Amici miei

Federico Iarlori
Il Mammo
2 min readMar 15, 2017

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È finito il tempo delle zingarate. Ecco cosa devono essersi detti i miei amici. Quelli che mi conoscono molto meglio di me. Niente più sigarette, niente più alcol, niente più bestemmie, niente più seratone fino all’alba, niente più viaggi, niente più “oh, guarda quella!”, niente più “oh, quella ti guarda!”, niente più calzini bucati, né mutande in prestito, niente più notti nel sacco a pelo, niente più pelo. Finito. Basta. Kaputt. Ora inizia la stagione della responsabilità.

C’è qualcosa di simile a un lutto di famiglia nascosto dietro al sorriso incredulo di un amico nel momento in cui realizza che diventerai papà. Qualcosa di assolutamente indecifrabile. C’è chi pensa “eh, alla fine s’è fatto fregare”, chi si dice “cazzo, meglio a te che a me”, chi si domanda “chissà quando troverò anch’io quella giusta”, chi constata l’evidenza: “non ce la farà mai”. Ma l’abbraccio e la frase che seguono sono un passe-partout da manuale: “sei contento? E allora bravo, complimenti!”. E poi: “Ragazzi, andiamo al bar?”.

La ridefinizione sociale di un aspirante papà è senza appello. È la scomparsa dell’uno per il tutto. Per la famiglia. Non più “come stai”, ma “come state”. Non più “che fai a capodanno”, ma “allora, avete scelto il nome”. Non più “buona serata”, ma “buonanotte”. Quanto vorrei dirvi, amici miei, che non sono cambiato e che non cambierò. Il problema è che forse è già successo, ma non me ne sono accorto.

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