QUI SI VIVE DI PESCA E DI MISERIA

IL COLOPHON
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5 min readAug 3, 2018

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Rimini 1927 (o 1928?) e un racconto di Giulio Trasanna scritto due volte. Di Lorenzo Mercatanti

Di che puoi parlare,
se non di noi?
Siamo mediocri, siamo dimenticati,
nelle nostre povere cose.
Parlerò dei malanni, del vero,
così siamo stati, io e te,
due buoni ragazzi,
e basta.

È una poesia di Giulio Trasanna (1905–1962) che, oltre che un buon ragazzo, è stato un maestro, prima nascosto poi dimenticato, della cultura italiana del Novecento. Poche le opere pubblicate in vita: Annate (1937); Soldati e altre prose (1941); Pamphlet (1965); Poesie (1974).
Nato nel 1905 a Wattwill, nel cantone svizzero di San Gallo, la madre, abbandonata dal suo compagno, è costretta a lasciare gli studi per crescere i figli.
Trasferitosi a Udine, lui e la sua famiglia vissero in prima persona la disfatta di Caporetto; sempre a Udine, nel dopoguerra, trascorse gli anni felici, sebbene in povertà, della giovinezza.
Per amore di una donna divenne campione regionale di pugilato. Sul finire degli anni Venti girò l’Italia con una valigetta per combattere su ring improvvisati per poche lire.
È un suo racconto in particolare che mi interessa, intitolato per l’appunto Il ring, apparso su l’Unità, scritto in prima persona, quindi ripubblicato su La gazzetta dello sport, intitolato Pugile provinciale, scritto in terza persona. In tutto quattro pagine scarse: un pugile scende dal treno alla stazione di Rimini, deve combattere un incontro che sa già di perdere, dovendo confrontarsi con un avversario di una categoria di peso superiore al suo. Appena sceso dal treno un ragazzo gli prende la valigia e lo accompagna prima al ristorante quindi al teatro sociale dove si terrà l’incontro, nel mezzo il tempo per andare in spiaggia, a guardare il mare. Il ragazzo chiede al pugile di portarlo via con sé come aiutante, come massaggiatore, qualsiasi cosa: “qui si vive di pesca e di miseria” dice il ragazzo per muovere il pugile a compassione.

Nei primi del ‘900, Rimini è la capitale incontrastata della villeggiatura al mare ma nel 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale la città è teatro di duri scontri e i bombardamenti aerei la radono completamente al suolo. Inizia la ricostruzione da parte dei riminesi operosi, ingegnosi e negli anni ’50 e ’60 il volto della città è radicalmente cambiato, con il litorale ricco di alberghi, pensioni e abitazioni residenziali per l’accoglienza dei turisti, che la riportano ad essere un centro turistico internazionale. Si sviluppano inoltre il settore agricolo, artigianale, ittico ed industriale. (Matteo Curradi, Il meglio di Rimini, 2014).

Il racconto Il pugile provinciale inizia con la frase Bracci arrivò a Rimini con un treno del pomeriggio; ne Il ring leggiamo Arrivai a Rimini con un treno del pomeriggio. Nella pagina successiva del racconto Il pugile provinciale troviamo la frase Erano gli anni intorno al 1928; ne Il ring: Era un modo di vivere quello che mi conveniva, nel ‘27.
I due finali sono diversi, opposti: ne Il ring il pugile decide di abbandonare i combattimenti; ne Il pugile provinciale, pur nella sconfitta umiliante, è deciso a continuare la sua carriera pugilistica.

È difficile capire quale sia la prima versione, il poeta Franco Loi, che di Trasanna è stato amico, fa l’ipotesi più plausibile ovvero che a una prima versione autobiografica sia seguito il racconto in terza persona, frutto di un lavoro di “scarnificazione” come racconta Loi, “Trasanna scriveva tutto ciò che la passione o l’ingegno gli dettavano, poi tagliava, riduceva all’osso, levigava la pietra. Non è un caso che nelle sue poesie le parole pietra e ossa sono forse le più ricorrenti…

nei sotterranei di Roma
le parole d’amore sono ossa.”

Il racconto di Trasanna si svolge durante il ventennio fascista, in quel periodo a Rimini inizia il turismo di massa. Trasanna racconta sempre di personaggi che la storia la subiscono o, quando gli va bene, la vivono ai margini, per i quali non arriva mai “la stagione” come dicono nelle località di villeggiatura. Tornano alla mente i film di Fellini che, nato nel 1920, lasciò Rimini nel 1939. Nel finale de I vitelloni (come nel racconto scritto due volte di Trasanna) c’è un treno che parte dalla stazione di Rimini con a bordo Moraldo/Federico che sta lasciando il suo paese natale per andare a Roma.

Sappiamo poco di Trasanna. Franco Loi ce lo racconta in un bel testo che accompagna la mia vecchia copia del libro di Giulio Trasanna Una camera di legno dolce (Mondadori 1991).
Negli anni ’30 Trasanna si trasferì a Milano dove vi rimarrà fino alla fine dei suoi giorni, collaborando a vari giornali, scrivendo poesie, drammi e un romanzo mai portato a termine riflesso di un’esistenza costituita da una parte di difficoltà economiche e famigliari e dall’altra delle più svariate iniziative a cui prese parte: collaborò con Ermanno Olmi quando era all’ufficio stampa della Edison; promosse il lancio di un rotocalco socialista che non venne realizzato per ragioni finanziarie; partecipò con Giorgio Strehler e Paolo Grassi alle prime riunioni per dar vita al Piccolo Teatro; promosse iniziative culturali nelle fabbriche e nelle risaie; con i suoi scritti non raggiunse mai un vero successo, condividendo il destino di quegli “umiliati e offesi” che raccontò così bene. È sempre Franco Loi che scrive, “Bisognerà pur scriverla un giorno la storia di coloro che non hanno avuto abbastanza opportunismo e disonestà intellettuale, per comparire nella storia politica del -fascismo e dell’antifascismo-, la storia di coloro che non furono -abbastanza fascisti- o -abbastanza antifascisti-per essere annoverati fra gli italiani, la storia di coloro che hanno subito o sopportato il peso del costume e dei conformismi. In un capitolo del suo Tram giallo, Trasanna dice: Vederne tanti (operai) e tutti scuri e malrasi alle guance, gli diede una specie di solidità dentro. Si sentiva uno di loro, si sentiva sé stesso solo in mezzo agli altri: la letteratura era un mezzo, non un fine, né un estraniamento.”

Cos’altro?

Ah, l’immagine del pugile e del suo improvvisato accompagnatore che guardano il mare.

Sulla spiaggia il mare buttava schiume senza orizzonte. Le lampade dei pescatori davano un limite all’oscurità. (Pugile provinciale).

Sulla spiaggia, il mare buttava schiuma, senza orizzonte. “Lei fa l’ultimo incontro” disse il disoccupato. Le lampade dei pescatori davano un limite all’oscurità. (Il ring).

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE