Lo scrittore creò il personaggio e vide che era cosa buona (ma il lettore non concordò)

Alcuni consigli per creare personaggi credibili

Roberto Gerilli
Ingegneria delle storie

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Mi capita di sentire le voci. Sto guardando un film, leggendo un libro, mangiando o cazzeggiando e sento un «Ciao!». Controllo dentro la mia testa e trovo un nuovo personaggio in via di sviluppo. Con Caterina di Vietato leggere all’inferno è successo proprio questo. Stavo giocando a Football Manager, ho sentito un «Ehilà, maschione!» e, boom, eccola lì: una camgirl/killer lesbica che adora prendere in giro i ragazzi con allusioni sessuali. All’inizio l’ho invitata ad accomodarsi nella stanza del “Magari, un giorno” ma Cate non è una tipa a cui piace stare in panchina (se hai letto il romanzo lo sai bene anche tu). Alla prima occasione, è evasa, si è intrufolata nella storia che stavo creando e ne è diventata una protagonista.

Tutti i miei progetti narrativi iniziano con questi improvvisi incontri mentali. È un sintomo di pazzia? Forse, ma io la vedo più come la conseguenza di una scelta ponderata (o almeno spero che lo sia).

I personaggi sono l’elemento più importante dei progetti narrativi. Hanno il compito di portare avanti la trama e di creare un legame emotivo con il lettore/spettatore. Sono loro che agiscono, sono loro che suscitano simpatia e antipatia, sono loro che rimangono impressi nella memoria di chi legge/osserva. Se sono ben caratterizzati hanno la forza di rendere unica anche la storia più semplice, mentre se sono banali possono affossare anche l’intreccio meglio orchestrato.

La domanda fondamentale quindi è: cosa rende credibile un personaggio? Secondo Syd Field, autore di La sceneggiatura. Il film sulla carta (volume di cui ti consiglio la lettura), la risposta va trovata in questi quattro elementi: le esigenze drammatiche, il punto di vista, il cambiamento, l’atteggiamento.

Esigenze drammatiche: quello che il personaggio vuole guadagnare, vincere, avere o conquistare nel corso della vicenda.
Punto di vista: il modo in cui il personaggio vede il mondo. Un buon personaggio esprimerà sempre un punto di vista determinato.
Cambiamento: il vostro personaggio subisce una trasformazione nel corso della vicenda? In questo caso, che tipo di trasformazione?
Atteggiamento. Conoscere l’atteggiamento del vostro personaggio vi permette di dargli spessore. Può essere positivo o negativo, subordinato o autoritario, critico o ingenuo.

Punto di vista e atteggiamento sono concetti semplici da capire, mentre gli altri due meritano un approfondimento. Le esigenze drammatiche rappresentano le motivazioni che spingono il personaggio all’azione: devono essere coerenti con il suo carattere e tanto più forti quanto la storia di cui diviene protagonista è lontana dalla sua routine quotidiana (un’impiegata di banca non può decidere di diventare trapezista solo perché vede un manifesto del circo, così come un aspirante scrittore non può trasformarsi in un killer a pagamento solo perché vuole fare delle ricerche per il suo romanzo thriller).

Il cambiamento, invece, descrive come le vicende narrate influenzano la personalità del personaggio. Anche se inizialmente ben caratterizzato, un protagonista che rimane uguale per tutto il corso della storia risulta poco interessante. Il cambiamento del personaggio, tuttavia, non deve essere associato con la morale favolistica: la trasformazione può essere sia positiva che negativa e non deve per forza lasciare un messaggio al lettore/spettatore.

Oltre ai quattro elementi indicati da Field, sottolineo poi l’esigenza di tratti contrastanti all’interno della caratterizzazione. La natura umana è complessa e riuscire a descriverla significa anche saper cogliere le incongruenze e le idiosincrasie che tutti noi abbiamo. Un protagonista sempre e solo buono, o un antagonista sempre e solo cattivo, non funziona, nemmeno in una storia per bambini. In fin dei conti, è per questo che preferisci Paperino a Topolino.

Le qualità interiori devono essere trasmesse attraverso la scrittura. La maniera migliore per farlo è usare i dialoghi. Il discorso diretto serve a comunicare le idee dei personaggi ma soprattutto serve a dar loro una voce. Il modo di parlare di una persona è un tratto distintivo unico, e se non si tiene conto di questo la storia non potrà mai funzionare. L’accento, le parole che usi più di frequente, gli intercalari, i modi di dire, e perfino le imprecazioni, definiscono la tua estrazione sociale, il livello culturale, il modo di relazionarti con gli altri e quello di reagire alle situazioni. Come scrive Stephen King su On Writing:

Voi potete informarmi tramite la narrazione pura e semplice che il vostro protagonista principale, Mistuh Butts, non è mai andato bene a scuola, non è mai nemmeno andato molto a scuola, ma potete trasmettermi la stessa nozione, e in maniera assai più incisiva, attraverso il suo modo di parlare.

Anche le descrizioni possono permetterti di trasmettere la personalità di un personaggio, ma devi distinguere tra quelle utili e quelle superflue. Scrivere che il tuo protagonista è biondo non aiuta il lettore/spettatore a conoscerlo, mentre potrebbe essergli utile sapere che indossa sempre magliette di una taglia più piccola, o che veste sempre in maniera elegante nonostante il suo lavoro non lo richieda.

Se non riesci a comunicare tutto quello che desideri attraverso dialoghi e descrizioni, puoi decidere di entrare dentro la testa dei tuoi personaggi e raccontare i loro pensieri. È una scorciatoia necessaria quando devi rispettare delle esigenze di spazio o di durata, ma in tutti gli altri casi io ti sconsiglio di usarla.

Se vai a una festa e incontri una persona interessante, ne rimani affascinato anche senza potergli leggere la mente: cercare di capire i suoi pensieri o di interpretare i suoi gesti è parte dell’intrigo. Il rapporto tra il lettore/spettatore e i tuoi personaggi dovrebbe essere lo stesso. Il condizionale però è d’obbligo, perché riuscirci è difficile. L’unico modo di spuntarla è allenarsi seguendo l’esercizio consigliato da Chuck Palahniuk (puoi trovare l’intero articolo QUI):

In six seconds, you’ll hate me.
But in six months, you’ll be a better writer.
From this point forward — at least for the next half year — you may not use “thought” verbs. These include: Thinks, Knows, Understands, Realizes, Believes, Wants, Remembers, Imagines, Desires, and a hundred others you love to use.
The list should also include: Loves and Hates.

Prima di concludere questo articolo, voglio tornare al grande pulsante rosso. Nel precedente articolo ti ho mostrato che sul lato sinistro della scatola a cui è collegato trovi il pannello di controllo dedicato ai parametri della trama: personaggi, soggetto e ambientazione. Oggi ti ho spiegato quali sono le variabili da valutare per regolare al meglio la prima levetta, ma come puoi trasformare queste informazioni nell’input da inserire nel congegno?

Non esiste una formula, né una regola valida per tutti gli ingegneri dello storytelling. Come dice Syd Field, ancora in La sceneggiatura. Il film sulla carta:

Alcuni autori riflettono a lungo sui personaggi, poi li affrontano di petto e cominciano a scrivere. Altri creano un elenco elaborato di caratterizzazioni, altri ancora riempiono uno schedario con gli elementi principali di ogni personaggio, o ne fanno profili approfonditi, o tracciano schemi di comportamento. Qualcuno utilizza foto di riviste e giornali, per riuscire a vedere che aspetto hanno. “Ecco il mio protagonista,” lo sento dire. Magari appende le foto dove lavora, per restarne in compagnia. Certi utilizzano attori o attrici come modelli a cui ispirarsi.

Uno strumento buono è qualsiasi cosa faciliti la creazione di un personaggio.

Quando ho scritto Vietato leggere all’inferno ho seguito questo non-schema: ho creato nella mente un’immagine molto grezza di Amleto, il personaggio principale, qualche caratteristica fisica, un paio di aspetti della sua personalità, poi l’ho inserito nell’abbozzo di storia che avevo preparato e l’ho lasciato agire senza vincoli. Quando ho iniziato a scrivere non conoscevo ancora il mio protagonista, l’ho scoperto pagina dopo pagina, e più lo comprendevo più la storia cambiava, seguendo le scelte di Amleto e non le mie. Alla fine della prima stesura ero diventato amico di tutti i personaggi (compresa la già citata Caterina, imbucatasi mia malgrado), per cui sono tornato al prologo e ho modificato il testo per far risaltare meglio le loro personalità.

Anche se può sembrare disorganizzato e poco ingegneristico, ti parlo del mio metodo perché voglio evidenziare un concetto per me fondamentale: la storia funziona quando è scritta intorno ai personaggi, e non quando i personaggi vengono pensati in base alla loro utilità all’interno di essa. Ricordatelo e tutti i tuoi progetti narrativi ne gioveranno.

A questo punto non mi resta che salutarti, ma prima permettermi di farti una domanda: tu che metodo usi per costruire i tuoi personaggi? Se ti va, puoi rispondermi qui sotto nei commenti o sulla mia pagina Facebook. Sono molto curioso.

In attesa della tua testimonianza e del mio prossimo articolo…

HopEnjoY.

Bibliografia

La sceneggiatura. Il film sulla carta, Syd Field — Lupetti & Co Editore, 1991
On Writing, Stephen King — Sperling e Kupfer, 2001 — Frassinelli, 2015

Un sentito grazie a Cristiana Melis per la correzione e la consulenza.

Roberto Gerilli è un lettore anconetano di trentasei anni. Non esce mai da una libreria senza aver comprato almeno un libro, riconosce gli editori dall’odore della loro stampa e vive in una casa in cui ci sono più librerie che armadi. È talmente dipendente dalla lettura che ha cominciato a scrivere.
www.vietatoleggere.it

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Roberto Gerilli
Ingegneria delle storie

Sono un ingegnere dello storytelling: progetto e collaudo storie.