UN CLASSICISTA POCO CLASSICO

IL COLOPHON
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7 min readDec 12, 2016

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Intervista a Giulio N., ex lettore compulsivo in via di guarigione
di Laura Del Lama

Giulio, nome di fantasia, è in questa struttura di recupero dal febbraio 2015.
Di lui ho saputo tramite un amico che ho incontrato per caso e che non vedevo da tanto tempo. Oggi riesco finalmente a intervistarlo Giulio, dopo qualche peripezia, moduli da riempire, prontuari da leggere e rispettare, firme sulla responsabilità e la privacy: un affare di Stato insomma. Ma lo capisco: tutto si fa per non turbare il degente.
E insomma lo incontro, Giulio, in questa stanza dei ricevimenti che è una sorta di salotto piuttosto spoglio, disadorno: un divano giallino, due sedie impagliate, uno scaffale in lamiera con poche riviste gettate a spregio sui ripiani, mescolate a oggetti inutili e difficili da distinguere. Spero che il resto dell’edificio sia più gradevole perché io, penso, in un posto così non ci vorrei mai stare.
Insieme a Giulio c’è anche il responsabile della struttura che presenzia all’intervista e fa da supervisore. Accetto senza oppormi: non credo servirebbe. Le regole sono regole.
Allora ci sediamo tutti e tre: io affondo nel divano, i due uomini sulle sedie impagliate. Mi sento a disagio. Vorrei un tavolo dove appoggiare i gomiti, essere alla loro altezza e invece dal divano mi tocca guardarli da sotto in su.

Insomma Giulio, come stai?

“Bene, dai. Me la cavo”.

Il percorso che stai facendo qua dentro è difficile?

“Abbastanza. Soprattutto all’inizio. Poi però quando passi la prima fase, quando cominci a vedere i primi risultati prendi un po’ di forza e la spinta ad andare avanti non è più solo passiva. Arriva anche da dentro di te. Non so se mi sono spiegato bene”.
Giulio sfila dalla tasca della giacca una foto e me la porge.
“Questo sono io appena arrivato qui”.
Guardo la foto e poi guardo Giulio.

Davvero questo sei tu?

“La tengo sempre a portata di mano. Ogni volta che ho dei tentennamenti la guardo, e mi ricordo come stavo prima e mi aiuta a non pensare al passato, a non farmi prendere dalla voglia”.
E insomma nella foto c’è Giulio, che poi non è tanto diverso dal Giulio di adesso. Diciamo che nella foto ha un fisico normale, mentre il ragazzo di adesso è atletico, molto muscoloso. Il vecchio Giulio ha i capelli un po’ lunghi, tra i quali spuntano delle evidenti orecchie a sventola e ha pure gli occhiali. Adesso gli occhiali non ci sono più e i capelli sono corti, rasati ai lati, molto civettuoli. Però le orecchie sono sempre a sventola.

A che punto eri arrivato prima di entrare qui?

“Al punto che leggevo un romanzo dietro l’altro; tutto il giorno, tutti i giorni”.
Semplice, schietto e puro.
“Ne iniziavo uno e dovevo finirlo per forza. Il pensiero di sapere dove mi avrebbe portato la storia era più forte di tutto il resto”.

Fammi capire meglio: come si svolgeva la tua giornata?

“Leggevo mentre facevo colazione, durante il pranzo; a letto finché non mi si chiudevano gli occhi. Anche in bagno… Sì, insomma, quando dovevo fare i miei bisogni. Per andare a lavoro avevo rinunciato a prendere l’auto per i mezzi pubblici, così avrei potuto leggere durante il tragitto”.

Che lavoro facevi?

“Tutor all’università. Un lavoretto così, in attesa di qualcosa di meglio. Ecco: anche lì non potevo fare a meno di leggere. Entravo nel mio ufficio e subito mi fiondavo sui libri. Ero arrivato a odiare gli studenti che venivano a chiedermi informazioni perché mi interrompevano; rispondevo in maniera sbrigativa, a volte anche sgarbata. E io non sono mai stato sgarbato in vita mia. Poi è successo che le mie pause caffè di dieci minuti diventavano sempre più lunghe. Mi portavo il libro al bar e il tempo passava senza che mi rendessi conto. Ero completamente perso nella lettura, non mi accorgevo nemmeno delle persone che c’erano intorno a me: non sentivo le loro voci, non avvertivo la loro presenza”.

Leggendo riuscivi a isolarti completamente?

“Assorbito dalle parole, dalle frasi, dalle pagine”.

Avevi una lettura che prediligevi o leggevi qualsiasi cosa ti capitasse a tiro?

“Io sono sempre stato un appassionato della letteratura classica”.

Tipo l’Ottocento russo, francese…

“Latini e greci. Rigorosamente in lingua”.

Caspita, complicato.

“Ignoravo le traduzioni a fianco. Non sa quanta saggezza dietro quelle frasi”.

E a te tanta saggezza è servita?

“Mi tenevano compagnia: Seneca, Lucrezio: erano i miei amici”.

Sì, ma hai imparato qualcosa da loro?

“Non so risponderle: a volte penso di sì altre volte…”.

Va bene, andiamo avanti. Quindi la tua passione era la traduzione.

“Sì ma era un lavoro che richiedeva tempo e concentrazione e se volevo leggere dovevo per forza affidarmi ad altro. Così sono passato alla narrativa. Mi si è aperto un mondo: ho cominciato con l’Ottocento russo”.

E l’hai esaurito, l’Ottocento russo?

“Sì, tutto. Poi sono passato a quello italiano, inglese… Il Novecento francese. La cosa ha cominciato pian piano a degenerare. Mi ricordo una volta, ero al lavoro e stavo leggendo un romanzo di Drieu La Rochelle, Fuoco fatuo se non ricordo male”.
Che coincidenza. Ho cominciato a leggerlo un paio di giorni fa.
Mi accorgo troppo tardi della gaffe, accidenti alla mia impulsività. Il responsabile mi scocca un’occhiataccia e io mi sento una scema.
“Insomma, sto per finire di leggerlo quando mi rendo conto che non ho un altro libro di scorta. Allora l’ho messo da parte, altrimenti cosa avrei letto durante il tragitto verso casa? Che poi quel libro l’ho pure perso, devo averlo lasciato da qualche parte in ufficio. Comunque, dopo una manciata di minuti ho cominciato a stare male: sudavo freddo, avevo le palpitazioni. Ho provato a guardarmi intorno, disperato, in cerca di qualcosa da leggere. C’erano degli opuscoli di orientamento agli studi e ho cominciato con quelli, poi dei depliant che pubblicizzavano i vari ostelli che si trovavano vicino all’università, e pian piano il malessere cominciava a calare. Solo che erano troppo brevi; fortunatamente nel cestino della carta ho trovato una rivista e ho cominciato a leggere quella, avidamente. Era un giornale scientifico, sul rendiconto annuale delle scienze aziendali”.

Argomento che incuriosisce tutti.

“Roba astrusa, quasi incomprensibile per me. Ma ugualmente mentre leggevo l’attacco di panico è scomparso”.

Più efficace di un tranquillante, direi. Quando hai cominciato a percepire questa dipendenza come un problema?

“Quando per poter leggere mi sono licenziato dal lavoro. Quando sull’autobus provavo a staccare gli occhi dalle pagine di un libro e mi ritrovavo a leggere i cartelloni pubblicitari, le insegne dei negozi. Traevo un piacere dalla lettura che nient’altro riusciva a darmi. Forse il sesso, quello sì, ma essendo occupato tutto il giorno a leggere, la mia vita sociale stava a zero”.

Niente fidanzate, quindi.

“Negli ultimi tempi nemmeno l’ombra. Non avevo la forza né la voglia di staccarmi dai miei libri. Ero arrivato a leggere qualsiasi cosa, senza stare a guardare titoli, autori, genere. Io stavo bene solo quando leggevo”.

E poi?

“La mia famiglia, esasperata da questa situazione, ha provato a vietarmi la lettura”.

Come?

“Nascondendo tutti i libri che avevamo in casa. Ma io con la scusa di uscire per andare a fare la spesa o bere qualcosa al bar, mi rinchiudevo in biblioteca. Allora mi hanno vietato anche di uscire e lì ho rischiato di impazzire. Una volta mia madre mi ha trovato a dispiegare le pagine di un giornale che aveva usato per pulire i vetri delle finestre. Insomma era chiaro che avevo bisogno di aiuto e alla fine mi hanno convinto a rivolgermi a una struttura per curarmi”.

E qui cosa fai, come occupi il tempo?

“Il programma si basa sul potenziamento fisico”.

Cioè?

“Ginnastica, esercizi”.

Tutto il giorno?

“Quasi. Abbiamo una palestra molto attrezzata e il responsabile qui è stato preparatore atletico di molti campioni olimpici. Siamo diversi ragazzi, con diverse patologie ma ci segue tutti lui. Ci insegna la disciplina del corpo attraverso l’allenamento”.

Siete obbligati a fare ginnastica?

“Chi non accetta questo percorso se ne può andare tranquillamente. In molti lo hanno fatto. In effetti gli allenamenti a volte sono un po’ stremanti però fortificano. Facciamo lunghe sessioni in palestra ma usciamo anche fuori per correre, ci arrampichiamo. Poi c’è il nuoto”.

Ma scusa, non capisco: l’obiettivo qual è?

“Alleniamo il corpo, lo teniamo sotto sforzo per non dare tempo alla mente di lavorare. La sera crolliamo addormentati appena tocchiamo il letto”.

Niente logorio mentale.

“Non si può. Non si deve. La testa va tenuta a riposo, sennò non se ne esce”.
Eccolo qui, dunque il nuovo Giulio, con un fisico tirato, bello, praticamente perfetto. Chiedo a Giulio se può farmi vedere di nuovo la foto di prima. La studio per qualche secondo e trovo che in effetti oltre al fisico è cambiato anche qualcos’altro: lo sguardo. Forse era più solido allora di adesso, ma credo sia solo un impressione. Una singola foto non può raccontarci una persona. E poi chi può dire cosa è meglio o cosa è peggio per questo ragazzo?

Ti manca qualcosa della tua vita di allora?

“Niente. Non mi manca niente. Ho solo dei rimpianti”.

Quali?

“Aver sprecato tanto tempo con i libri”.

Credi che tornerai a leggere qualcosa prima o poi?

“No. Per me i libri sono tabù, ormai”.

L’intervista finisce così, c’è da tornare in palestra: lo aspettano tre ore di allenamenti. I due uomini mi accompagnano all’uscita. Il responsabile mi saluta con una stretta energetica. Stringo la mano anche a Giulio che me la tiene salda nella sua. Si guarda indietro, vede che il tipo è distratto.
“Ce l’ho anch’io una domanda per lei: appena termina di leggere Fuoco Fatuo mi fa sapere come va a finire?”.

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE