LA MEMORIA È IL TEMPIO DI OGNI ESULE, DI OGNI VIAGGIATORE

IL COLOPHON
IL COLOPHON

--

Intervista allo scrittore Marino Magliani di Angelo Ricci

Marino Magliani è nato in Val Prino, nell’entroterra di Imperia, nel 1960. Ha vissuto per anni tra Spagna e America Latina e alla fine del secolo scorso si è stabilito in Olanda . È scrittore e traduttore. Vive tra la Liguria e l’Olanda.
Il suo sito è www.marinomagliani.com

Tu vivi la tua vita di scrittore in due luoghi di confine tra la terra e il mare; due mari, il Mediterraneo e il Mare del Nord; due terre, la Liguria e l’Olanda. Questa bilocazione, consentimi il termine, quanto influenza il tuo essere scrittore? Quanta Liguria c’è nel tuo essere olandese, se pur d’adozione, e quanta Olanda c’è nel tuo essere ligure?

Non mi rendo più conto se quando dico: torno a casa, intendo vado in Olanda o torno in Liguria. Questo fino a una decina di anni fa non succedeva. Tornare era tornare in Italia. Ecco, per rispondere alla tua domanda: c’è molta Liguria nella mia Olanda e c’è molta Olanda nella Liguria che ritrovo. C’è confusione insomma, e forse la scrittura in qualche modo riesce a mettere ordine, a governare la memoria.

Una curiosità che può interessare i nostri lettori. Da dove stai rispondendo a questa intervista?

In questo momento sono in Olanda, mese di marzo, verso la fine, epoca in cui ho una voglia matta di riprendermi le mie terrazze, le verticalità, gli odori della campagna, farmi scaldare dal sole.

Tu, oltre a essere scrittore, sei anche traduttore. Come senti, dal punto di vista di questo tuo ruolo, il fluire della lingua italiana? In che forme si adatta a essere soggetto e oggetto di traduzione?

Sono traduttore dallo spagnolo, amo la lingua spagnola e la credo una lingua completa, a volte scopro in spagnolo soluzioni che noi in italiano ci sogniamo. Da questo punto di vista, forse, essere traduttore, dà una mano a scrivere in prosa nella madrelingua.

Olanda e Liguria sono, a loro modo, due terre di confine. Penso, per esempio, a come questa contaminazione di esperienze, di parlati, di sentimenti, di odi e amori, condivisi nel bene come nel male, abbia influenzato l’opera di uno scrittore, anch’egli di origini liguri, come Francesco Biamonti. Come ti poni di fronte a questa contaminazione di esperienze, di parole, di idiomi, di sentimenti. Come ne esce la tua scrittura?

Se penso a una terra di confine penso di più alla Liguria che all’Olanda. In Olanda le frontiere le segna l’acqua, con le sue differenti categorie di salinità, l’acqua salata, quella salmastra, quella dolce. In Liguria c’è entroterra e riviera, Francia e Italia, addirittura Occitania e Terra Brigasca. Biamonti quelle frontiere le ha vissute (lui abitava molto più a ridosso di me ai confini) e per viverle non le ha mai lasciate.

C’è spesso, in ciò che scrivi, una sorta di autodafé con il ricordo, con la memoria, il ricordo e la memoria dei tuoi personaggi in relazione a ciò che non può più essere mutato, a ciò che irrimediabilmente cambia le vite e le anime. Un ricordo e una memoria fatti anche di rimpianti, di parole che non si è riusciti a dire, di sentimenti che non si è voluto, o potuto, esprimere. Quanto contano per te, come scrittore, il ricordo, la memoria?

Per ogni esule, per ogni viaggiatore, la memoria diventa un tempio. Sono un narratore che ama molto lavorare sul tempo. Il passo del viaggiatore che è nel passato e nello stesso tempo l’altro passo che sta nel presente.

Tu sei stato autore della versione in graphic novel di Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi. Un giorno mi accennasti ai vostri reciproci dialoghi e scambi di idee notturni via e-mail. Ce ne vuoi parlare?

Con Tabucchi ci conoscemmo a Sanremo, durante un evento, e diventammo amici, ci scrivevamo spesso, raccontandoci i nostri luoghi di esilio. Sono molto contento di avere sceneggiato Sostiene Pereira per la graphic novel coi disegni di Marco D’Aponte.

Dal tuo punto di osservazione così particolare, tra Olanda e Liguria, un punto di osservazione che ricomprende in modo più che simbolico tutto il Vecchio Continente, come vedi la letteratura italiana? Chi scrive nella nostra lingua trova difficoltà nell’essere pubblicato in Europa? Viene letto? Come ci considerano gli editori europei?

La letteratura italiana è letta, anche se pochissimo sostenuta dalle istituzioni italiane. Un esempio, io traduco dallo spagnolo, soprattutto argentini, e il ministero degli esteri argentino aiuta le case che vogliono tradurre e pubblicare letteratura argentina. Ci sono requisiti di qualità, naturalmente, ma le opere vengono tradotte e conosciute. Eppure, economicamente, non credo che l’Argentina sia messa meglio di noi…

Da tempo ormai la critica letteraria si è spostata sul web. Alle terze pagine dei quotidiani si sono sostituiti i blog letterari o le opinioni dei lettori sparse sui social network, da Facebook a Twitter, passando per quelli più legati ai libri come aNobii o Goodreads. Tu stesso scrivi su La poesia e lo spirito, uno dei più importanti litblog italiani. Secondo te oggi per uno scrittore è diventato più semplice farsi conoscere, grazie al web 2.0, o paradossalmente, visto l’infinito rumore di fondo della rete, più difficile?

Non ho molta confidenza coi social network, e anche come redattore de La poesia e lo spirito, devo dire che i miei testi vengono pubblicati, ma trovo la rete importante, un’officina, una palestra, e alcuni blog, come Nazione indiana, sono molto eleganti. Quanto all’aiuto, ogni forma di conoscenza e visibilità, se non abusata, dà una mano.

Qual è il tuo modus operandi? Dove scrivi? Usi il computer o scrivi a mano? Hai un particolare momento del giorno (o della notte) in cui preferisci scrivere? Quando senti che una tua opera è pronta per essere pubblicata?

Uso il computer, lavoro il mattino e poi se posso faccio un po’ di ginnastica o una passeggiata e nel tardo pomeriggio torno a lavorare un paio d’ore. In Italia non scrivo, ma dedico qualche ora quotidiana alla traduzione.

Hai una grande esperienza come autore. Come vivi l’attesa della pubblicazione e, successivamente, come organizzi la promozione delle tue opere?

Trascorro due o tre mesi all’anno in Italia, a volte anche quattro, e allora quei periodi si riempiono di eventi, anche troppi. Cerco di dare una mano ai miei libri, so quanto è difficile guadagnare qualche lettore.

Che cosa stai leggendo in questo momento?

Il pensatore solitario di Ermanno Cavazzoni, Las ideas puras di Pablo d’Ors, Temporale a settembre di Friedo Lampe.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Vorrei tradurre Las ideas puras con Riccardo Ferrazzi, un amico col quale ci si diverte a esplorare testi e tradurli.

Nel ringraziarti ti pongo un’ultima domanda. Cosa ti senti di consigliare a chi ha il fatidico libro nel cassetto?

Di crederci, di trafficarci, di sognarci, di salvarsi attraverso la scrittura, e di non aspettarsi molto. Di correggere e continuare a farlo. Di non spiegare la vita, di non raccontarla, la vita non si racconta, raccontava Tabucchi in Tristano muore, la vita si vive.

--

--

IL COLOPHON
IL COLOPHON

RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE