RIMINI di Pier Vittorio Tondelli

IL COLOPHON
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[Bompiani]

Abitata dallo stereotipo di una ragazzina sempre gaudente e pronta a far festa, della città di Rimini non è al pari visitata la signora cittadina tra l’Arco e la Domus, né è percorsa la sua marina invernale con passo lento e meditato da anziana. La Rimini consegnata ai più dalla letteratura è infatti quella di stabilimenti balneari e scritte al neon, com’è in una delle prime copertine di questo famosissimo romanzo Rimini edito da Bompiani nel 1985. Ad affidarlo al successo del pubblico, e alla più fredda accoglienza della critica, Pier Vittorio Tondelli, autore nato a Correggio nel 1955, che a ciascuno dei personaggi di quel libro regala una parte di sé. Lui stesso giornalista, lui scrittore, lui talent scout di nuovi talenti “cannibali” della narrativa italiana (e forse autobiografici lo sono anche i viaggi a Parigi e Berlino), che in postfazione confessa il canone di “verisimiglianza” almeno quale cronista di terza pagina mai partito per un incarico estivo in riviera.
Suo primo alter ego, il protagonista. Il ventisettenne Marco Bauer, che subito si dice ignorante del luogo: “Rimini per me era semplicemente una espressione geografica simbolo di vacanze a poco prezzo, confusione, intasamento.” Confermato, nella sua vista convenzionale, dai primi conoscenti incontrati al bar, che completano il quadro: “La gente crede sia un posto di villeggiatura. È al contrario un luogo faticosissimo. Si vive di notte, tutta la notte”.
Il riferimento temporale è quello del 18 giugno 1983, in quel giorno l’incarico del direttore per passare un paio di mesi a seguire l’inserto estivo, la Pagina dell’Adriatico, da Rimini. La redazione sul corso vicino all’Arco d’Augusto e i nuovi colleghi. Il veterano Romolo Zanetti, lo sportivo Guglielmo, Johnny il fotografo e l’accattivante Susy Borgosanti. Quest’ultima croce e delizia di lui. Un giovane cronista in cerca di uno scoop per far carriera, che risolverà la trama investigativa che conduce alle ultime pagine, finendo dimissionario e allettato da una tranquilla rivista mensile.
Così — con screziature di giallo degne del graffito in stazione che ribettezzano “Krimini” la città, con bel sesso sapientemente descritto e alcune dinamiche del mestiere giornalistico magistralmente narrate (compreso il conflitto d’interesse nelle proprietà dei quotidiani) — il romanzo di Tondelli prende forma in modo squisitamente cinematografico (negato in quegli anni l’adattamento ai Vanzina) e accenna una sua partitura anche musicale. Una sua sonorità compresa tra il desueto ticchettio di una macchina da scrivere con foglio estratto dal carrello, sino alla compilation consigliata a fine libro (Leonard Cohen, Elvis Costello, Talking Heads, Tuxedo Moon, Prince, Springsteen e U2 tra gli altri), senza dimenticare di passare attraverso l’armonia di un amplesso paragonata alla musica che esce dalle labbra chiuse dei monaci.
Stacchi su altre storie ed estemporaneo fulmineo toccarsi di trame, come nel susseguirsi di più piani sequenza. All’aeroporto, l’incrociarsi del nuovo racconto. La berlinese Beatrix Rheinsberg, che lascia il suo negozio di antiquariato e la governante Hanna per venir qui a cercare la sorella Claudia. La violenza subita, l’ex marito Roddy, il nuovo amore con Mario e il ritrovato rapporto familiare. Così com’è per Robby e Tony. Alle prese con la colletta in spiaggia per finanziare il loro film, infine in pagina spettacoli per il riconoscimento come miglior film dell’anno. E ancora, personaggi notturni come Alberto: di notte saxofonista in smoking per un night club, e ancor più tardi, nella sua camera in pensione, amante della fedifraga Milvia coi due bambini nella stanza affianco. Centrale, l’incontro di Bauer con lo psichedelico scrittore Bruno May e il consistente sviluppo del suo personaggio. L’amore per l’artista maledetto Aelred, l’agente letterario Oliviero Welebansky, la mecenate Velma e il gruppo di colonia Vermilyea, il deus-ex-machina Padre Anselme e infine l’assoluzione (“cercherai Dio per tutta la vita e questo basterà a salvarti”, che un po’ sembra auto assolvere anche lo scrittore cattolico gay che ha la penna in mano). E poi, il mistero che avvolge la morte del vecchio senatore Attilio Lughi. L’handicap e la carità, le mazzette e le speculazioni immobiliari dell’affaire Thea.
Un costrutto in tre parti (solo a rigor di capitoli) cadenzate dal testo in corsivo della Pensione poi Hotel Kelly, in cui è introdotta episodicamente, per quadri, la storia del portiere di notte Renato Zarri (e della sua famiglia, nel campo della ricettività alberghiera come tante), terrorista in un pullman di turisti e miccia incendiaria dell’apocalisse conclusiva annunciata dal professore arrivato sulla costa con questa predizione: “La grande meretrice seduta sulle molte acque, che aveva inebriato gli abitanti della terra con il vino della sua fornicazione, sarebbe stata consunta al fuoco e il mare avrebbe sparso le sue rovine fumanti prima di rivoltarsi anch’esso. La grande città di cui si esclamava ‘Quale città fu mai simile a questa?’ sarebbe stata in un attimo ridotta a un deserto di lava, detriti, fango”.
In tutto questo, il dipingersi di una cartolina ai turisti. Le discoteche e i concerti d’organo, il circolo velico e il festival del cinema giallo, le serate di gala e il Grand Hotel, la spiaggia nudisti e i “Saluti da Rimini” sulla borsa in tela dei villeggianti diretti ai balneari. “Una bolgia di alberghi, pensioni, appartamenti in affitto in cui si muovevano, simultaneamente, milioni di persone”. L’impossibilità di farsi una doccia calda all’ora in cui i pensionanti si preparano per la cena, l’età media dei turisti che scende al partire di nonne e bambini in giugno e i resti di kleenex, preservativi e lattine, mischiate alle alghe e abbandonati nella notte sul bagnasciuga. Cappellini il cui diametro è un insulto alle leggi di equilibrio e gli strass di puttane e travestiti. Il Bianchello del Metauro ma ancor di più i cocktails dai nomi anglofoni, le serate e giornate intere a infradiciarsi di alcool. Il buio che odora di hashich e le siringhe. Le partite di Mah-jong al bar del porto. Camerieri e ragazze di servizio, cucine unte e bollenti, taxi, cabine telefoniche, stazioni, stamberghe di lusso e colonie per figli d’impiegati. E poi Riccione, “la sequenza ordinata delle cabine, dipinte a blocchi con tonalità pastello”. L’Italia in miniatura con il suo parco di monumenti riprodotti in scala. Milano Marittima, Misano, Viserba, Santa Giustina, Bellaria… Il ponte levatoio e le torri di Fiabilandia che aprono ad un mondo irreale e salvifico. Il promontorio di Gabicce. Le vicine campagne di Cagli, Acqualagna, Gualdo Tadino e Fossombrone da cui viene reclutato personale stagionale. Il Montefeltro e la Val Marecchia. Sant’Arcangelo, Novafeltria, Verucchio. Badia Tebalda con i suoi monaci, Sant’Agata Feltria con le suore di clausura.
Ma… “sapeva che presto tutto sarebbe finito con il sopraggiungere dell’autunno. Le luci si sarebbero fatte più fioche, la spiaggia più rada, le strade più scorrevoli e più vuote. Gli alberghi avrebbero chiuso così come le discoteche, i night-clubs, i parchi divertimento…”. E Rimini sarebbe tornata a noi nella sua complessità.

Sanzia Milesi

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE