10, 100, 1.000 Freaks Out

Angelo Callegarin
Il Regno di OZ
Published in
8 min readNov 21, 2021

Sono un appassionato di cinema.

Se qualcuno di voi ha occupato il suo tempo leggendo qualcuna delle cose che pubblico se ne sarà reso conto. Amo i film, amo le storie e amo (ovviamente) quelle raccontate bene.

Che poi, rendiamoci conto, fare un film riuscito è quasi un miracolo. Ma ci pensate a quante cose devono filare lisce perché il risultato finale che vedete in sala sia qualcosa di memorabile, o di almeno decente? Guardate i titoli di coda e comprendete bene questo: ognuna di quelle persone deve aver fatto bene il suo lavoro per poter avere un bel film.

Qualcuna di quelle persone deve avere fatto un miracolo, invece.

Un film non è “la regia” o “la sceneggiatura” o “gli attori”. Un film è in particolare il risultato di un compromesso tra la visione di chi scrive la storia, di chi la dirige, di chi la produce (che spesso sputtana tutto proprio perché mettendo i soldi pesa di più), di chi la recita. È un mix di tutte queste cose (e di altro, tipo scenografie, fotografia, musica…) e se alla fine la colpa maggiore se la prende il regista che ci mette la faccia, bisogna essere consapevoli di tutto questo quando si parla di cinema.

E soprattutto bisogna esserlo quando si scoprono piccoli e grandi capolavori, perché bisogna apprezzare quante miriadi di cose siano andate bene perché tu possa godere di cotanta bellezza.

Ecco, io in queste ultime settimane ho passato un paio di domeniche al cinema: la prima mi sono guardato “Eternals”, la seconda mi sono guardato “Freaks Out”.

Forse il titolo di questo pezzo vi spoilera cosa mi sia piaciuto di più.

Caso vuole che sia andato al cinema entrambe le volte con la stessa coppia di amici e che loro abbiano adorato entrambe le pellicole. Deduco quindi che, essendo anche loro dei cultori dei bei film, pure “Eternals” abbia i suoi meriti, sebbene io non li abbia visti. Anche i 400 Calci si sono ritrovati a dover gestire una faida interna su questo film, pubblicando una doppia recensione proprio per questo motivo.

Sono quindi sicuro che “Eternals” abbia fatto qualcosa di buono, però si vede che a me non è arrivato.

A me è arrivata invece, per la prima volta da quando guardo film Marvel, la voglia di uscire dal cinema prima di prendere sonno. A seguire, dopo averci ragionato a mente fredda, mi è anche arrivata voglia di andare a prendere a schiaffi regista, sceneggiatore, produttore, attori e tutto il resto di chi ha partecipato. Sì, anche quello che portava i caffè al cast, anche lui se li merita.

Come dicevo, i 400 Calci ci hanno già scritto sopra una bella doppia recensione per cui conviene vi leggiate quella, ma di base il problema di quel film è che… ah boh, tutto? Stavo provando a trovarne uno alla base, ma dopo cinque minuti a guardare il cursore che lampeggia non ho saputo individuare una carenza che sia la causa di tutto.

Facciamo una lista, va’, in ordine sparso.

La regia. Sì, i Marvel devono seguire una certa struttura, un certo filone riconoscibile, un certo mood, ma la totale mancanza di personalità di questo film è sconvolgente. E la regista è anche un Premio Oscar? Dove si vede un tocco quanto meno un pizzico fuori dagli schemi? Qua io temo ci sia stata la classica ragazza brava a scuola a cui dai delle indicazioni precise su cosa fare e lei fa esattamente questo perché la maestra ha detto così e si fa così. Temo non abbia nemmeno provato a proporre una sua visione, ma si sia proprio adattata alle regole e basta

La storia. La piattezza, la prevedibilità, la noia. Non riesco nemmeno a metterci un verbo per descrivere come hanno sceneggiato questo film. Qualcuno ha osato paragonarlo a “The Blues Brothers” perché girano il mondo raccogliendo membri della squadra in diversi posti, ma spero fossero ironici. In ogni caso non ho mai visto una linea così piatta se non nell’encefalogramma di certi personaggi televisivi.

E parlando di personaggi. Questi dovrebbero essere semidei, sulla Terra da tipo 7.000 anni, e si comportano ancora come l’adolescente sotto casa che non ha ancora capito niente della vita. Dov’è la saggezza, il distacco, la comprensione che si dovrebbero acquistare dopo aver vissuto migliaia di anni di storia, di vita, di esperienze? Dov’è la capacità di giudizio?

Ecco, scrivendo sono arrivato anche al punto focale che prima mi sfuggiva: qui dentro manca qualsiasi emozione. Anche quella che dovrebbe essere la rappresentazione di una storia d’amore che dura da decine di secoli sembra una pubblicità patinata, con queste due bambole di plastica che passeggiano tra i babilonesi, si scambiano sguardi, giocano col cibo e si dedicano a qualsiasi altro stereotipo possiate immaginare. Mancava solo che si mettessero a creare un vaso d’argilla insieme, e avremmo raggiunto l’apoteosi.

Gli unici due che riescono a trasmettere qualcosa sono Ciccio Pasticcio e Peter Pan (i nomi non me li ricordo e non ho voglia di cercarli), ma sono un piccolo soffio d’aria fresca (anche se poco sensata) in un mare di aria stantia e morta.

Ultima nota, poi passo alla parte bella di questo articolo: l’inclusività. Giudicare figo ‘sto film solo perché dentro c’è l’indiano, il messicano, l’asiatico, il gay e così via è una puttanata. Se il film fa schifo è inutile che guardo a quanto politically correct sono riusciti ad essere quelli della Marvel: è una cosa che mi fa incazzare ancora di più, altro che. Come dire che Black Panther è figo perché finalmente i protagonisti sono tutti neri. Ma se la storia è banale e già vista, il film non è bello neanche se ci metti dentro l’intera gamma di possibili minoranze del mondo.

Per cui, andiamo avanti e parliamo invece del perché la domenica degli “Eternals” sono uscito dal cinema annoiato e infastidito, mentre la domenica di “Freaks Out” sono uscito emozionato ed eccitato.

Risposta breve: perché quest’ultimo è un bellissimo film.

Risposta lunga: ora la vediamo.

Intanto, se vogliamo parlare di inclusività e se la sfida si basasse davvero su chi presenti sullo schermo, qui hai nani, uomini e donne lupo, bambini, tedeschi, ebrei, persone down, omosessuali, storpi, disagiati. Se questo fosse il metro di paragone per un critico che guarda solo al politically correct (spoiler, non io), “Freaks Out” vincerebbe a mani basse.

A me però, interessa poco di quanto un film sia inclusivo, ma di quanto sia fatto bene.

E questo, rarità nel panorama italiano appiattito su storie sempre uguali a se stesse, è un film fatto bene.

Non mi azzarderò a dire che sia un film perfetto (anche se ogni potenziale “difetto” è probabilmente una scelta artistica consapevole, per cui nemmeno ne parlerò). Dirò però che è un film che Stephen King adorerebbe visto quello che dice sempre quando si tratta di storie, e cioè (parafrasando, ma non troppo) che è inutile che ci metti la carrozzeria di una Ferrari se poi il motore è quello di una 500.

Beh, se “Eternals” è solo l’ologramma di una Ferrari, “Freaks Out” è una Lamborghini Murcielago, invece, dentro e fuori. Una solida, potente macchina da corsa che ti porta avanti senza nemmeno farti sentire che il tempo sta passando. Una storia piena, non aria fritta o momenti vuoti, solo chiacchiere e distintivo. No, questo è un film in cui succedono cose, in cui esci e alla fine ti chiedi che cosa hai davvero visto.

È una storia piena di emozioni, di meraviglia, di amore, di paura, di dolore. Di vita. È questo il segreto di “Freaks Out”: la vita, l’energia, le emozioni che lo riempiono. Le stesse che ti trasmettono i personaggi che vivono sullo schermo e che sono reali, forti, presenti. Ognuno di loro ha una solidità che li rende più veri del vero. E se forse a volte hanno qualche tratto “esagerato”, questo invece di stonare li rende ancora più reali. Esattamente come la storia, anche i protagonisti sono pieni: pieni di vita e delle contraddizioni e particolarità che distinguono ognuno di noi che viviamo invece nel mondo reale.

C’è quindi stato uno studio dei personaggi molto approfondito, sia da parte di chi li ha scritti, sia da parte di chi li ha interpretati. Si nota come ognuno di loro abbia dietro di sé una storia, come ognuno di loro si porti sempre sulle spalle il peso di tutto quello che è accaduto prima che entrassero in scena. Questo passato a volte può emergere, a volte non viene mai nemmeno raccontato, ma c’è, ed è questo che dà solidità ad un personaggio. E questo non vale solo per i quattro protagonisti, ma anche per l’antagonista (e che antagonista, signori e signore) e per tutti i personaggi cosiddetti secondari. Scritti benissimo, quindi, ma interpretati anche meglio, con un’attenzione ad ogni dettaglio che è quella che te li fa entrare nel cuore e che crea quella magia che è il cinema.

Quindi una storia piena, personaggi pieni, ma anche una regia piena. Qui, il tocco dell’autore sì che si sente. Qui l’occhio che inquadra quel che succede ha una sua personalità, ed è quello che dà la pennellata finale ad un’opera che, quasi al termine di questa recensione, esito solo un poco a definire capolavoro. Sì, perché cos’è che rende grandi certi registi? Il loro tratto inconfondibile. Se penso a Hitchcock, a Tim Burton, a Wes Anderson, a Christopher Nolan: ognuno di loro ha uno stile che nessun altro possiede e che è immediatamente riconoscibile. Qui, io credo, stiamo vedendo questo stile emergere anche per Mainetti, che già ci aveva deliziato (ma, a mio parere, non a questo livello) con il suo Jeeg Robot.

Non entro in discorsi sul comparto tecnico e degli effetti speciali perché ho una sospensione dell’incredulità abbastanza potente da infischiarmene di quanto bene sia fatta una palla di fuoco o di quanto realistici siano costumi e scenografie. Però anche quelli sono fatti bene, cavoli se sono fatti bene. Finalmente un film italiano in cui la tecnica va di pari passo con la storia e ti fa godere di ogni scena senza trovarti a domandarti: ma quello dovrebbe essere un tizio che vola?

Diventa quindi abbastanza chiaro il motivo del titolo di questo pezzo: l’augurio per il cinema italiano (e mondiale) è davvero che ce ne siano di più di film come questi. Basta storie fatte e rifatte, basta sequel e prequel e reboot, basta supereroi noiosi (ma lasciatemi quelli fighi come Batman o la Suicide Squad di James Gunn).

È ora di avere finalmente qualcosa di bello che esca da quegli studi cinematografici, non solo le cose da artistoidi che guardano in dieci persone o i blockbuster utili solo ad aumentare il consumo pro capite di pop corn.

Dateci storie, dateci vita, dateci emozioni: questo dovrebbe essere il compito del cinema ed è a questo che dovremmo ritornare.

10, 100, 1.000 di questi “freaks”.

10, 100, 1.000 di queste magie.

Originally published at https://oz-tales.com.

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Angelo Callegarin
Il Regno di OZ

Mi occupo di copywriting e comunicazione. E scrivo storie.