Il Cuore Rock dei Cheap Wine

Angelo Callegarin
Il Regno di OZ
Published in
4 min readApr 19, 2020

Inserisci il CD nello stereo e già ti senti un po’ vintage.

Oggigiorno è tutto uno Spotify, uno streaming, al massimo un lettore MP3 per i più old fashioned. Io sarei anche della giusta età per apprezzare questi strumenti, ma a quanto pare non sono mai stato della giusta età per nulla.

In ogni caso niente streaming, ma il CD originale, soprattutto per la prima volta con Faces.

Ascolto i primi accordi e già mi emoziono. Quando pensi di aver sentito tutto quello che si poteva sentire, quando credi che ormai il mondo della musica si sia infine perso in un vortice di brutti reality e musica prefabbricata ecco che tornano loro, i Cheap Wine.

Non molte band riescono a compiere 20 anni, produrre capolavori, e dopo tutto questo tempo e dopo l’ultimo, fantastico, Dreams, andare oltre e creare ancora musica che respira l’infinito.

Premessa: non sono un esperto, non sono un critico musicale, e questa infatti non è una recensione.

Non ho studiato abbastanza e non ne so abbastanza dal punto di vista tecnico: se volete leggere una recensione seria di questo album basta che leggiate qui o qui o qui, oppure che diate un’occhiata a Google. Vedrete subito qual è l’unanime responso.

Quello che posso dire però è questo: è la ricerca del giusto suono, della giusta combinazione di note e testi, che li rende quello che sono, e che li rende così fondamentali in quest’epoca di oggetti usa-e-getta, pensieri usa-e-getta, musica usa-e-getta.

Quando li ascolti sei sempre indeciso se goderteli o incazzarti.

Sì, perché da una parte c’è il fatto di apprezzare appieno i piccoli capolavori artistici che si susseguono uno dopo l’altro, dall’altra c’è il fatto che non sono conosciuti e apprezzati come invece dovrebbero.

E questo mi fa incazzare come un jena.

Ai concerti è ancora più evidente: ogni volta un pienone, ogni volta persone che si entusiasmano ed emozionano, e ogni volta persone che li scoprono e ne rimangono folgorate. È così che è successo a me, dopotutto, in una serata a caso in cui non mi aspettavo di trovarmi di fronte a nulla di così potente.

I Cheap Wine meriterebbero San Siro, meriterebbero Wembley, meriterebbero Campovolo.

La loro musica è un balsamo per ferite che ti eri quasi dimenticato di avere, e anche per questo meriterebbero il mondo, punto.

Concerti come i loro non ne ho visti mai. E sì che vado a vedere musica live da vent’anni a questa parte.

Dal vivo raggiungono un delicato equilibrio tra potenza e ipnosi: ti ritrovi trascinato in un altro mondo, un mondo che non vorresti finisse mai. Faces poi è un disco che bilancia perfettamente forza ed emozione in un modo che toglie il fiato, e vederlo live è stato pazzesco.

Io ho avuto la fortuna di godermeli dal vivo con questo album a novembre 2019, in un concerto aperto da Edward Abbiati, altra felice scoperta (e di cui mi sono portato immediatamente a casa due CD). Il suo show è stato minimal, ma ricco di emozioni e di ottima musica. Si è poi scatenato quando si è unito ai Cheap Wine un’ora dopo, durante il loro live, per una versione da pelle d’oca di One More Cup of Coffee di Bob Dylan: un lungo capolavoro di suono e voce rimaneggiato fino a diventare qualcosa di ancora più grande e potente, e che ti faceva ritrovare alla fine senza fiato e con il cuore in gola.

Uno spettacolo, quello di Edward Abbiati, che ha fatto quindi da perfetta introduzione ai Cheap Wine, che quando infine sono arrivati sul palco hanno scatenato subito un lungo applauso sulla fiducia, solo per la loro presenza.

Questo applauso e questa fiducia, per le due ore seguenti, hanno dimostrato di meritarseli appieno.

I loro non sono semplici concerti, sono opere d’arte.

Come solo loro possono fare (si autodefiniscono “folli”, ma io ci vedo solo giusta audacia), lo spettacolo ha messo in scena tutto il loro nuovo album, alternato ad alcune vecchie canzoni, e concluso da una The Fairy Has Your Wings da lasciarci il cuore. Uno show che rientra sicuramente tra i loro migliori e che fa comprendere l’entusiasmo dei presenti, rapiti e coinvolti ed emozionati e persi in un vortice di musica senza eguali. La ressa alla fine per poterli incontrare, salutare, per potergli parlare, fa comprendere ancora meglio quanto questo gruppo sappia farsi amare, e quanto riesca a toccare le corde più profonde di chi li ascolta.

E loro si concedono, sorridenti, disponibili, con una parola gentile per tutti. Sì, perché quello che li rende speciali, quello che rende speciale ognuno di loro (e che vedo chiaramente anche in Edward Abbiati), è che oltre ad essere degli artisti fenomenali, sono anche degli esseri umani fenomenali. Chi ha la fortuna di conoscerli un po’, se ne rende conto ogni volta.

E questa, se non si è capito, non è né una recensione del disco, né una recensione dei live. Questo è un inno, un’incitazione, una spinta: ragazzi, siete Arte, siete Cuore, siete Rock, non mollate mai!

Rock’n’Roll is a state of mind.

Originally published at https://oz-tales.com.

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Angelo Callegarin
Il Regno di OZ

Mi occupo di copywriting e comunicazione. E scrivo storie.