«Ci sono ancora spazi aperti per la nascita di nuovi social» (1)

Le dinamiche che accompagnano questo fenomeno illustrate da Simone Tosoni docente di Social Media Communication al Master Dcs dell’Università Cattolica di Milano

Teresa Di Palma
Innovation Eye
3 min readMar 9, 2023

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Foto di Simone Tosoni

Oggi i social sono un elemento costante della vita quotidiana: il 64,4% della popolazione mondiale è online e ci sono 4,76 miliardi di utenti social, in pratica poco meno del 60% della popolazione mondiale, secondo l’ultimo report di “We are social”. Anche i social sono soggetti a dinamiche di rinegoziazione e di adattamento in base al contesto in cui si trovano a operare e questo comporta la nascita di nuovi social network, come ci ha raccontato Simone Tosoni, docente del master DCS e professore associato della Facoltà di Scienze politiche e sociali al Dipartimento di Comunicazione dell’Università Cattolica di Milano.

Perché continuano a nascere sempre nuovi social e come si affermano nel tempo?

Moltissimi social stanno nascendo grazie agli spazi lasciati aperti dall’insoddisfazione verso Meta e altri. A un macro-livello abbiamo TikTok e Instagram, però nel sottobosco dell’insoddisfazione si stanno sviluppando infiniti altri mondi che vanno a intercettare delle mancanze di altri social network. Basti pensare alla nascita di BeReal che con la sua veridicità si contrappone al modello di Instagram totalmente artefatto con i suoi filtri e via dicendo. È andato a intercettare un modello comunicativo alternativo e nonostante il suo consumo puntiforme, BeReal ha trovato la sua nicchia di riferimento. I social devono essere in grado di adattarsi alle trasformazioni del proprio contesto, anche con acquisizioni e importazioni delle funzionalità dei competitor, che in quel momento li mettevano in pericolo, come fa Meta.

Quindi i nuovi social emergono per delle mancanze nel mercato?

Sì, tendenzialmente sì. C’è un ecosistema enorme. Bisogna immaginarlo come un contesto dinamico, in cui le cose continuano a muoversi, a nascere e a morire, mentre alcune trovano una stabilizzazione e iniziano ad avere una visibilità che non è più solo iper-locale, grazie al potenziale della nicchia di mercato che è riuscita a intercettare.

Il fatto che siamo abituati ad avere tutta la nostra vita sui social, non è un fattore di resistenza al cambiamento e alla nascita di nuove piattaforme, visto che poi dovremmo spostare tutte queste informazioni?

Sì, ci sono forme di inerzia tecnologica, ma anche bruschi rivolgimenti. Anche se in Italia il passaggio da MySpace a Facebook è stato praticamente istantaneo: prima tutti erano su MySpace e nel giro di un’estate si erano tutti spostati. Quindi sì, c’è un’inerzia, ma poi c’è una pressione sociale che può anche comportare grandi e rapidi stravolgimenti. Interessante è capire la compatibilità delle nostre diete di consumo mediale. Per esempio, tornando a quello che dicevo su BeReal, è interessante capire che anche se non sarà il prossimo “big player” della situazione, ha successo perché richiede poco sforzo agli utenti ed è compatibile con le nostre diete mediali focalizzate su altri player principali. Riesce a inserirsi nelle nostre economie di tempo.

Quale è il futuro dei social?

I social network stanno entrando in una fase di comunicazione post social. Social network voleva dire un ambiente comunicativo, il mio ambiente comunicativo a partire dai miei contatti. Comunicazione molti-molti, dove questo filtrava la comunicazione. Adesso la comunicazione non è più social, lo è sempre meno su TikTok e Instagram visto che la percentuale di contenuti che arriva dai miei contatti è sempre minore e siamo molto più esposti ai contenuti scelti dall’algoritmo. Non è più il modello del social network, ma un broadcasting selezionato algoritmicamente.

Trovate la seconda parte dell’intervista QUI

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