Una sceneggiatura degna di Hitchcock: il Regno Unito torna alle urne

Gabriele Carrer
Il Segnale
Published in
4 min readApr 24, 2017

Elezioni a sorpresa
Deputati, ministri, giornalisti e leader avversari — tutti spiazzati dall’annuncio di martedì del premier Theresa May: il Regno Unito torna alle urne l’8 giugno. Dopo aver più e più volte respinto la possibilità di elezioni anticipate rispetto alla scadenza naturale della legislatura fissata per il 2020, il primo ministro e leader del Partito conservatore ha stupito tutti, non solo per la decisione in sé ma anche per il silenzio che ha avvolto l’intera faccenda. Nessuno, infatti, avrebbe mai pensato a questa mossa, con questi tempi.

Ma che cosa ha portato Theresa a questo repentino stravolgimento? Si tratta di un Ulti-May-tum, come ha titolato il Sun l’intervista al leader conservatore. L’obiettivo è chiaro e dichiarato: sconfiggere tutti i nemici della Brexit, quelli che presto in campagna elettorale verranno definiti l’accozzaglia di nemici del popolo che vogliono rovesciare la volontà popolare. Nemici esterni ma anche interni: non solo quindi il Labour (per quanto sulla Brexit, con la leadership di Jeremy Corbyn, sia frammentato), i liberal-democratici e nazionalisti scozzesi, ma anche gli oppositori interni del divorzio da Bruxelles, cioè quei conservatori che hanno sostenuto il Remain e che — a differenza di Theresa — non si sono convertiti alla Brexit. L’attuale inquilino del numero 10 di Downing street è stata, infatti, — ed è bene ricordalo — una sostenitrice del fronte europeista nella battaglia di nemmeno un anno fa, nonostante alcune dure critiche all’Unione europea, soprattutto sulla giustizia.

Elezioni a sorpresa che hanno però convinto tutti. Infatti, arrivata a Westminster, la mozione presentata dal governo necessitava dell’ok dei due terzi della Camera dei Comuni: è Passata con 522 voti favorevoli e 13 contrari a Westminster, con tutti i gruppi di opposizione d’accordo con la proposta dei conservatori. Si vota l’8 giugno.

Solo qualche mese fa…
Solo due anni fa i conservatori di David Cameron uscivano trionfanti dalle elezioni generali: un successo inatteso e non pronosticato di cui fu artefice un consulente che ritroveremo anche nella contesa di giugno, sempre al fianco dei conservatori: Sir Lynton Crosby. Poi è arrivata la Brexit: Cameron è andato, Theresa è arrivata. E ora siamo qui a parlare di elezioni anticipate.
Dopo quelle elezioni del 2015, invece, i laburisti sono naufragati a sinistra: prima la sconfitta del moderato David Miliband a vantaggio del fratello Ed, candidato premier su posizioni che potremmo sintetizzare — e banalizzare — come «più di sinistra». Dopo la batosta delle urne Ed s’è fatto da parte aprendo all’ascesa di Jeremy Corbyn, lui sì un vero radicale di sinistra. Con l’avvento di Jezza (il suo soprannome) sono iniziate la discesa nei sondaggi e le rivolte interne (tutte fallite) per rovesciare la sua leadership, alimentate anche dalla scarsa propensione del leader (del partito storicamente europeista del Regno Unito) a far campagna a favore del Remain. Che c’entri qualcosa il passato euroscettico di Corbyn? Chissà…

I liberal-democratici, invece, nel 2015 passarono dall’essere fondamentali per il governo di coalizione con i conservatori a forza sconfitta, stracciata nelle urne. Da lì è iniziata una crisi d’identità che solo la Brexit e l’europeismo di ritorno potrebbero rovesciare. L’Ukip merita il discorso opposto, invece: la Brexit è stata la pietra tombale del partito. Era l’obiettivo del partito indipendentista: bene, una volta raggiunta l’Ukip ha perso idee, forza e leadership.

C’è poi il Partito nazionale scozzese (Snp): dopo la vittoria del no all’indipendenza del referendum del 2014, ha subito il contraccolpo. Ma la Brexit ha rialimentato i sogni indipendentisti di un Paese che si è espresso a maggioranza per il Remain. Certo, la situazione interna non gioca a favore dell’Snp: i risultati deludenti dell’economia potrebbero spingere i conservatori scozzesi guidati da un’altra donna, Ruth Davidson.

La questione Brexit
Al centro del dibattito sulle prossime elezioni britanniche c’è quindi la questione dei negoziati con l’Unione europea sulla Brexit. Come ho raccontato sulla Verità in edicola mercoledì (e sfogliabile online), per alcuni commentatori britannici la decisione di Theresa May è stata dettata soprattutto dal fattore tempo. In caso di naturale scadenza del mandato, Theresa May avrebbe avuto troppi pochi mesi, 15 per l’esattezza, tra la data fissata per il divorzio dall’Ue (marzo 2019) e quella delle elezioni. In quel caso i dolori della separazione, secondo il premier, sarebbero stati assai più forti delle buone ragioni dell’addio a Bruxelles. Così facendo, invece, in caso di vittoria dei conservatori — che sembra assai probabile -, May guadagnerebbe due anni sulla sua agenda e la possibilità di godere del periodo di transizione voluto da Londra per facilitare l’uscita dall’Ue.

Intanto, dopo il vertice tra Antonio Tajani e May in cui il presidente dell’Europarlamento ha sottolineato la questione degli expat come prioritaria nei negoziati (Ansa), ecco come ha commentato l’annuncio di Theresa May il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk sul suo profilo personale di Twitter.

It was Hitchcock, who directed Brexit: first an earthquake and the tension rises.

— Donald Tusk (@donaldtusk) 18 aprile 2017

Questo è un estratto della newsletter Fumo di Londra, pubblicata il 22 aprile 2017, resoconto della politica britannica che se vi va potete ricevere via mail iscrivendovi qui: www.fumodilondra.com/newsletter

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Gabriele Carrer
Il Segnale

✍🏻 Giornalista 🗺 Esteri su «La Verità», «Il Foglio», «IL» 📘 Ho scritto «Lady Brexit» 📨 Qui c’è la mia newsletter sulla Brexit: www.fumodilondra.com