#002 — The Martian (il libro)

Fantascienza si e no: il libro che ha ispirato il nuovo film di Ridley Scott è una commistione di ansia e amore per l’intelletto umano. E parla di cose non così lontane da noi.

Davide Rota
Il mercatino delle recensioni

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Genere: fantascienza
Mood: B-52
Ispirazione:
Moon — di Duncan Jones

Non sono mai stato uno di quelli “…no, preferisco il libro”. Adoro i film, adoro i popcorn e adoro passare quelle due ore al buio di un cinema a sgranare gli occhi di fronte al grande schermo. Quasi sempre i libri sono meglio delle trasposizioni cinematografiche, è ovvio. E mi ero ripromesso di non leggere un libro a ridosso dell’uscita nei cinema del relativo film, ma di far passare del tempo, per meglio godere di entrambe le cose. Ma questa volta ho fatto uno strappo alla regola.

Dopo la trilogia di Tolkien, The Martian è l’unico libro che mi sia capitato di leggere con così poco anticipo dalla prima del film e devo essere sincero, mi è piaciuto.

So che è un’operazione rischiosa, eppure sono stato attirato da questo diario fantascientifico come una mosca sulla merda di un cane. Vuoi perché sono attirato da tutto ciò che parla di spazio, marte, vuoto spaziale, gravità zero…vuoi perché il trailer del prossimo film di Ridley Scott mi ha lasciato così di sasso da non poter aspettare l’uscita nelle sale. Fatto sta che ho iniziato a leggere.

“Non mi ero mai reso conto di quanto totale sia il silenzio che domina Marte. È un mondo deserto, praticamente privo di atmosfera in grado di trasmettere i suoni. Riuscivo a sentire il mio battito cardiaco.”

The Martian è un libro fantascientifico (ma neanche troppo) scritto da Andy Weir e da cui è stato tratto il film The Martian — Il Sopravvissuto diretto da quel mostro di Ridley Scott. Parla della missione Ares III organizzata dalla NASA per esplorare Marte alla ricerca di qualcosa che possa aiutare l’uomo del futuro a scoprire di più sul proprio universo. Ma la missione — che evidentemente non è nata sotto una buona stella — viene abortita per l’arrivo di una mega tempesta di sabbia che travolge gli astronauti e nel quale il botanico-ingegnere di bordo, Mark Watney, viene travolto da un detrito e creduto morto dal resto della squadra, lasciato sulla superficie del pianeta alieno. E il libro parte proprio da questo momento: Mark dovrà affidarsi a tutte le sue capacità e attaccamento alla vita per riuscire a sopravvivere in un mondo ostile e cercare di contattare la terra per dire “Ehi, guardate che sono ancora vivo!” e portare a casa la pellaccia. Un viaggio in solitaria tra rover, HUB, sonde terrestri dimenticate,una buona dose di humor e principi scientifici.

Il sentimento che pervade il lettore fin dalle prime righe è uno stato di ansia estrema. Ansia crescente che non si attenua fino all’ultima riga dell’ultima pagina. Un uomo abbandonato a mille milioni di miliardi di km da casa, tutto solo, con poco ossigeno e pochi viveri, in balia di condizioni estreme e su un pianeta dove nessun uomo è stato prima. Quindi? Penserete giustamente voi; esistono tantissimi libri che ti proiettano in un mondo simile e sono in grado di farti provare quelle sensazioni. Si. Avete perfettamente ragione, ma questo libro è scritto quasi tutto — ad eccezion fatta dei pochi capitoli dedicati agli uomini di Houston e all’equipaggio sulla strada di ritorno per la terra — come un diario di bordo e personalmente ho trovato questa tipologia particolarmente adatta allo scopo: farvi venire l’ansia.

Il diario di bordo non è niente di innovativo — ri-direte voi che siete puntigliosi — e io vi risponderò che lo so benissimo. Ma è semplicemente molto ben usato. Il libro intero non ha portato ad una rivoluzione della letteratura di genere, non si tratta certo di Cronache Marziane. Niente storie lontane millenni dalla nostra vita quotidiana, niente incontri ravvicinati del terzo tipo, niente scorrazzate a bordo di navicelle che saltano da un pianeta all’altro e soprattutto, niente di tutto ciò che libri e film ambientati sulla superficie del Pianeta Rosso abbiano mai trattato.

La realtà fa male. Ecco di cosa parla questo libro. La sua essenza sta proprio nel prendere un evento poco distante da noi — le missioni che porteranno l’uomo su Marte — e costruirci attorno una sequela di incidenti e sfighe degne del peggior Paolino Paperino. Il povero Watney passa più di un anno terrestre cercando di restare vivo, isolato dal resto dell’umanità e immerso in un paesaggio inquietante e ostile. E ogni minimo incidente, ogni minima cazzatina, che sulla Terra richiederebbe 5 minuti del suo tempo per essere risolta, diventa talmente rischiosa da mettere a repentaglio la sua vita in più di un’occasione.

Solitudine quindi. Subito dopo l’ansia sarete accompagnati da uno sentimento di solitudine ineguagliabile. Avete presente quel film dove due turisti restano a galleggiare in mezzo all’oceano come due baccalà? Ecco. Peggio. In questo caso vi sentirete coinvolti emotivamente con il nostro eroe che racconta qualcosina del suo passato e pensa ogni tanto ai propri cari. E vi ritroverete a mangiar pagine su pagine nella speranza che quella maledetta falla nell’HUB non abbia compromesso le risorse di Watney. E ancora vi troverete a percorrere ogni singolo km a bordo del rover e condividere le considerazioni sull’odore nauseabondo al suo interno dopo mesi di non-docce.

Intelletto umano anche. Tanto intelletto. E tanto spirito di iniziativa e giusto “un pizzico” di problem solving, tanto che se non fosse stato creato come un personaggio statunitense, verrebbe quasi da chiedersi se non proviene dal Bel Paese. Andy Weir evidentemente è appassionato del genere umano e nutre per esso un amore infinito. Perché ha donato a Watney un carattere estroverso che, direte voi, può anche non servire durante un periodo così lungo in solitaria, ma che effettivamente allieta la lettura durante le lunghe sessioni di costruzione di qualche marchingegno scientifico e/o durante le operazioni di trasformazione di un composto chimico in un altro. E soprattutto ha dotato il nostro astronauta di un genio e di una capacità di improvvisazione fuori dal comune. The Martian — Il sopravvissuto è quindi una ode al nostro miglior “saper fare”, quello che rende le persone uniche al mondo e a volte l’essere umano una macchina perfetta.

Perché tutte queste seghe mentali per un libro che non entrerà mai a far parte della storia della letteratura? Perché è un libro che ho divorato e solitamente sono uno che legge con caaaalma e perché è un libro che mi ha fatto provare tutte queste emozioni e tante altre. E per la prima volta ho la certezza che quando uscirò dalla sala dirò “…no, preferisco il libro”.

Insomma, il film è già nelle sale italiane, ma se posso darvi un consiglio: leggetevi prima il libro…e poi godetevi lo Scott-capolavoro!

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Davide Rota
Il mercatino delle recensioni

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