Una coda!

riflessioni da parco giochi: quando acconciatura e colore di capelli diventano sinomo di genere

claudia dani
imperativo femminile
2 min readJul 7, 2021

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Nostro figlio é biondo e con i capelli lunghi – decisione nostra a lui credo importi poco per il momento – gli faccio un codino al centro della testa per comodità e perché ci piace.

Rimenbrando la mia giovinezza potrebbe essere un codino “alla Beckham” o di qualunque altro giocatore di calcio dell’epoca– ma evidentemente quella coda rappresenta molto più.

No, non si tratta solo di prendere un elastico, acchiappare il bambino, tenerlo fermo il tempo necessario per raggruppare i capelli e chiuderli nel codino. Tradotto una semplice azione: fare qualcosa per evitare i capelli sul viso.

Si tratta invece di categorizzare, dare un’etichetta.

Me ne sono resa conto col ripetersi tutti i giorni – almeno una volta al dì, come la mela — della medesima affermazione che bella bimba! come ti chiami? o, quando in coppia con la sorella, che belle bimbe! sono sorelle?

Per la maggior parte delle persone é una bella bimba – aggiungo che si muove con la leggerezza di un elefante – stai attento alla bimba é piccola e fai piano la bimba è piccina. ecc ecc

All’inizio mi arrabbiavo e sottolineavo stizzita: no é un maschio. Adesso quando ancora provo fastidio, mi metto a pronunciare il suo nome a caso. Quando raggiungo la pace dei sensi e non me ne importa, sogghigno dentro e taccio.

Le domande sono:

  • sono io a sbagliare a notar la cosa ?
  • sono piena di pregiudizi?
  • é un problema reale?culturale?
  • si tratta di un’altra categorizzazione non necessaria: biondo= femmina femmina = delicata?

Non sono qui ad affermare che additare un maschio come femmina sia sbagliato chissene frega! Il problema sta più in alto.

Sta nel fatto che un solo elemento e soprattutto estetico — l’acconciatura in questo caso — caratterizzi l’essere femmina e l’essere bella e delicata.

Anche i bimbi o le bimbe che incontrano Lorenzo hanno dei dubbi se si tratti di maschio o femmina.

Se da una parte penso si tratti di semplice domanda e dubbio e la curiosità, si sa, è fonte di conoscenza — in più una volta ottenuta la risposta si inizia a giocare — allo stesso tempo mi preoccupa che il dubbio nasca.

Ahimè credo sia inevitabile, parte di noi, classificarci, fornirsi di una categoria di appartenenza.

Semplicemente per essere più tranquilli che ciò che abbiamo davanti lo si “conosce”.

Posso azzardare che questa necessità nasca da piccoli per tutti i motivi che ben conosciamo: la famiglia, l’ambiente esterno in senso ampio ci influenzano, le cose che accadono…

però…

magari non i nostri figli ancora ma i loro potranno RI-MEDIARE. Se iniziamo a farlo ora.

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claudia dani
imperativo femminile

LUNATI-CLA: sempre alla ricerca di qualcosa, a volte scrivo, a volte fotografo, a volte pratico yoga