«RIMINI È UN PRETESTO SCENOGRAFICO STRAORDINARIO»

IL COLOPHON
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7 min readAug 3, 2018

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Intervista a Gino Vignali (ricordate Gino&Michele?) che ora veste i panni di autore di romanzi gialli. Di Angela De Rubeis

“Rimini è questa, è il casello dell’autostrada che collega la realtà alla fantasia. È tutto e il suo contratio, niente. Rimini è soffici fiocchi di neve sulle pietre romane del centro e cadaveri carbonizzati sulla sabbia del mare”.
Gino Vignali, è il Gino del duo Gino&Michele, spirito comico, una lunga e onorata carriera da autore costruita tra i tavoli dello Zelig e le pagine di Smemoranda, completamente immerso nel fermento cultural cabarettistico milanese degli anni ’70 che lo ha trainato, con successo, sino ai giorni nostri.
Insomma lui, quel Gino lì, si è appena lanciato in una vera e propria impresa letteraria. La scrittura di una quadrilogia di gialli ambientata a Rimini e dintorni. Il primo libro, esordio letterario, La chiave di tutto, è già uscito per Solferino Editore (casa editrice del gruppo del Corriere della Sera) gli altri sono ancora nella testa dell’autore anche se qualcosa è già finito sul taccuino delle idee.

Seppur poco sfruttata, gialli ambientati a Rimini ne erano già stati pubblicati, alcuni di autori ed editori minori altri un po’ meno come quella Laura da Rimini di Carlo Lucarelli, edito da Einaudi nel 2009. Ma quello di Vignali, seppur non il primo, è sicuramente il progetto più interessante.
Di questo libro hanno detto che ha humor milanese e ambienti felliniani. La realtà è che qui dento c’è molto della comicità e dell’estro di Vignali, ma c’è anche molta, molta Rimini. Anzi mi azzardo a dire che non ci sarebbe La chiave di tutto se non ci fosse Rimini. Dai personaggi tagliati con l’accetta per essere “romagnoli doc” ai luoghi intercettati, alle strade percorse, al nevone che ha fatto storia, alla cronaca (viene citata la mitica partita Rimini-Juve finita 1–1, nell’anno dello scandalo di Calciopoli che portò la Juventus ad esordire in serie B proprio al Romeo Neri, lo stadio di Rimini), alle piadine rucola e squacquerone. Per non parlare della storia, legata a doppio filo con la “geografia” di un territorio che vede una città di provincia confinare con uno stato che è anche un paradiso fiscale: San Marino.
Ma questo è solo “contesto”, il “testo” è un bel giallo con dei personaggi che vincono e convincono soprattutto la detective vice questore Costanza Confalonieri Bonnet, che scopre il cadavere di un barbone su una panchina, davanti al Grand Hotel dove lei stessa vive. Da qui in poi, una serie di omicidi che portano l’opinione pubblica a pensare che in città ci sia un serial killer. Tanti morti, la preoccupazione di un sindaco che pensa all’immagine della sua città e alla pubblicità negativa che potrebbe portare ad una stagione turistica disastrosa, una serie di poliziotti di provincia che non riescono a nascondere la loro italianità e poi la proverbiale follia riminese, quella di un uomo, un barbone che parla per filastrocche tratte da Amarcord e che nasconde… la chiave di tutto. Della vicenda non dico altro per evitare lo spoiler che nel giallo è temuto come un assassino, ma in questo caso del piacere della lettura.

Vignali, voglio essere molto sincera con lei. Un po’ perché ho un po’ (molto) di timore reverenziale nei suoi confronti e un po’ (molto) perché mi è simpatico. Quando ho letto sui giornali che si era lanciato nella carriera letteraria, ho detto: «Bene!»; quando ho letto che si trattava di un giallo, ho detto: «Ma un altro giallo?». Poi sono andata avanti nella lettura e appreso dell’ambientazione riminese e del suo legame con questa città…

«Mia mamma era di Rimini. Io ho passato qui le vacanze estive per i primi 18–20 anni della mia vita. Poi ho avuto un rifiuto che è durato 20 anni e poi sono tornato. La frequento da circa dieci anni e la ritengo una città molto vivibile ma soprattutto universale, dico sempre che se una cosa non si trova a Rimini, vuol dire semplicemente che non esiste, per via della sua vocazione di soddisfare le esigenze degli altri, di tutti».

“Le manine scoincidono nel nostro paese con la primavera. Sono delle manine di cui che girano, vagano qua e vagano là”. Questa filastrocca la conoscerà, oramai, a memoria. È la filastrocca che il primo dei suoi morti ammazzati pronuncia senza sosta per anni e anni della sua vita. Sono le parole che pronuncia Vagano in apertura di Amarcord. Quanto è felliniana questa storia?

«Fellini a Rimini è una presenza costante e felice. Per cui, io, che tutto sommato non sono un giallista, volevo prendere tutto quello che di Rimini mi emozionava. Quindi l’ambientazione fuori stagione, con una Rimini completamente sommersa dalla neve, inusuale. E, la magia dei posti nei quali Fellini ha lasciato profonda presenza di sé, come per esempio il Grand Hotel, che era praticamente la sua casa, visto che quando tornava da Roma ci andava a vivere. È per questo motivo che ci vive anche la mia Costanza Confalonieri Bonnet. Fellini non ha mai scritto un giallo e mi piace pensare che se lo avesse fatto assomiglierebbe al mio».

Lascerei per un attimo da parte le suggestioni riminesi e felliniane per parlare del genere da lei scelto per l’esordio letterario: il giallo. Pare strano leggere di morti, ammazzati da un comico. È un caso la scelta del genere?

«Amo il genere, leggo thriller di autori di tutto il mondo ma in particolare di italiani perché trovo che da noi sia un genere relativamente giovane. Secondo me il vero giallo italiano ha una ventina d’anni. Anche se prima c’era già stato qualcosa, credo che il filone del giallo all’italiana nasca con Lucarelli, prima ancora che con Camilleri e con il suo Montalbano. Io li ho letti tutti perché è un genere che mi piace molto, perché trovo da un lato che sia molto divertente e d’intrattenimento e dall’altro che descriva molto bene l’Italia di oggi, meglio di altre situazioni narrative».

E del comico che scrive di situazioni tragiche, che ci dice?

«Credo che sia una contraddizione molto interessante. Questo è un libro drammatico, nel quale ho ucciso molti personaggi ai quali mi ero anche affezionato. Ho dovuto farlo, li ho dovuti sacrificare per il bene della storia. Li ho anche uccisi male, devo dire. Ma, il fatto che il mio mondo sia quello di una scrittura comica e ironica credo che sia quell’elemento di curiosità in più nei lettori».

A proposito di morti. Ha fatto una strage!

«Sì, sei morti. Ma mi deve perdonare, io sono alla mia prima esperienza letteraria. E quando mi sono trovato in un momento di empasse ho ucciso qualcuno».

Aveva in programma una carriera letteraria?

«In realtà no. Dopo aver chiuso l’esperienza ventennale con Zelig mi si sono aperte praterie di tempo libero che non sapevo come occupare. Ho cominciato con i puzzle dei fari di tutto il mondo. Poi, come ho detto, essendo un accanito lettore di gialli, mi sono detto: chissà se è difficile scrivere un giallo e ci ho provato. Avevo poche idee nella testa e due sole certezze: la prima è che la protagonista fosse una donna, una donna che fosse il contrario degli stereotipi degli investigatori di tutto il mondo: sfigatissimi. Io ho tolto la “s” la volevo fighissima. È così l’ho fatta».

E la seconda certezza?

«La seconda certezza è che la storia dovesse essere ambientata a Rimini, città che conosco benissimo, che mi è cara e che si presta molto bene al genere. Perché c’è San Marino, perché c’è San Patrignano, perché è la città di Federico Fellini, perché ci sono le discoteche e molto altro».

A un giornalista del Corriere della Sera che le ha chiesto perché un lettore di gialli dovrebbe leggere La chiave di tutto, lei ha risposto perché è ambientato a Rimini. Questo è amore…

«Rimini è un pretesto scenografico straordinario, penso solo all’inverno a Rimini. Se nessuno ha mai visto questa città in inverno può leggere questo libro e capire certi umori che vanno oltre la spiaggia e la classica idea del divertimentificio italiano. Nel ritornare, ho scoperto una città che mi ricordava le mie radici. Unica nel suo genere, che aveva molte cose da offrire. Adesso ci passo moltissimo tempo».

Prima di concludere vorrei dirle che, alla lettura, ho trovato che questo libro avesse un linguaggio molto televisivo. Poi ho scoperto che diventerà, molto probabilmente una serie televisiva. È così?

«Il linguaggio è molto televisivo, è vero. Forse perché nella mia testa c’era l’idea di scrivere una puntata pilota di una fiction televisiva. E non ne faccio una questione di aspirazione ma una questione di mestiere. Questo è il mio mondo, non ne ho potuto fare a meno. Anche tutti i personaggi presenti nel libro sono abbinati a un attore tranne la protagonista. La protagonista non esiste in natura e l’ho costruita, un particolare dopo l’altro, da più donne. C’è un po’ di Monica Bellucci, un po’ di Angela Merkel, Angela Finocchiaro, Teresa Mannino. Una donna che non esiste ma che se esistesse sarebbe il sogno di qualsiasi uomo».

I prossimi romanzi parte dalla quadrilogia? Può anticiparci qualcosa?

«La seconda stagione è la primavera. La storia si svolge in maggio e ho già scelto il titolo: Ci vuole orecchio (una sorta di auto citazione, visto che si tratta del titolo di una canzone scritta da Jannacci e Gino&Michele, ndr). L’ambientazione è diversa, si parte da un peschereccio che, uscito per una battuta di pesca a strascico, tira su con le sue reti un trolley che contiene qualcosa che non voglio svelare. La terza indagine che coinvolgerà la squadra mobile di Rimini, molto probabilmente si chiamerà La notte rosa e partirà proprio con l’evento che ogni anno si svolge nel primo week end di luglio. In quella notte folle succederà qualcosa che non posso dirvi, perché non lo so nemmeno io».

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