ODISSEA: IL POEMA VERSO CASA

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Il tema del ritorno, un mito attuale di Sanzia Milesi

In questo viaggio che è la vita terrena — a cui chi crede nella reincarnazione, in un certo senso “torna” di continuo — il nostro tempo non può essere limitato al tirar dritto di una retta lineare e finita, dalla nascita alla morte. Può bensì aprirsi, con moto circolare e infinito, al tema del ritorno. Quella traiettoria che nel mondo ci vede, un indefinito numero di volte, sempre uguali eppure ogni volta diversi, accrescerci di esperienze, incontri e insegnamenti. Usciamo di casa e rincasiamo dal lavoro la sera. Andiamo in vacanza e torniamo alla quotidianità feriale. Espatriamo e manteniamo un suolo patrio. Breve o lungo che sia il nostro andare, nello spazio come anche nel tempo, è previsto un ritorno. Il ritorno a un equilibrio — narrativo, emozionale, fisico o chimico — così come il “più semplice” ritorno a casa.
Tutto ciò si dispiega, in forma di poema epico, in un caposaldo della letteratura di viaggio noto a tutti con il nome di Odissea. Il mito di Ulisse, narrato dal poeta Omero, è questo. La peregrinazione e l’avventura, così come la prova, la ricerca di sé, l’esilio e il ricongiungimento che passano anche per la solitudine e la lacerazione, riportando a casa l’uomo diviso, l’eroe. Un viaggio verso l’unitarietà del proprio essere, dove si susseguono i cambiamenti, ci si trova e ci si perde, si incontra e si lascia. Dove ci si allontana e ci si riavvicina: territorio, affetti, identità divengono trampolini e al contempo mete.
Mi permetto una parentesi, che esce dall’epica e subito incontra la cosiddetta narrativa per l’infanzia e per ragazzi. Si pensi, ad esempio, anche al percorso di crescita e di maturazione di Alice (Alice’s Adventures in Wonderland di Lewis Carroll, 1865) o di Peter Pan (Peter Pan in Kensington Gardens di James Matthew Barrie, 1906). Entrambi prendono le distanze dal loro vissuto quotidiano, esperiscono avventure “fantastiche” e tendono al fare (o non fare) ritorno alla “realtà” iniziale. Ma la medesima ciclicità e tensione — quella partitura “favolistica” analizzata da Propp, Levi-Strauss o Todorov che, con gli opportuni distinguo, vede svilupparsi una sequenza logica che parte da uno stato di quiete, su cui interviene un elemento di rottura, che porta al viaggio per ristabilire un ritorno alla quiete — la possiamo leggere all’interno dell’Odissea così come, in punta di piedi, nelle tragiche biografie dei deportati (Se questo è un uomo di Primo Levi) e degli ebrei (con Joseph Roth e l’analisi che ne porta Claudio Magris in Lontano da dove, saggio del 1989 sul tema degli esuli), nei romanzi partigiani (La ragazza di Bube di Carlo Cassola) o dei migranti (Il ritorno di Hisham Matar). Tanta parte della nostra letteratura, dei più vari generi, è toccata dalle corde del ritorno.
Ma torniamo appunto all’Odissea. Dopo averlo incontrato nell’Iliade, qui ritroviamo l’acheo Ulisse: in greco Odisseo, che ha la stessa radice etimologica di οδός che significa “viaggio”, come anche di ουδείς che significa “nessuno” (ma poi magari alla fine qualcuno diventa). L’uomo dal “multiforme ingegno”, originario di Itaca, è alle prese con il rientro in patria, una volta terminata la guerra di Troia. E proprio all’interno dei Nostoi (Nόστοι ossia i “ritorni”) si pone questo racconto che lo vedrà attraversare il Peloponneso, le isole ioniche, il Mediterraneo, Sicilia, Eolie e Corfù — e a detta di alcuni anche stretto di Gibilterra e Mar Baltico — per far ritorno a casa e ricongiungersi alla moglie Penelope, al figlio Telemaco, nonché al padre Laerte. Tutto questo come lieto fine dopo le varie peripezie: l’inganno e la fuga dalla grotta del gigante Polifemo, l’ospitalità di Eolo re dei Venti, una parte dell’equipaggio cannibalizzato dai Lestrigoni e la restante trasformata in maiali sull’isola della maga Circe (di cui restò amante per un anno intero), il richiamo delle Sirene, il mostro a più teste Scilla e il gorgo di Cariddi, l’arrivo in Trinacria e il sacrilegio al dio del Sole, quindi i sette anni di prigionia dalla ninfa Calipso e il temporaneo approdo all’isola dei Feaci da Nausicaa. Tornato il suo stesso figlio Telemaco che era in mare per cercarlo, ecco dunque l’happy ending con tanto di epifania finale, dove il travestimento (o il cambiamento?) è tale che a riconoscerlo sotto mentite spoglie non è che il cane (e poi la vecchia nutrice, grazia a una cicatrice al ginocchio). E solo dopo aver liberato la casa dai Proci e dai traditori, si ricongiunge alla moglie, che vuole descritto il loro talamo nuziale, da lui stesso costruito per il matrimonio, per riconoscerlo (com’è l’indomani col padre Laerte, con il racconto del frutteto che egli gli aveva donato). Salvato dalla dea Atena rispetto al desiderio di vendetta del popolo, che lo addita causa di tante vite perse invano, il poema può chiudersi nel lieto fine.
Da allora, certo è che Ulisse, di cantori del suo mito ne ha ispirati tanti. Da coloro che, dichiaratamente vi han fatto ricorso, a coloro che ne hanno assorbito e rielaborato la suggestione. Ad esempio, sin dal titolo, come anche nella corrispondenza dei protagonisti e nella suddivisione degli episodi (che hanno i nomi dei personaggi incontrati dall’eroe), l’Ulisse di James Joyce, uno tra i testi più noti della letteratura moderna, che consegna ai lettori le avventure di Leopold Bloom, nella Dublino dei primi anni del Novecento, tra allucinazioni e flussi di coscienza. Ma così è anche per il viaggio di Enea da Troia all’Italia nell’Eneide di Virgilio, le Metamorfosi di Ovidio o Odusia di Livio Andronico. Dante che nella Divina Commedia pone Ulisse all’Inferno additando la sua superbia contro gli Dei, passando a Luciano di Samosata che descrive ne’ La storia vera il suo viaggio immaginario verso la Luna, per finire ad alcuni racconti di Sinbad il marinaio ne’ Le mille e una notte. E ancora altri autori meno noti — di cui rende notizia wikipedia — come Nikos Kazantzakis o Alfred Tennyson; la saga di genere fantasy scritta da Rick Riordan, Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo, cinque libri a tema mitologico ma ambientazione made in USA e Cold Mountain di Charles Frazier sul ritorno a casa di un disertore dell’esercito (da cui l’omonimo film). Riletta e riscritta, l’Odissea ha permesso, sul finire degli anni Venti, al francese Jean Giono di raccontarla come se a parlare fosse l’aedo Odisseo a un suo pubblico (Nascita dell’Odissea) così come, a fine anni Novanta, ha consentito alla canadese Margaret Atwood di narrarla dal punto di vista della moglie in attesa del rientro del proprio uomo (Penelopeide), analogamente a quanto fatto in Italia da Luigi Malerba (Itaca per sempre), che ha affidato il racconto alle voci dei due sposi, Ulisse e Penelope. L’Odissea ha poi vestito i panni del genere di fantascienza, in Space Chantley di Lafferty e Negative Minus di Fanthorpe (con tanto di nomi dei personaggi scritti al contrario), sino ad essere adattata per un pubblico di adolescenti dall’australiana Sulari Gentill (Chasing Odysseus) o, aver preso la voce di Odisseo con l’italiano Valerio Massimo Manfredi per diventar trilogia (Il mio nome è Nessuno). Poesie comprese. Da Gabriele D’Annunzio, che si immagina a tu per tu con l’eroe (L’incontro di Ulisse nella raccolta Maia) a Guido Gozzano, che rilegge l’opera in chiave borghese (L’ipotesi in Poesie sparse), per finire più in generale con il mito del ritorno in Ugo Foscolo (con “Nè più mai toccherò le sacre sponde” nei sonetti A Zacinto) oppure con Giovanni Pascoli, che ipotizza per Ulisse addirittura una nuova partenza (L’ultimo viaggio dai Poemi conviviali).
Come scrisse il poeta e giornalista greco Kostantin Kavafis: “(…) Sempre devi avere in mente Itaca, raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada, senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo sulla strada: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare”.

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE