Icebergs

O, in altre parole, quello che volevo dire ma non ho detto

Fabio Pedroncelli
Under the mat

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“Ses ailes de géant l’empêchent de marcher” è la frase che ho scritto più volte, la frase che ho pensato più volte. Eppure non è tutto. E’ probabilmente una delle frasi che sopporto di meno, una di quelle di cui non ho mai capito il vero significato, ammesso che ce ne sia uno. La prima volta che l’ho sentita avevo sicuramente meno di 17 anni e più di 14, pioveva e guardavo fuori dalla finestra mentre piegavo un figlio a quadretti con aria disratta. Probabilmente in attesa di qualcuno che me la spiegasse. Nonostante questo, una volta tornato a casa, mi rinchiusi in camera, presi il mio Eastpak nero, un correttore a penna senza tappo e la scrissi a caratteri cubitali sullo schienale. Una mossa da vigliacco, solo io sapevo di quella scritta. Col tempo avrei voluto urlarla al mondo, ma in quel momento non volevo che qualcuno la vedesse, non volevo che qualcuno mi chiedesse il significato. Inoltre i miei coetanei, sui loro Eastpak neri e più puliti del mio, scrivevano frasi di Ligabue; delle sue frasi io il significato lo capivo, lo capivano tutti. A questo punto non sapevo chi era ad essere più vigliacco.

Nemmeno chi scrisse per la prima volta questa frase, secondo me, ne aveva capito il significato, il senso. Già me lo immagino Baudelaire vestito di marrone a Parigi al numero 13 di rue Hautefeuille o chissà dove mentre scrive l’Albatro. Mentre piega distrattamente un foglio e guarda la pioggia che batte sui vetri.
Io credo che certe cose vadano scritte proprio per spiegare quando non si capisce la situazione, dietro parole indecifrabili ai più si prova a nascondere qualcosa che affiora appena. Qualcosa di enorme ma che si muove al buio e senza fare rumore, così silenziosamente che noi stessi dobbiamo fermarci per sentirne il fruscio. Come un iceberg, anzi più di uno.
A fistful of icebergs.

Io credo di essermi invaghito di quel verso perché mi sono identificato nelle sue parole. Non c’è niente di alto, non c’è niente di poetico. Solamente ho ali troppo grandi per camminare, o almeno mi sono immaginato di averle. Allora ho scritto queste parole ovunque. Sull’Eastpak nero e sporco, sulla chitarra, sulle braccia, sui muri di un paese che sulla cartina è grande come come un mozzicone lasciato cadere a Hyde Park.
Io non ho ancora capito se sono le ali ad essere troppo grandi oppure sono io che sono troppo piccolo. So solo di essere scoordinato, di non avere equilibrio, di muovermi troppo piano quando tutti corrono e di correre quando tutti si prendono tutto il tempo necessario. Di pensare che il tempo sta ormai scadendo quando il suono d’inizio è appena cessato e di mettermi a rileggere il tema quando la campanella è già suonata.
Da quella mattina queste parole mi hanno accompagnato sempre. Prima come scusa, poi come pretesto ad essere riflessivo. Dietro un muro di ghiaccio mi hanno permesso di spiegare la mia indole, di farla perdonare da me stesso. A volte il mondo fa movimenti che io non riesco a seguire, crea spazi troppo stretti affinché io albatro possa passare. Altre volte si addormenta, altre volte resta immbile e io ci volo sopra con queste ali enormi ma non si sveglia nessuno. Non ho avuto mai il coraggio di dirlo, solo di scriverlo su uno zaino.
Queste sette parole spiegano quello che io non sono mai riuscito a dire in 17, o 14 anni ed è per questo motivo che quando le ho sentite ho smesso di guardare fuori dalla finestra e le ho scritte sul banco. Credo che la professoressa mi abbia visto ma non me sono preoccupato, credo fosse orgogliosa di me. Di certo più orgogliosa di me, che ho iniziato a cercare spiegazioni su me stesso in parole scritte secoli prima, in parole che non erano chiare nemmeno a chi le scrisse, in parole che furono scritte da un ubriaco.
E’ piacevole quando ci si imbatte in qualcosa che, pur essendoci estraneo, ci conosce più di noi, ci parla come se ci conoscesse da sempre. Ci sentiamo meno soli. Non importa se questo qualcosa è un enorme pezzo di ghiaccio galleggiante, un gelido macigno che nasconde sotto il livello dell’acqua tutto quello che siamo, tutto quello che vorremmo, tutto quello che diremmo.

Non è il freddo che ci congela, ma lo stare immobili.

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Fabio Pedroncelli
Under the mat

Bergamo, Italy. Born 1990, graduating in International Business. Fond of everything that has the power to stay in people’ mind. Writing and Britishness addicted