Confidenza tecnologica vs. consapevolezza tecnologica. Cosa significa?
Riporto qui di seguito un brano dal mio saggio Il digitale e la scuola italiana (capitolo 4, pag . 27) in cui raccolgo riflessioni fatte da autorevoli pedagoghi e educatori: si tratta infatti, a mio parere, di utili presupposti da cui partire quando si parla di didattica e tecnologie.
I nostri figli e gli attuali studenti, vivono e vivranno sempre più in simbiosi con le tecnologie che li inseriscono a loro volta all’interno di un flusso
costante di informazioni e in una rete complessa di connessioni. Se, riprendendo le parole di Escotet, compito della scuola è preparare l’inserimento degli studenti nella vita sociale, la scuola deve giocoforza attrezzarsi di conseguenza: ciò non significa abbracciare necessariamente — e acriticamente – le tecnologie, bensì aiutare i giovani ad utilizzarle in maniera sostenibile, efficace, fruttuosa.
Oggi più che mai gli studenti hanno più possibilità e più stimoli per apprendere al di fuori dell’aula; soprattutto, è la prima volta che viene data a chiunque l’opportunità di partecipare attivamente alla creazione del sapere. Questo è un vantaggio ma allo stesso tempo un rischio ed è proprio in questa intersezione che dovrebbe operare l’intervento formativo: rendere la tecnologia una risorsa e non una calamità, cercando di valorizzarne i vantaggi e arginarne i rischi.
Se, invece, come vorrebbero alcuni, lasciamo che la scuola rimanga un’oasi fuori dalla frenesia digitale che conduce facilmente al sovraccarico informativo, e se continuiamo a vedere tablet e affini come ordigni da non toccare o al massimo come giocattoli, lasceremo allora i ragazzi alla mercé dei loro dispositivi, con tutta la loro potenzialità distraente. E giustificare questa scelta con il fatto che “i ragazzi sanno usare i dispositivi meglio di noi”, significa confondere un qualcosa di innato con qualcosa che invece deve essere acquisito: uno degli scopi della scuola dovrebbe diventare il saper condurre i ragazzi da una confidenza tecnologica a una consapevolezza tecnologica, che presuppone la capacità di selezionare e filtrare le fonti informative ormai incessanti per darne, oltre che un’interpretazione, una narrazione personale; per capire e analizzare le nuove dinamiche dei tempi e dominarle, invece che esserne travolti.
Si tratta, in definitiva, di colmare non un digital divide, bensì un digital use
divide, laddove la tecnologia è vista da molti ancora come intrattenimento
piuttosto che uno strumento di apprendimento. La domanda da fare è quindi quella che ha posto molto opportunamente un’insegnante ai genitori dei suoi studenti: “volete che i vostri figli si avvicinino in modo corretto e consapevole alle tecnologie?” Si tratta di un’operazione tanto più necessaria quanto più i dispositivi digitali rappresentano uno dei maggiori strumenti di (in)formazione anche al di fuori dell’aula scolastica.
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