Il treno notturno che ci ha portato in Azerbaijan

Il mondo in una volta
Il mondo in una volta

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Mentre stiamo scrivendo, il treno procede a passo d’uomo in una landa desolata. In lontananza le montagne sabbiose tagliano l’orizzonte. Non c’è spazio per il verde. Da qualche parte, dritto davanti a noi, dovrebbe sorgere Baku, la capitale dell’Azerbaijan. Ci siamo svegliati così stamattina, nella nostra cabina del treno notte Tbilisi-Baku.

Svegliarsi bene

Attraversare il confine tra Georgia e Azerbaijan con il treno numero 37 è stata un’esperienza per certi versi unica. Per altri, non diversa che affrontare un lungo tragitto su un regionale italiano.

Ma andiamo con ordine.

Il nostro viaggio verso Baku inizia nel pomeriggio, quando un taxista (in realtà non ci è ancora chiaro se fosse davvero un taxista o semplicemente un cittadino in cerca di qualche spicciolo) ci accompagna alla stazione dei treni. Guida rigorosamente a destra, bombola di gas nel baule ma niente tassametro. Quando arriviamo a destinazione, scrive con il dito “15” nello sporco del vetro posteriore della macchina. Proviamo timidamente a contrattare ma non siamo ancora molto abili nell’arte mercantile.

Contro ogni aspettativa, il treno è già fermo in stazione — manca più di un’ora alla partenza. Sul binario troviamo diverse coppie, un paio chiaramente non del posto, e qualche famiglia. Questo ci tranquillizza non poco. Sbirciando le nostre cabine, ci rendiamo subito conto che optare per la prima classe è stata un scelta più che saggia: per soli 10 dollari in più, abbiamo una cuccetta tutta per noi.

Homeless con Coca Cola

Il treno è vecchio, molto vecchio, ma non è così male. Probabilmente è più pulito della maggior parte dei treni italiani. Solo il bagno è brutto forte, quasi un pezzo di storia per l’odore che ne esce e per gli accessori che propone. Non che pretendessimo chissà quale toilette di lusso.

Sul treno non c’è nulla di scritto o tradotto in inglese. La hostess di viaggio ci porta un sacchetto sigillato al cui interno ci sono delle lenzuola “pulite”. Anche lei sembra non parlare una parola di inglese, e chiaramente non gradisce il fatto che non capiamo una parola di quello che dice.

Un punto a favore per il treno è la partenza puntuale, spaccato come un orologio. Punto, questo, che perde poi sul finale, considerato che arriviamo a Baku con due ore di ritardo. Senza nulla togliere ai servizi georgiani, non ci aspettavamo comunque la puntualità dello Shinkansen.

HIlton

Ma la vera avventura sul treno notturno numero 37 è il passaggio di confine tra Georgia e Azerbaijan. Prima di partire, avevamo letto in internet storie non troppo piacevoli sulla frontiera. I racconti parlavano di ufficiali armati piuttosto tesi, pronti a chiederti più e più volte “sei mai stato in Armenia?”

Arriviamo al primo passaggio di confine dopo poco più di un’ora di viaggio. Gli ufficiali georgiani si mostrano sorridenti e piuttosto rilassati: ritirano semplicemente il passaporto e fanno il timbro di uscita.

Ingenuamente pensiamo che la trafila sia finita qui, tant’è che quando i militari bussano di nuovo alla nostra porta, siamo già a letto, in pigiama e mezzi addormentati (probabilmente anche per colpa dei due brindisi di vodka con i vicini di cuccetta di Dubai).

Rassettati in fretta e furia, un poliziotto azero (forse ubriaco?!?) ci ritira di nuovo i passaporti, ci fa qualche domanda confusa sul contenuto dei nostri bagagli e ci augura buon viaggio. Ancora una volta, con un po’ di arroganza, sbeffeggiamo i poco temerari viaggiatori di cui avevamo letto su internet.

Ma ci sbagliamo, il bello deve ancora arrivare. Dopo una mezz’ora di quiete, la decisamente poco simpatica e del tutto non collaborativa hostess del treno chiama

“Vigano”

senza alcuna emozione nè accento. Uno dopo l’altro, veniamo accompagnati in una stanza stretta in fondo alla carrozza. Qui comincia il vero interrogatorio, dai toni poco delicati. Ci viene chiesto più volte se siamo stati in Armenia, veniamo fotografati, i nostri passaporti vengono scrutati pagina per pagina. Impossibile non notare il fucile al fianco dell’ufficiale che sembra urlare “se c’è bisogno sono qui”.

Ancora non sappiamo cosa succede a chi ha effettivamente visitato l’Armenia. Noi abbiamo avuto il nostro timbro sul passaporto.

Originally published at www.ilmondoinunavolta.com on September 10, 2018.

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