L’arrivo a Krasnoyarsk

Filippo Sala
Il Grande Mercoledi
4 min readFeb 7, 2017

Giorno 15/16–4/5 Ottobre 2015

Sono le 9:00. Mi sveglio di soprassalto, probabilmente la fermata un po’ brusca del macchinista. Siamo ad Omsk. Janna scende. Ci salutiamo con una stretta di mano ed un sorriso. Vorrei abbracciarla, ma ho l’impressione che i russi non si lascino andare a tanti sentimentalismi.

Stazione di Omsk, fermata lungo la Transiberiana

Mi affaccio in stazione, piove. Non è poi cosi freddo — 12° gradi — ma lo sbalzo termico dentro-fuori mi gela. È una fermata “lunga”; la seconda città siberiana per grandezza dopo Novosibirsk merita uno stop da grande città. Avrei tempo a sufficienza per scendere, comprare qualcosa, ma ho ancora i miei inseparabili biscotti al burro made in Russia e acqua in abbondanza.

Lo confesso, raramente sono sceso dal treno durante le fermate intermedie. In stazione si parla solo cirillico. La paura di perdere il treno, di un misunderstanding con i capi-carrozza, è troppo forte.

Dopo la rinfrescata in banchina, mi rimetto a dormire, cullato dai movimenti del treno. L’errore iniziale del posto letto in corridoio, dettato dalla mia inesperienza, è ormai superato. Finalmente ho un posto comodo, confortevole e decisamente più grande. Mi sono adattato benissimo: leggo, scrivo, ascolto musica, chiacchiero con i miei vicini e utilizzo internet nei pressi delle città medio-grandi, dove c’è linea.

Taiga siberiana, lungo il tratto Omsk-Krasnoyarsk

Mi risveglio tardi, verso le 13:00. I paesaggi iniziano ad essere più decisi: siamo in Siberia. La monotonia morfologica incontrata fino a questo momento, lascia spazio ad una variazione cromatica mitigata solamente dal cielo grigio, che ne impedisce l’esaltazione dei colori: la taiga siberiana, una pianura sconfinata di conifere, con colori dal verde chiaro al giallo intenso.

Pochi segni di vita, per decine di chilometri non ci sono centri abitati. Provo un senso di smarrimento, ma anche di ammirazione: verso l’essere umano, che ha costruito 9.289 km. di ferrovia in questi territori, in un’epoca che mi sembra lontana anni luce.

Il viaggio è ancora molto lungo. Per la prima volta trascorro 24 ore continuative dentro un treno. Una giornata intera, dove la routine quotidiana si vive in pochi metri quadrati, insieme a persone sconosciute, tutti uniti dal solito unico obiettivo: arrivare a destinazione. Osservo intere famiglie che giocano a carte, ridono, mangiano: qualcuno preferisce condividere un bicchierino di vodka, altri si cucinano zuppe liofilizzate con il boiler comune in testa alla carrozza.

Sale una ragazza. Si chiama Masha, ha 35 anni e sta andando a Krasnoyarsk per lavoro, è una contabile. Sorridente e curiosa, prende il mio frasario.

“Chi sei? Cosa fai? Perchè viaggi da solo?”

Ricordo la sua gentilezza: “Sei ammirevole, un ragazzo coraggioso”, aggiunge. Continuiamo a chiacchierare, tutta la sera, tra una risata e l’altra.

Arrivati a Krasnoyarsk si premura di accompagnarmi personalmente alla fermata del bus e di darmi ogni indicazione possibile per raggiungere l’Hovel Hostel, dove alloggio. Soffia un vento gelido. L’ostello si trova all’interno di un condominio, come spesso capita qui in Russia; non semplice da trovare. Sono stanco, ma non ho sonno, disorientato dal cambio di fuso orario (siamo a +4 adesso).

Ho fame. Cerco su internet. “Stolle”, mi ricorda una panetteria di San Pietroburgo segnalata dalla Lonely Planet: sembra invitante. Il pezzo forte sono quindi le stolle, sfoglie ripiene dolci o salate. Di fronte ad una vetrina colma di dolci, sembrerebbe facile ordinare. Cosi non è: al solito, nessuno parla inglese. Le quattro ragazze presenti se la ridono di fronte ai miei tentativi di spiegarmi a gesti.

Il rapporto con il cibo non è dei migliori: ad eccezione delle grandi catene americane, trovare un locare autentico, dove sappiano anche parlare inglese, non è scontato. Comunque sia, la mia stolle alle mele è una delusione: la frutta all’interno è cruda e speziata, la porzione che ho ordinato è gigante. Mi è passata la fame e non so come finire questo “mappassone”.

Tramonto sul fiume Enisej, Krasnoyarsk

Deluso dalla mia prima colazione siberiana, cammino a zonzo senza una metà precisa. Il vento ha spazzato via le nuvole cariche di pioggia. La città si alterna tra il centro, simile alle ambientazioni di Fargo e il lungo fiume, curato e impreziosito dai colori al tramonto.

La Russia ha un fascino incredibile: la decadenza di queste città, dimenticate sia dell’Europa che dall’Asia sviluppata, ci ricordano il totalitarismo che non ce l’ha fatta. I segni evidenti del comunismo stalinista, sopravvivono tramite un’architettura che opprime solo alla vista, che soffre con lo scorrere del tempo e si fondono con il consumismo occidentale: KFC, Burger King e altre improbabili catene ispirate al mondo yankee.

Sono passati 16 giorni da quel volo Bologna — Istanbul: giorni magnifici, che non dimenticherò mai.

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