Il digital education day e le dieci tesi di Rivoltella su scuola e tecnologie
Chi vuole saperne di più sulle tecnologie applicate alla didattica e cerca materiali utili per un percorso di autoapprendimento in materia, potrebbe prima di tutto rivedere quanto si è detto durante il Digital Education Day, un evento del maggio scorso organizzato da RCS Education; do questo consiglio senza essere legato al gruppo editoriale, ma perché tra i partecipanti c’erano forse le voci più autorevoli al riguardo, i cui interventi rappresentano in qualche modo una summa di ciò che altrove è stato detto e scritto sull’argomento: parlo di Gino Roncaglia, Francesco Leonetti, Maria Vittoria Alfieri e Paolo Ferri. Trasmesso in diretta streaming su corriere tv, l’incontro è stato anche coperto da un discreto live tweeting (di cui ho fatto lo storify). I temi toccati sono stati vari e importanti, tutti attuali e degni di approfondimento.
Dal mio punto di vista, ho potuto constatare non senza soddisfazione che una grandissima parte delle argomentazioni e degli assunti esposti dai relatori è già presente nel mio piccolo saggio Il digitale e la scuola italiana.
Come detto, nel sito di corriere.tv, si può rivedere tutto l’evento, diviso in due momenti: prima parte (interventi di Paolo Ferri, Gino Roncaglia, Francesco Leonetti, Matteo Lancini); seconda parte (Maria Vittoria Alfieri, Mattia Mela, dibattito con gli insegnanti)
Un altro video che merita molta attenzione è quello di Pier Cesare Rivoltella durante il convegno “Educazione, apprendimento e nuove tecnologie, dove Rivoltella ha esposto “dieci tesi” in cui affronta temi e problematiche da sempre dibattuti ma mai abbastanza chiariti. Li vado a sintetizzare, per chi non ha tempo di vedere i 40 minuti del suo intervento.
- Media Education e Education Technology — L’Education Technology è la didattica che fa uso delle tecnologie e considera i media digitali come supporto alla mediazione nei processi di insegnamento e apprendimento. La Media Education invece è qualcosa di propedeutico alla prima, in quanto lavora sui linguaggi mediali in genere (che ora sono comunque digitalizzati), considerati come artefatti culturali rispetto ai quali sviluppare pensiero critico e responsabilità.
2. La logica dei consumi culturali non corrisponde a aut aut, ma a et et — Le tecnologie non sono sostitutive, ma integrative. Più che fattore di discontinuità, bisogna considerare il digitale come una ri-mediazione della realtà, cioè a una riconfigurazione in un’altra chiave degli elementi della realtà quotidiana. Il digitale non sostituisce niente, ma arricchisce le nostre possibilità di intervento nel reale.
3. Non sono i media che fanno cose ai bambini, ma sono i bambini che fanno cose con i media — Più che le tecnologie, ciò che conta sono le pratiche. Il rischio non è quello del determinismo tecnologico, ma quello del modellamento sociale.
4. Rapporto tra formale e informale — L’informale, oggi, è fatto di tecnologie. Le nostre esistenze sono permeate dal digitale, che media le nostre conoscenze, la nostra rappresentazione e consapevolezza del passato e le nostre relazioni. Tutto ciò implica grandi rischi, ma anche grandi possibilità, che sta a noi equilibrare. Rinunciare però alle tecnologie, significa per la scuola rinunciare al suo compito, che è aiutare i soggetti all’interpretazione della cultura.
5. I media digitali e sociali sono soprattutto macchine autoriali — Sono cioè cose con cui si possono fare altre cose: valorizzarle a scuola significa portare in classe la dimensione laboratoriale, quindi mettere al centro l’apprendimento per scoperta e un coinvolgimento totale mente-corpo-cervello (l’unico che per Piaget conduce all’apprendimento duraturo).
6. I media sono anche un curriculo — I media non sono solo strumenti, che devono essere utilizzati in classe, ma sono anche una competenza di base necessaria: per cercare e selezionare informazioni, per collaborare e cooperare; per gestire le relazioni, gestire il tempo, gestire il rapporto con i contenuti. Per condividere e pubblicare. Tutte competenze di base a prescindere dai media sociali, ma che questi rendono indispensabili.
7. Non abbiamo bisogno di creare nuovi contenuti digitali — Ce ne sono già abbastanza, e di qualità. Le esperienze di self publishing a scuola non hanno senso, dal momento che gli editori hanno già elaborato contenuti validi, di qualità e in abbondanza. La questione è piuttosto selezionarli e aggregarli, commentarli e renderli utilizzabili didatticamente. Qui è lo spazio in cui può e deve inserirsi l’insegnante.
8. Le applicazioni disponibili non sono utili senza una cornice pedagogica — Senza un framework metodologico, l’applicazione è pura strumentalità. Oltre alla cornice pedagogica, c’è il metodo che funziona come organizzatore professionale. Misurare e quantificare l’efficacia dell’uso delle tecnologie nella didattica è quasi impossibile: l’unico modo è cambiare le pratiche professionali attraverso la tecnologia.
9. Il gioco del “noi” e “loro” — Affermare che i “nativi digitali” (che non esistono) siano già in possesso delle competenze digitali, significa ignorare che la loro è solo una confidenza tecnologica, da trasformare in consapevolezza tecnologica.
10. Tradizione e innovazione — Si pensa da sempre che siano due concetti antitetici, ma non è così. L’unico modo che la scuola ha per salvaguardare la tradizione, è innovare.
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