Irkutsk

Filippo Sala
Il Grande Mercoledi
4 min readMay 12, 2017

Giorno 19–8 Ottobre 2015
Mi sveglio tardi. Sono le 11.41.

Dal mio tavolino del Super Hostel, in Via Karla Marksa, preparo il piano giorni:

“8 Ottobre: Visita Città
9 Ottobre: Olkhon Island
10 Ottobre: Olkhon Island
11 Ottobre: Ritorno a Irkutsk
12 Ottobre: Visita a Listvjanka e ritorno a Irkutsk
13 Ottobre: Diretti a Ulan-Ude o mi fermo a Listvjanka?
14 Ottobre: Ulan Ude
15/16 Ottobre: Treno/Bus per Ulan Bator”

È ora di pranzo. Ho una fame incredibile. Durante i lunghi viaggi in treno tendo a mangiare poco. Mi porto sempre dietro qualche cracker, qualche biscotto e poco altro. Le zuppe liofilizzate non mi entusiasmano.

Chiedo consiglio alla ragazza alla reception: “conosci qualche posto carino, tipico, dove potrei mangiare qui in zona?” La ragazza, giovanissima, mi spiega in modo un po’ maldestro dove andare. Non sono molto convinto. Mi fa cenno di seguirla, il locale si trova praticamente dall’altra parte della strada.

Una specie di rosticceria, qualche tavolino e una signora che mi osserva con sguardo minaccioso. Sono quasi a disagio quando sto per pronunciare una semplice richiesta del menù in inglese. Non solo non capisce una singola parola, ma anche quando provo ad usare l’app di Google Translate per mostrarle la mia richiesta scritta, non ottengo niente.

Sono lontani i tempi dei locali per turisti, invasi da immagini che sembrano uscite dagli anni ’80: nessun menù plastificato, né una lista di pietanze esposte. Desisto miseramente.

Sulla via per il mercato, centro di Irkutsk

La giornata è splendida. Invogliato dai raggi di sole che riscaldano la temperatura percepita, mi incammino in Karla Marksa.

Dopo qualche centinaio di metri, un consistente flusso di persone, svolta a sinistra imboccando una via pedonale. Seguo il flusso, incuriosito.

Ci sono diversi chioschetti qua e là. Non so esattamente cosa vendano, ma hanno tutta l’aria di essere buoni: dei simil-panzerotti fritti, ripieni di carne e spezie. Qualche timore per eventuali intossicazioni alimentari, svanite dopo il primo morso al delizioso street food russo senza nome.

Al termine della via, il mercato cittadino. Una struttura imponente, divisa in due padiglioni ordinati: uno alimentare ed uno non. Sono ovviamente colpito da quello alimentare: diviso in sezioni — carni, latticini, pesci ed altro — e frequentato da tutte le sciure di città.

All’esterno, altri banchi dove si vendono frutta, verdura e spezie.

Le signore al banco dei formaggi, all’interno del mercato cittadino di Irkutsk

Ogni bancone è gestito da diverse signore dall’aspetto decisamente asiatico: gridano e cercano di attirare nuovi clienti offrendo assaggi di prodotti: formaggi e pesce essiccato su tutti.

Continuo ad essere affascinato dai mercati locali, passo qualche ora girovagando per il mercato e mangiando qualcosa. La zona del pesce è dominata dall’Omul essiccato — tipico pesce del lago Bajkal — simile al salmone. È molto apprezzato da queste parti.

Torno in strada. La città è “mappata” da una green line: una linea verde lunga 5 km disegnata lungo il marciapied che il Comune di Irkutsk ha istituito per permettere ai turisti di visitare in modo semplice e senza perdersi tutte le attrazioni e i monumenti cittadini.

Parco cittadino di Irkutsk

Una chiesa molto carina, poi il simbolo della città — un gatto con un figlio in bocca. Proseguo. Mi ritrovo in quello che sembra un grande outlet moderno. Ci sono negozi, tanti negozi. Tutto nuovo, moderno: è il consumismo che avanza. Mi siedo al sole, in un ampio spazio di fronte all’edificio principale sulla cui facciata svetta, manco a dirlo, la più celebre M del mondo: qualcuno direbbe, “i’m lovin’ it”.

Cè ancora molto da vedere. La green line mi conduce lungo il fiume, al parco, di fronte ad una statua di un sicuro e deciso Lenin.

Vecchie case in legno di Irkutsk

Proseguo ancora. Attraverso una zona fatta di antiche case in legno, come spesso si vedono in Siberia. Alcune ben conservate, edifici di rilevanza nazionale, posseduti da vecchi mercanti e famiglie di un certo rilievo, altri dove mancano le finestre, con gli spifferi ricacciati all’esterno da posticce lastre di vetroresina ondulate.

La luce ormai se n’è andata quasi del tutto. Rientro in ostello. Cucino un semplice riso in bianco. Con me al tavolo, un’estroversa ragazza tedesca che mi offre un po’ di vino. Tra una lavatrice e l’altra scambiamo due parole. Siamo solo noi in tutta la struttura. Non c’è altro da dire, la mattina dopo si riparte, direzione Olkhon Island.

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