PIEDE DI PORCO

IL COLOPHON
IL COLOPHON

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racconto di Elettra Bedon

Quando Eglia abitava nella casa di pietra, Piede di porco viveva al piano superiore. Tardi nella notte, ogni notte, lo sentiva rientrare. Saliva la scala esterna pesantemente, ansimando, accompagnato dallo scalpiccio quasi impercettibile della sua compagna del momento. Si sentiva il tono grave e profondo della voce di lui, e le risposte di lei sembravano essere unicamente delle cascatelle di riso, una variazione di note più e meno acute: il loro colloquio era un duetto tra un clarino e un trombone. Una volta in casa, ancora per un po’ si sentiva il tomp tomp tomp del suo passo.
Per un certo periodo doveva aver ospitato un animale esotico, non si riuscì a capire quale potesse essere. Non lo si sentiva assolutamente muoversi; solamente, a lunghi intervalli, si sentiva un suono rauco e gutturale che faceva pensare a un coguaro, a una pantera. Al mattino presto, però, si sentiva lo sciacquio di acqua smossa in un grande contenitore: avrebbe potuto essere una foca? Poi una notte Piede di porco passò con altra gente, in silenzio, ed Eglia sentì un rumore metallico che le fece pensare a una gabbia di ferro. Dopo di allora non ci fu più alcun segno dell’animale.
Piede di porco non era molto alto; i capelli castani gli scendevano ai lati del viso largo e gli sfioravano le spalle. Le sue ragazze sembravano sempre la stessa ragazza, anche se il colore della pelle, a volte, era diverso. Piccole e snelle, con i capelli lunghi (lisci sulle spalle, o raccolti in grossa treccia sulla nuca, o arricciati e gonfiati intorno alla testa a nascondere quasi il viso), con la stessa risatina intermittente che a sentirla nel buio fa pensare alle luci di una festa in giardino, alla ragazza che gira su se stessa, la testa reclinata all’indietro, la veste vaporosa che si avvolge morbidamente alle gambe, le braccia aperte e abbandonate che seguono l’ondeggiare del corpo del vestito e dei capelli, un bicchiere vuoto in mano, gli occhi chiusi, la bocca semiaperta, e non sai bene se il suono che odi è un riso o un singhiozzo.
Piede di porco arrancava per tutta la giornata dentro e fuori da un camioncino giallo con la scritta in azzurro, dentro e fuori da trattorie, ristoranti, bar, ovunque ci fosse uno stanzino con un lavabo accanto al quale inserire il cilindro con un asciugamani candido, portandosi via quello usato.
Una notte la ragazza di turno non salì con lui ma arrivò più tardi ridacchiando e parlottando con se stessa. Si appoggiò alla porta e cominciò a chiamarlo per nome (anche Piede di porco aveva un nome), suonando ripetutamente il campanello. Lo chiamava e suonava e lo chiamava e suonava; dal tono allegro della voce e dagli squilli imperiosi del campanello si capiva che per lei era una chiara mattina di sole colma del cinguettio degli uccelli e non una buia e fredda notte di fine inverno.
Finalmente lui aprì e per un poco Eglia riascoltò il duetto tra il trombone e il clarino, questo insistente e garrulo, quello grave e un po’ ridicolo, con interventi sempre più brevi, finché si zittì. Allora capì che la ragazza doveva essere quella che aveva sempre ottenuto tutto, da lui. Voglio questo, e lui le dava questo; voglio quest’altro, e lui le dava quest’altro; voglio il cuore della tua mamma, e lui era andato nella vecchia casa al di là del bosco e con un lungo coltello aveva estratto il cuore dal petto di sua madre. Lo aveva asciugato alla bell’e meglio, lo aveva infilato nel giubbetto di pelle, tirando su a metà la cerniera, ed era corso via, lasciando il coltello insanguinato vicino al corpo senza vita della vecchina che era stata sua madre.
Aveva corso e corso. A un tratto era inciampato in una radice, cadendo lungo disteso in avanti e scorticandosi le mani che aveva proteso davanti a sé. Il cuore ancora caldo era rotolato fuori dal giubbetto.
Si era alzato imprecando; aveva raccolto il cuore della mamma che — una volta di nuovo tra le sue mani — gli aveva detto con voce affettuosa: povero bambino mio, ti sei fatto male?

Piede di porco è tratto dalla raccolta di racconti Eglia e altre storie della scrittrice canadese in lingua italiana Elettra Bedon (Antonio Tombolini Editore).

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE