VALIGIE. STORIE DAL MARIO&GIANNI’S RESTAURANT di Rino Garro

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[Falco Editore]

Valigie (Cases) è un racconto pubblicato in edizione bilingue perché parla a due comunità, non per chissà quale internazionalismo o cosmopolitismo: volesse essere davvero cosmopolita Rino Garro scriverebbe in dialetto calabrese.
In copertina una frase dello scrittore Marco Vichi, “Questo breve racconto di Rino Garro è intessuto di distanza e di vicinanza, di tristezza e di ironia, di parole non dette e vi si respira il senso dell’amicizia, della solitudine e della speranza.”
A me ha fatto venir voglia di riprendere in mano I racconti del Maresciallo di Mario Soldati e le poesie di Antonio Seccareccia, i racconti di Soldati dove la parola racconto va a braccetto con la parola incontro, un incontro accompagnato da una bella fetta di salame e da un bicchiere di vino, solo da queste premesse può partire la storia, l’indagine… nelle poesie di Seccareccia sulla tavola ci sono i resti di una cena consumata in fretta, perché anche nella notte di Natale c’è chi non può permettersi di perdere il treno vuoto e freddo per partire dal proprio paese in cerca di fortuna…
Ma apriamolo questo piccolo libro, che aprirlo è come entrare in un locale: risate; qualcuno che alza il bicchiere e la voce, ne esce una frase priva di senso… Rino Garro ci fa affacciare sulla pagina come ci si affaccia su un locale, che non sentiamo uno che fa una conferenza e gli altri che stanno zitti, ma entri e senti lo sciabordio dei bicchieri e il rumore delle sedie spostate, qualcuno alza la voce e di solito chi alza la voce non dice cose molto sensate, quelli che parlano a voce più bassa non li sentiamo bene, ci arrivano delle mezze frasi. L’autore rende benissimo tutto ciò, che vuol dire, che in queste pagine non si capisce una mazza?
No, la bravura è che riesce ad orchestrare queste voci inglesi e italiane foderate della cadenza dell’accento calabrese e tutto questo lo fa perché trova un direttore d’orchestra che trova sempre il filo rosso per prendere d’infilata queste voci come lo spiedo del kebab: è Mario, il titolare del locale che, tra il serio e lo scherzoso, vuol far imparare qualche parola di italiano ai suoi camerieri inglesi, ma è ancora più preso dall’accogliere l’amico, voce narrante del racconto, appena giunto dall’Italia. Si erano conosciuti anni prima a Manchester, entrambi camerieri, avevano quindi preso strade diverse, ognuno con la sua inseparabile valigia.
«“Non ti lascia mai, eh? Non è così, compà?”
Beve un sorso di vino, si aggiusta la cravatta e la stira con delicatezza contro la camicia, dall’alto in basso, lentamente. Si gira ancora verso la sala a controllare che tutto sia in ordine. Guarda a destra e a sinistra, pigramente. Poi scuote la testa un paio di volte, fumando. Mi dice: “pure la mia valigia non mi lascia mai. Mi ha portato in Canada, in Germania, in Francia… e all’ultimo… qua in Inghilterra. C’ho messo tutte le cose che avevo, ce l’ho messe tutte dentro… quasi quasi scoppiava. E poi s’è scassata davvero, sono usciti i ferri di qua, dagli angoli”. Sospira, aspira la sigaretta con forza. “Sta di sopra” dice guardando in su. “È stemmata… c’ha tutti gli stemmi di dove l’ho portata, di tutte le città, le nazioni dove sono andato, tranne che l’Italia. Dopo, valla a vedere, compà… io penso che ti piace”.
Sorrido e dico di sì con la testa.
“Non la uso più, ma non mi lascia mai..” fa ancora lui, voltandosi verso la sala. “Non la lascio mai”. Tiene le mani dietro la schiena per non far vedere ai clienti che fuma.
Mi appoggio con la spalla destra sul muro, e per un po’ me ne sto a guardare la mia valigia di plastica nera, logora, senza nemmeno un adesivo.
“Che bella valigia ch’è stata!” dice scuotendo la testa.
Di colpo, in qualche angolo della mia mente, si materializza l’immagine di Mario che abbraccia commosso qualcuno che piange, sullo sfondo la striscia grigiastra del treno o forse la pista di un aeroporto, e in primo piano la sua nuovissima, enorme valigia. Dura solo un attimo. Un istante.»
L’amico è stremato per il viaggio, Mario gli promette che presto potrà riposarsi. Non manterrà la promessa, la notte imminente non è fatta per dormire ed è una notte interminabile, c’è tutto il tempo per ritrovarsi e fare i conti delle rispettive esistenze, piene di delusioni e difficoltà, ma senza parlarne espressamente, non ce n’è bisogno con un amico…
L’autore, in questo racconto scritto con semplicità e assieme grande sapienza narrativa, arriva al cuore di ogni narrazione, ovvero una storia è tale ed è vitale se c’è qualcuno disposto ad ascoltarla e che gli uomini si tengono vivi mangiando, bevendo e raccontandosi storie.

Lorenzo Mercatanti

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE