LA VIA DEI RE di André Malraux

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[Adelphi]

Due sono le idee della Francia che si sono materializzate alla comparsa dello sciamano dalla croce uncinata. Anzi, più che idee, due e vere proprie patrie dello spirito, due luoghi dell’anima. Una sorta di partenogenesi psichica ancor prima che politica ha assembrato da un lato la Francia intesa come unione di piccole comunità, industriose, timorate di dio e, perché no, antisemite, sotto l’ala protettiva del vecchio eroe di Verdun, il maresciallo Pétain, anziano militare che cerca di sopire, sotto una coltre di apparente e tranquilla neutralità politica, l’inevitabile amplesso con lo sciamano dalla croce uncinata, dall’altra la Francia che va in momentaneo esilio a Londra per seguire il giovane generale de Gaulle, in attesa di organizzare la resistenza armata contro lo sciamano.
I quattro anni della coatta vicinanza franco-germanica hanno profondamente diviso la Francia. Se la resistenza gaullista è stata vincitrice non si può affermare che la Francia filonazista o semplicemente accondiscendente fosse minoritaria. Il collaborazionismo ha avuto tra le sue file non soltanto banditi da strada e avventurieri sadici ma spesso anche intellettuali e artisti di grande spessore e non sempre di matrice politica filonazista ma, il più delle volte, segnati invece da uno spirito anarchico, da una volontà più che di alleanza con lo sciamano di nichilistica dissoluzione suicidaria che potesse annullare loro stessi e il mondo, sciamano compreso.
Delle due idee della Francia se Luis-Ferdinand Céline, nella sua geniale e tragica complessità, è il paradigma più estremo dell’una, André Malraux lo è senz’altro dell’altra.
Uomo dalla vita complessa, guascone, ribelle, fortemente antifascista e antinazista e riluttante tuttavia a riconoscersi nell’ideologia comunista, combattente con le Brigate Internazionali nella Guerra civile spagnola e poi esponente di spicco della resistenza negli anni dell’occupazione tedesca, André Malraux diventa uno dei fedelissimi di de Gaulle ricoprendo, dopo la guerra, anche il ruolo di ministro nei suoi governi e schierandosi poi con forza nel 1968 contro il maggio francese. Negli anni Venti del Ventesimo secolo rimane invischiato e successivamente condannato per una storia di trafugazioni di reperti archeologici dall’Indocina francese, rivenduti poi a collezionisti d’arte senza scrupoli. A seguito di una petizione in suo favore firmata dai più noti intellettuali francesi dell’epoca la condanna a tre anni di carcere gli viene ridotta.
Nel 1930 vede la luce il suo romanzo La Via dei Re. André Malraux è un grande oratore, uno scrittore ai limiti della grafomania e la parola scritta diviene strumento per riflettere se stesso sullo specchio di una narrazione che contamina la realtà e ed è da questa comunque contaminata.
Il nocciolo de La Via dei Re è certamente costituito dalle sue vicende penali della metà degli anni Venti, ma è anche un’occasione quasi precognitiva di rappresentazione narrativa dell’osmosi tra un anima e il mondo che la circonda e dei prodromi demoniaci che in esso si celano.
La forma del romanzo permette a Malraux di andare oltre la sua personalissima vicenda, creando una trama complessa come complesso è il durissimo confronto tra le ideologie del Novecento, oscura come oscuro è l’indugio interiore di chi, immerso in queste ideologie, non comprende più se il proprio ruolo è di carnefice o di vittima, soffocante come soffocante può essere l’umidità delle penisole asiatiche.
Giovani di belle speranze non ancora trafitte dalle disillusioni, avventurieri senza scrupoli che vivono a mezza strada tra il crimine e il complotto politico, un erotismo claustrofobico in cui ancora una volta il sesso è la morte sono l’uno lo specchio dell’altra.
Gli echi conradiani sono fortissimi; lo spirito vulnerato, morente e tuttavia satanicamente malvagio di Kurtz aleggia su tutta la trama e non si può non citare il céliniano Viaggio al termine della notte che esce sì due anni dopo La Via dei Re ma, a maggior ragione, dimostra il comune sentire quasi borgesiano rappresentato dall’eternità di storie che previvono rispetto ai loro autori. L’Indocina di Malraux e l’Africa di Céline sono entrambe colonie francesi, quelle stesse colonie che al momento della sconfitta francese del 1940 non cercano la riscossa seguendo de Gaulle ma rimangono pedissequamente fedeli al regime filonazista di Vichy e del maresciallo Pétain.
C’è un cuore di tenebra inesplorato che vive tuttora nelle profondità abissali e inquietanti delle viscere di questa Europa che si è appena affacciata al Terzo millennio. André Malraux è uno dei pochi che l’hanno osservato, riuscendo nel compito sovrumano di non esserne inghiottiti.

Angelo Ricci

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE