Orientarsi nel silenzio con DeLillo

Andrea M. Alesci
Il Mentitore
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2 min readMar 16, 2021

Quando l’ho ritirato in libreria mi aspettavo una cosa grossa tipo Underworld, e invece per racchiudere il silenzio bastano un formato da 13x18 cm e poco più di cento pagine.

Diciamo che Il silenzio di Don DeLillo è una specie di minitablet o uno smartphone un po’ ciccione, e questa cosa ci dice tutto ancora prima che iniziamo a sfogliarlo e a leggerlo:

La storia comincia già dal contesto, sta già scritta nella fisicità del libro.

Si parla di essenzialità, di corpi ridotti all’essenzialità, di corpi svuotati dentro Il silenzio di DeLillo.

Tutto è ridotto al margine minimo, abbozzata la trama, accartocciati i personaggi; tanto che trascorso qualche giorno dalla lettura, i loro nomi ti fuggono dalla testa, evaporano inconsistenti e ti devi sforzare per ricordarteli. Perché sono evanescenti e confusi, come chi legge.
Siamo noi quella confusione.

Soltanto il senso di disorientamento ti resta appiccicato come colla alle zampe delle mosche. È tutto scomposto, senza possibilità di capire da che parte cominciare per rimettere insieme il quadro.

Disse: — È una di quelle situazioni in cui bisogna pensare a quello che vogliamo dire prima di dirlo?

È la confusione dei pensieri che nella storia di DeLillo si fanno vedere come interferenze luminose dentro un vecchio capannone abbandonato.

Quello che accade lo dice la quarta di copertina: “All’improvviso, non annunciato, misterioso: il silenzio. La tecnologia digitale ammutolisce”.

Non si racconta Il silenzio. Si sente.
Si percepisce nell’impotenza della vulnerabilità, dell’essere messi fuori uso dalle cose. Masse sconfitte dall’energia.

Descrivere la latenza, l’eventualità con i frammenti, come cercando di vedersi nel coccio di uno specchio nero andato in frantumi. Don DeLillo ci riesce.

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Andrea M. Alesci
Il Mentitore

Scrivo storie per piccoli umani, correggo testi per quelli grandi. Su Substack con la newsletter settimanale Linguetta.