Ozio vs Riposo

Simone Barilaro
Il peso delle parole -
6 min readAug 21, 2022

Idleness vs rest, per quelli che adorano gli inglesismi.

Oziare e riposare sono due attività ben distinte. Sia chiaro.

Detesto chi le affianca, le mescola o chi in maniera molto superficiale, gli attribuisce lo stesso significato.

Partiamo dalle basi. Anche secondo la Treccani le terminologie sono diverse:

Oziare

Stare in ozio, stare senza far nulla, astenersi da ogni occupazione o attività utile: passare il tempo oziando; sfaccendati che oziano per le strade dalla mattina alla sera.

Riposare

Cessare, smettere momentaneamente un’attività, e quindi sostare, prendere tregua per sollievo e ristoro fisico e psichico

Allego le etimologie solo perché so già bene che credi più ad una fonte autorevole come quella sopracitata piuttosto che ad uno sbarbato romano di venticinque anni.

Scrivere un’intro più formale e quindi non alla me, mi aiuta a riprendere il filo di quello che vorrei raccontare in maniera esaustiva in questo blog post — non lo ripeto perché sono certo che hai capito il tema.

Riprendo il filo.

Qualche giorno fa su LinkedIn, scrivevo questo:

Avevo annunciato che avrei scritto sull’argomento, ma non pensavo alle 23:19 di una domenica di fine agosto.

La verità è che io l’ozio, l’ho sempre trovato sgradevole. E il riposo un’ottima arma per ricaricarsi. Ma nel mio caso, ricaricarsi come?

Portando a termine, anche in giornate di riposo, high-impact activities. Che possono essere ad esempio:

  • Leggere libri
  • Fare sport (cardio + forza)
  • Fare esperienze nuove
  • Studiare un paio di ore un corso online
  • Fare una video-chiamata per conoscere nuove persone
  • Fare un consulenza
  • Scrivere
  • Leggere blog
  • Chiamare una persona che non sento da tempo
  • Aiutare, pro-bono qualcun* a portare a termine un’attività

Azioni che a fine giornata mi facciano sentire fiero. Positivo.

Non è lavoro. E’ piacere. E io non credo in quelli che quando vanno in ferie per due settimane spengono il pc — e il cervello — e non l’accendono fino al “rientro in ufficio”.

Impossibile per me.

L’ozio è diabolico. Ma mi è capitato in passato e mi capita di rado di oziare.

Anzi, oziare forte e chiaro. Tipo:

  • Stare un pomeriggio intero al telefono
  • Stare a letto tutto il giorno. Se hai sofferto di depressione ne sai qualcosa, ne sono certo :)
  • Uscire solo per un caffè al bar

Oggi sorrido, perchè le persone che conoscono meglio di tutte questa mia visione delle cose, sono i miei genitori.

Ancora oggi, essendo uno che sta spesso in giro tra Italia ed estero, i miei si preoccupano moltissimo per il mio benessere psico-fisico. Hanno paura e ci sta, visto il mio storico.

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Non te fermi mai, poi se succede qualcosa voglio vedè se me chiami”, dice spesso mio padre.

Ti devi preoccupare quando non mi vedi fare così”, rispondo sempre io.

E la conversazione si conclude così. Tutto torna a posto. Tutti sereni a casa. Io continuo a girare come una trottola intento a provare il maggior numero di cose mai fatte e loro che periodicamente mi lanciano questa avvertenza.

Ma con un figlio unico, perlopiù ansioso a livelli catastrofici dal giorno della sua nascita, come dargli torto.

Per questo dico che per me il weekend è come il lunedì o il giovedì. Perchè non ozio. Ho sempre qualche bella idea (e che fortuna!) su come spendere il tempo. Ho sempre qualche interesse da coltivare o qualche cosina da fare che mi stimola. Che bello davvero.

Penso di rientrare nel 5% della popolazione italiana (ipotizzo, non ho dati alla mano) che si è davvero goduta il tempo in lockdown. Ho iniziato e portato avanti mille cose.

La verità però è un’altra.

Che questo articolo nasce si dall’anticamera del mio cervello, ma anticamera in cui era sepolto questo articolo di Paul Graham.

Do un bel quaranta per cento del merito di questo scritto al suo blog — che lessi forse 1 anno fa? — in particolare all’articolo appena citato a cui personalmente devo molto.

O meglio, non al suo articolo proprio, ma a l’ispirazione che ho avuto leggendo lo scritto del grande Paul.

Da li, ci tengo ad allegarti alcune righe che mi hanno fatto venire i brividi per quanto mi ci sono ritrovato. Spero davvero che anche tu, povero “inetto agli occhi degli altri” possa provare le stesse sensazioni che ho provato io:

It’s straightforward to work hard if you have clearly defined, externally imposed goals, as you do in school. There is some technique to it: you have to learn not to lie to yourself, not to procrastinate (which is a form of lying to yourself), not to get distracted, and not to give up when things go wrong. But this level of discipline seems to be within the reach of quite young children, if they want it.

What I’ve learned since I was a kid is how to work toward goals that are neither clearly defined nor externally imposed. You’ll probably have to learn both if you want to do really great things.

The most basic level of which is simply to feel you should be working without anyone telling you to. Now, when I’m not working hard, alarm bells go off. I can’t be sure I’m getting anywhere when I’m working hard, but I can be sure I’m getting nowhere when I’m not, and it feels awful.

There wasn’t a single point when I learned this. Like most little kids, I enjoyed the feeling of achievement when I learned or did something new. As I grew older, this morphed into a feeling of disgust when I wasn’t achieving anything. The one precisely dateable landmark I have is when I stopped watching TV, at age 13.

Several people I’ve talked to remember getting serious about work around this age. When I asked Patrick Collison when he started to find idleness distasteful, he said

I think around age 13 or 14. I have a clear memory from around then of sitting in the sitting room, staring outside, and wondering why I was wasting my summer holiday.

Perhaps something changes at adolescence. That would make sense.

Strangely enough, the biggest obstacle to getting serious about work was probably school, which made work (what they called work) seem boring and pointless. I had to learn what real work was before I could wholeheartedly desire to do it. That took a while, because even in college a lot of the work is pointless; there are entire departments that are pointless. But as I learned the shape of real work, I found that my desire to do it slotted into it as if they’d been made for each other.

Io non sono nessuno a cui dovresti credere se ti dicessi “l’ozio è terribile, trovati qualcosa da fare!” ci mancnehrebbe.

Ma la Treccani e Paul Graham si.

Ecco, non ascoltare me. Ascolta loro.

L’ozio oltre che diabolico è una subdola trappola che mangia il tuo tempo.

Il riposo invece no. I rest-days sono la perfetta occasione per recuperare le forze, ritrovare i propri ritmi e dedicare una piccolissima frazione della giornata a qualcosa che abbia impatto positivo sulla propria vita.

Qualcosa che a fine giornata, quando ti stai togliendo i calzini per metterti sotto le lenzuola (li togli vero?), ti faccia sentire pieno di cose belle nel cuore.

Cose belle non è scritto a caso. Quelle emozioni non ha un termine esatto che le descrive, tu sol* sai come sono.

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Il peso delle parole è una rubrica scritta senza bozze, revisioni o feedback di alcun tipo. Non vi è una frequenza di pubblicazione dettata da nessuno. Raccoglie pensieri, sensazioni e riflessioni derivanti dalla quotidianità di un romano, con un leggero stile umoristico e tanti errori di battitura.

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