Non è il caso di sedersi

A volte i fiumi si dimenticano di scorrere

Fabio Pedroncelli
Under the mat

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Il fiume Okavango è il quarto fiume più lungo dell’Africa, nasce tra le montagne dell’Angola e scorre per 1,600 km attraversando la Namibia e arrivando fino in Botswana. E’ un fiume enorme e lungo il suo corso riesce a dare vita ad una quantità enorme di forme di vita sia animali che vegetali. La sua esistenza è preziosissima anche per le popolazioni che ci vivono a ridosso, al punto che tra Namibia e Botswana è in atto una sorta di conflitto, una guerra per l’acqua (due termini che tra l’altro non dovrebbero stare mai così vicini).
La particolarità del fiume Okavango, però, è quella di essere l’unico fiume al mondo a non sfociare in un mare, o in un lago, o ad immettersi in un altro fiume. L’Okavango finisce nel deserto, con un delta enorme. Centinaia di migliaia di metri cubi che per un tratto molto più lungo della penisola italiana attraversano montagne, foreste, danno vita ad animali, piante, persone, vanno a morire all’improvviso nel nulla, senza alcun preavviso.

Quando lessi di questo fiume su un paper di International business, come spesso mi accade, stentai a crederci e controllai su una cartina. Era proprio così. Una linea di un verde scuro iniziava a muoversi sinuosa su un territorio di un verde più chiaro per poi andare ad aprirsi e spaccarsi in mille pezzi su un pezzo di cartina color pergamena. La cosa mi scosse subito senza capire il perché, in fondo il tipo di delta di un fiume dell’Africa meridionale non poteva di certo essere in cima alla lista dei miei pensieri, con tutto il rispetto per i delta dei fiumi e dell’Africa meridionale. Però poi capii. Tutto questo mi sembrava senza senso, uno spreco assoluto. Voglio dire, un fiume maestoso che crea intorno a se una natura incontaminata, immensa, potente, una massa di acqua che per migliaia di chilometri assiste alle forme di esistenza più disparate, un prodigio del nostro pianeta va a morire senza alcun senso nel deserto, quasi come se si dimenticasse il ruolo, quasi come se all’improvviso decidesse di essere stanco e mandare all’aria tutto.
Niente più pesci, niente più ippopotami, niente più alberi secolari, niente più villaggi costruiti sugli argini, niente più gente che dichiara nemica altra gente per usarne l’acqua. Il tutto nel silenzio e nel caldo più assoluti, e soprattutto senza che nessuno ci possa fare niente.

È chiaro che questa storia mi colpì per il fatto che è una delle cose che temo possa succedere ad ognuno di noi. Non sto parlando della morte, quella è una cosa ovvia, ogni persona muore, ogni fiume muore arrivando nell’oceano o in un altro fiume. Quella dell’Okavango è, chiaramente, un altro tipo di morte. È la morte della grinta, del ricordo delle cose grandiosi che sa fare.
Molte persone muoiono così, ed è una morte canaglia perché è l’unica morte della quale, nonostante sia lenta, non ci si può rendere conto. Quella linea verde sulla cartina mi ha spinto a pensare all’importanza della consapevolezza di quello che siamo, di quello che abbiamo fatto, di quello che sappiamo fare. L’importanza di non sederci, né per terra né sugli allori.
In un certo senso credo che non debba arrivare mai un punto di arrivo, non significa che non debba mai arrivare un momento in cui ci sentiamo appagati, significa che essere appagati è talmente bello da indurci a fare qualcos’altro che ci faccia sentire ancora più appagati.
Non dobbiamo voltarci ad ammirare quello che abbiamo lasciato lungo il nostro passaggio pensando che sia abbastanza, come il fiume Okavango che a un certo punto pensa di avere fatto abbastanza e quindi si dimentica di scorrere. Non dobbiamo dimenticarci di scorrere, anche nel deserto.

Ogni tanto riguardo il corso del fiume sulla cartina per ricordarmi di non fare così. Forse l’Okavango serve proprio a questo, a dimostrare che chiunque può fermarsi e che chiunque lo fa, sbaglia.

Io spero di raggiungere l’Oceano Indiano.

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Fabio Pedroncelli
Under the mat

Bergamo, Italy. Born 1990, graduating in International Business. Fond of everything that has the power to stay in people’ mind. Writing and Britishness addicted