Olkhon Island

Filippo Sala
Il Grande Mercoledi
3 min readNov 29, 2017

Giorno 20 – 9 Ottobre 2015

Dopo una giornata di indecisione, ho improvvisato.

Non sapendo quale fosse il modo migliore per visitare il lago Bajkal, ho deciso per una due giorni sull’isola di Olkhon, una fetta di terra allungata che si affaccia sulla costa Ovest.

Daria, la giovane ragazza-receptionist dell’hostel, mi ha assicurato un passaggio in pulmino condiviso fino all’isola: 900 rubli.

Partiamo presto. Con me, ci sono altre persone.

Andiamo diretti al mercato, altri pulmini sopraggiungono. I turisti cono comunque pochi, 5–6 al massimo. La Siberia in Ottobre non è certo il posto dove un occidentale pensa di passare le proprie ferie autunnali.

Fermata dell’autobus, Siberia

Il minibus impiega circa 7 ore — con soste — fino all’imbarco. Attraversiamo la steppa, il nulla assoluto. È il primo vero assaggio di alienazione terrestre su 4 ruote. Ci sono paesaggi lunari, simpatiche fermate dell’autobus e qualche foresta di taiga colorata, di un giallastro che farebbe invidia a tutte quelle foto da cartolina che spesso si associano al Central Park più famoso del mondo.

Con me ci sono due ragazzi cileni. Due battute in una specie di autogrill lungo la strada. Non sono affatto socievoli, taglio corto.

Ci siamo. Un piccolo traghetto da 4–5 veicoli al massimo ci porta sull’isola.

Vedere un traghetto mi ricorda il mare. Molte cose in questo lago mi ricordano il mare. Il vento forte, gelido, mi ricorda le uscite in barca a vela a Dicembre.

Ancora qualche chilometro e siamo a Khuzir, l’unico paesino “turistico” di Olkhon. Praticamente non ci sono auto e non ci sono strade. Sembra un villaggio hippie che non si è mai accorto di esserlo. Animali liberi un po’ ovunque. Ma soprattutto, non c’è elettricità pubblica: durante la notte il paese è completamente al buio.

Torniamo a noi. Sta facendo buio ed io nella fretta ho prenotato su booking un hostel che non è un ostello. È la casa di una famiglia che ha costruito dei mini bungalow in legno nel proprio giardino (1000 rubli a notte).

Mi accoglie la figlia, una bionda siberiana dall’età indefinibile.

Il mio “ostello” sull’isola di Olkhon

Il mio “nido d’amore” è congelato. La temperatura è vicino allo zero ed accendere la stufa — adesso — non migliorerà le cose.

Anyway, esco subito a farmi un giro. Intuisco che la situazione non presenta un grande movimento notturno. Faccio scorta di patatine e biscotti per la serata. Il tutto innaffiato da una splendida acqua naturale siberiana.

L’isola è davvero deserta, silenziosa. Sulla spiaggia, oltre all’acqua cristallina, un campo da calcetto improvvisato. Questo lago sembra davvero un mare: sconfinato, battuto da un vento insolito.

Le strade, non asfaltate, sono dominate da animali che girano liberi. Mucche, cani e gatti sono lasciati a loro stessi, tra una vecchia macchina sovietica e l’altra.

Fa sempre freddo, ma si sta meglio.

Ho bisogno di una doccia. Lo scaldabagno non funziona, sarà la doccia gelata più gelata che abbia mai fatto. Il bagno invece, è esterno, in legno, rialzato. Ed è semplicemente un pavimento di travi in legno con una fessura che da su una buca scavata nella terra. Ancora non lo so, ma sarà il mio primo incontro con un bagno mongolo.

Prima di addormentarmi, leggo un po’ della biografia di Jasikevičius sul Kindle. Con un sacco di animali che, fuori dalla mie fragili mura in legno, si avvicinano per passare una notte rilassata in giardino.

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