loro il suo stesso fuoco (…) Erano altrettanto prodighi della vita. Altrettanto prodighi a farne sperpero”. Ma in fondo questa comunanza tra i giovani e l’attempato protagonista produce, in un lampo di coscienza, la consapevolezza che il tempo passa, che la vita non si ferma e che la fine è lì dietro l’angolo; nonostante l’avanzare festoso della primavera “quel giorno Achille sentì il gelo dell’inverno penetrargli nelle ossa, e provò un desiderio rabbioso, disperato e impotente di risalire la china del tempo.”. Un bisogno vero, profondo, irrealizzabile e a suo modo universale che solo nel ricordo e nel racconto trova una ragione possibile.

Marina Carubia

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE