C’era una volta (e c’è ancora) Tarantino

Andrea M. Alesci
Il Mentitore
Published in
2 min readOct 6, 2019

Le interruzioni, gli scarti, i repentini cambi di prospettiva, i meccanismi dei dietro-le-quinte delle vite.

E poi la visibilità dell’intollerabile che segna da sempre il lavoro di Quentin Tarantino: vogliamo parlare dei calli sotto i piedi di Pussycat / Margaret Qualley o dei piedi neri di sporco di Sharon Tate / Margot Robbie 😏, come non collegare queste indicibili visioni ai primissimi piani di bocche che trangugiano cibo in Giù la testa.

L’omaggio a Sergio Leone e agli altri registi italiani degli spaghetti western pervade C’era una volta a … Hollywood, e quando esci dopo due ore e quaranta di proiezione quello che ti rimane addosso è la magia del cinema.

L’essenzialità debordante di Quentin Tarantino è un elogio al cinema, con la sua regia freneticamente attenta ai dettagli eppure capace di distendersi in una dilatazione temporale degli eventi che Sergio Leone avrebbe apprezzato.

Il film è talmente complesso e stratificato la prima cosa a cui ho pensato appena uscito dalla sala è di volerlo rivedere. Ritornare di nuovo all’anno 1969 tra le biografie (inventate) di Rick Dalton / Leonardo DiCaprio e Cliff Booth / Brad Pitt, tra le storie (vere) di Sharon Tate, Roman Polanski e altri personaggi famosi (Bruce Lee, Steve McQueen) della Hollywood di fine anni Sessanta.

Ritornare alla piacevole mescolanza di finzione e realtà e a quel gusto per le cose che ci spiazzano, proprio alla fine.

C’era una volta a … Hollywood farà parlare di sé, alimenterà dibattiti, dividerà senz’appello. Per me resterà in ogni caso un grande Tarantino.

--

--

Andrea M. Alesci
Il Mentitore

Scrivo storie per piccoli umani, correggo testi per quelli grandi. Su Substack con la newsletter settimanale Linguetta.