Angkor, la città perduta nella giungla

Il mondo in una volta
Il mondo in una volta

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Sono le 5 di mattino, fuori fa ancora buio pesto. La luna brilla in alto, traballa; sa che presto verrà spazzata via dal sole feroce della Cambogia. Camminiamo in silenzio, come se fosse una regola non scritta. Come se una qualunque parola o rumore potesse rompere la magia del posto. Ci fermiamo ai bordi dello stagno. Ci sediamo nell’erba bagnata di rugiada e aspettiamo.

Incominciano a filtrare i primi raggi di luce. Il cielo si tinge di rosa, il sole scalcia le nuvole ai margini, verso la giungla, e traccia i confini come un pittore con la sua matita. L’acqua riflette il grande dipinto davanti a noi. C’è qualcosa di irreale e dolce nell’alba di Angkor Wat: è come se l’edificio, l’intero mondo si stesse risvegliando da un sogno durato chissà quanto. Le forme si fanno dorate, maestose: è mattina. E solo ora ci accorgiamo di non essere soli e la presenza delle persone si fa ingombrante.

Rosa di sera bel tempo si spera

Angkor

Arriviamo a Siam Reap la sera del 4 ottobre sotto una pioggia tropicale. Siamo in viaggio da un mese, ed è proprio il trentesimo giorno a regalarci l’emozione più forte: Angkor.

Angkor è uno straordinario sito archeologico che si estende per 400 km² nella giungla cambogiana, non lontano da Siem Reap. Qui giacciono i resti dell’antica civiltà Khmer, la più potente del sud-est asiatico per oltre 500 anni. Sempre qui si trova il più grande monumento religioso al mondo.

Angkor Wat è il simbolo della Cambogia, la più grande attrazione del paese, l’edificio che si trova sulla bandiera della nazione. Ma Angkor è il simbolo di qualcosa di molto più grande, umano e profondo, che non riguarda solo la storia cambogiana. È un luogo dove la natura si è ripresa il suo spazio, ha messo le radici: i resti dei templi si intrecciano a grandi alberi, rami e blocchi di pietra si sovrappongono ed è difficile capire chi è nato prima e cosa dipende da cosa. Un’armonia naturale che funziona meglio di qualsiasi calcolo razionale.

Vecchi che guardano cantieri — olio su tela

Abbiamo scattato migliaia (letteralmente) di foto, ma nessuna riesce minimamente a restituire il quasi infantile stupore misto a piacevole soggezione che si prova mentre ci si immerge nella giungla alla scoperta di questi luoghi che sembrano appartenere a un’altra dimensione. Ci affidiamo allora alle sagge parole di qualcun altro, sperando di riuscire a trasportarvi ad Angkor almeno con la fantasia, almeno per qualche secondo.

Ci sono alcuni posti al mondo in cui uno si sente orgoglioso di essere membro della razza umana. Uno di questi è certo Angkor. Dietro la sofisticata e intellettuale bellezza di Angkor c’è qualcosa di profondamente semplice, di archetipo, di naturale che arriva al petto senza dover passare per la testa. In ogni pietra c’è un’intrinseca grandezza di cui uno finisce per portarsi dietro la misura.
Non occorre sapere che ogni particolare aveva per i costruttori un suo significato, che ogni pietra, ogni scrittura, ogni cortile, ogni pinnacolo erano tasselli dell’immenso mosaico che doveva raffigurare i vari mondi, compreso quello superiore, con al centro il mitico Monte Meru. Non occorre essere buddhisti o hindu per capire. Basta lasciarsi andare per sentire che ad Angkor, in qualche modo, ci si è già stati.
Un indovino mi disse, Tiziano Terzani

Giardini Merluzzo, Piacenza

I templi di Angkor non si ripetono e non annoiano mai. Quando avevamo letto che due/tre giorni non sarebbero bastati a visitarlo, pensavamo fosse un’esagerazione. E invece potresti passare intere giornate tra le teste sorridenti nella pietra di Byon, tra le colonne decorate intrecciate ai tronchi rugosi di Ta Prohm, e i gradoni di Phimeanakas, il “tempio celestiale”. Impossibile non emozionarsi davanti ai prati verdi, di un verde che da noi non esiste, tra un tempio e l’altro, i raggi di luce tra le piante, i colori dell’acqua che circondano Neak Pean.

Il fascino che avvolge il luogo non viene rotto dai visitatori, dalle auto, dalle biciclette e dai tuk-tuk che si riversano ogni giorno ad Angkor. Forse perché è tutto così grande che i turisti si disperdono facilmente, e si ha sempre la sensazione di essere soli o quasi. O forse non c’è una spiegazione logica: è tutto magico nel cuore della giungla.

Selfies

Tornare da una giornata ad Angkor è come tornare dal cinema dopo aver visto un film grandioso, di quelli con un milione di sottotrame, con citazioni nascoste e significati su significati da scoprire. E allora cominci a leggere storie, leggende e superstizioni e improvvisamente non sei più nella tua stanza. Improvvisamente sei di nuovo ad Angkor, all’ombra di quel grande albero che sovrasta quella faccia scolpita nella pietra che non smetterà mai di sorridere. E non saprai mai perché.

Originally published at www.ilmondoinunavolta.com on October 8, 2018.

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