Fare un lavoro che non ti piace

Simone Barilaro
Il peso delle parole -
5 min readJun 19, 2022

Ecco perché sono grato ad un lavoro che non mi faceva dormire la notte.

Banale grafica fatta con Canva.com

È da quando siamo piccoli che ci martellano la testa con ‘sta cosa del lavoro.

I nostri genitori.

I nostri amici.

Il telegiornale.

TUTTI.

Poi quando cresci cominciano i: “allora, come va con il lavoro?” oppure “hai iniziato a lavorare?”. E magari hai solo sedici anni.

A sedici anni io pensavo solo al miglior modo — il più creativo! — per evitare di farmi sospendere da scuola o come evitare di far passare la pagella del primo quadrimestre per le mani di mio padre. Per entrambe, giusto per informazione, ho fallito miseramente.

Però comunque il tarlo dalla testa del “devo lavorare ed esser indipendente” non te lo togli mica dalla testa.

Ma che significa davvero lavorare?

Sostanzialmente secondo Treccani (che un minimo di definizioni ce dovrebbe capì), questo:

In senso lato, qualsiasi esplicazione di energia volta a un fine determinato. In senso più ristretto, attività umana rivolta alla produzione di un bene, di una ricchezza, o comunque a ottenere un prodotto di utilità individuale o generale.

Quindi insomma ci insegnano da subito che è importante lavorare, perché il lavoro nobilita l’uomo!!! E anche la donna ovviamente.

Però quelli che parlano del lavoro dei sogni o del “fare un lavoro che si ami” sono sempre la minoranza. Ma com’è?

Provo a dire la mia. Secondo me, il lavoro dei sogni non esiste. Il lavoro è lavoro. Alcuni senza ombra di dubbio ti semplificano la vita, soprattutto dal punto di vista economico, però ognuno di essi — come tutto nella vita — ha pro e contro. E vanno messi sul piatto della bilancia quando si sceglie.

Esiste però il lavoro che ami. Lavori eh, però ci pensi meno che sia lavoro. E ti riempe il cuore. Magari perché hai colleghi fantastici, percepisci un’ottimo stipendio ed hai il tempo per te e per le persone a te care.

Io oggi, per dire, faccio un lavoro che amo. Per chi se lo chiede lavoro qui, con loro.

Prima del mio lavoro attuale, facevo un lavoro che mi faceva letterlamente cagare. Avevo gli incubi la notte. Avevo 18 anni.

Ho lavorato per circa 6–7 mesi in un negozio di cover in un centro commerciale. Un umile — e acerbo — commesso con un pessima predisposizione alla vendita troppo diretta. In quei posti il tempo non passa mai e se passa neanche te ne accorgi (i centri commerciali non hanno finestre per questo motivo).

Il peggior lavoro che potessi mai desiderare insomma. Aveva davvero tutti i requisiti affinché lo fosse:

  • Un capo iper mega aggressivo e apprensivo con le manie di controllo. Tipo che se ti sedevi dietro al desk, vedendolo dalle telecamere, ti chiamava per riprenderti.
  • Uno stipendio da miseria. Di quelli che non racconti per evitare di mettere la testa sotto terra.
  • Una fatica immane. Milioni di persone che entrano in negozio, a cui devi fare sempre la stessa dimostrazione e beccarti occasionalmente anche un paio di vaffanculo. Poi comunque 8 ore in piedi non sono una passeggiata.

Ovviamente, visto che detestavo quello che facevo, ne ho combinate di tutti i colori. Ho sbagliato chisura cassa almeno quattro-cinque volte. Diverse mattine mi sono dimenticato le chiavi per aprire il negozio nel centro commerciale. Ho balbettato circa 600 volte davanti ai clienti. Di tutto, davvero.

Però almeno c’era Valerio. Il mio manager. Un nerd assurdo con il doppio della mia età.

Io ancora non sapevo cosa avrei voluto fare da grande e stavo per iniziare l’università. Anche al momento non sono sicurissimo di quello che voglio fare da grande. Ma ci sono molto vicino. Lo sento.

Si, ma che c’entra Valerio?

Che c’entra Valerio? Valerio, lo racconto ancora oggi, è stata la mia svolta professionale e tra le più grande fortune della mia vita.

Esagerato penserai oppure “non è che sotto sotto ci devi dire qualcosa che non sappiamo?”

No. Non esagero.

Valerio era, ed è tutt’oggi, un super nerd.

Quando lavoramo insieme parlavamo quasi solo esclusivamente di tecnologia, informatica e innovazione. Poi per una minima percentuale del totale, anche di donne. Giusto per staccare un attimo il cervello che ci friggeva.

Così mi sono accorto dopo un paio di mesi che le ricerche che facevo su Google e su YouTube, quando non ero a lavoro, erano sempre più affini ai temi di cui discutevo con il mio manager.

E quindi? La mia passione per il digital, il marketing e il tech era solo latente!

Doveva solo trovare il modo per uscire fuori.

Poi negli anni è stato un crescendo esponenziale. Un crescendo del tipo che mi è anche capitato dopo qualche anno di esser fotografato dall’altra parte della cattedra mentre raccontavo a studenti dell’università come trovare lavoro nel digitale. Ho le prove. Allego foto per i più diffidenti.

Ancora oggi non ho la barba.

Oggi e non scherzo, se faccio un lavoro che amo, lo devo per moltissima parte a Valerio. Il mio manager e amico iper nerd. Se faccio i soldi te faccio un bonifico promesso.

Facendo due conti aggiornati al 2022:

  • Faccio un lavoro che amo.
  • Ho diverse fonti di reddito. Ma ancora non c’ho na lira sia chiaro.
  • Ho degli obiettivi — scritti e che provo a perseguire con le mie azioni nel quotidiano — che mi stimolano.
  • Ho delle persone che adoro e che (teoricamente) adorano me.
  • Faccio sport più di 3 volte a settimana.

Pensate se non ci fosse stato ‘sto lavoro che tanto ho detestato e che mi fece scoprire l’acidità di stomaco così da sbarbato!!

E dunque?

Ovvio non ti lascio a piedi. Provo a concludere lasciando qualche action point (come dicono quelli forti del mio mondo!!) per aiutarti a quagliare qualcosa da un lavoro che odi:

  1. Accetta che fa parte del percorso.
  2. Tieni ben a mente che potrebbe esser davvero utile da qui a qualche tempo.
  3. Concentrati a costruire relazioni vere e sincere con le persone più interessanti e in gamba di te.
  4. Affina quelle competenze che pensi ti potrebbero esser davvero utili un domani.
  5. Cerca sempre di mantenere un attegiamento giusto. Le persone negative attraggono cose negative.
  6. Pianifica, nel mentre, la tua rinascita. Magari altrove da dove sei ora.
  7. Tieni un diario delle cose che hai imparato di nuovo e di quelle vorresti impare.
  8. Parla con chiunque e fai tante domande. Anche quelle che pensi siano stupidissime.

Soprattutto l’ultimo punto per me è stato quello magico. Pensa se a Valerio non gli avessi fatto domande da bambacione!!

Il peso delle parole è una rubrica scritta senza bozze, revisioni o feedback di alcun tipo. Non vi è una frequenza di pubblicazione dettata da nessuno. Raccoglie pensieri, sensazioni e riflessioni derivanti dalla quotidianità di un romano, con un leggero stile umoristico e tanti errori di battitura.

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