“Il successo di un social media è relativo, la competizione non è solo al vertice” (2)
Simone Tosoni, docente di Social Media Communication al Master DCS dell’Università Cattolica, racconta il suo punto di vista
Molti social media arrivano al culmine della popolarità e poi spariscono, molti altri hanno potenziale, ma non si affermano ad alti livelli. Per capire da cosa dipenda il successo e l’insuccesso di tali piattaforme, risulta interessante l’opinione di Simone Tosoni, docente di Social Media Communication al Master DCS e professore associato della Facoltà di Scienze Politiche e Sociali al Dipartimento di Comunicazione dell’Università Cattolica di Milano.
È possibile la nascita di un nuovo social che possa far concorrenza ai big in questo periodo?
Ci sono tanti social piccoli che crescono, ma la competizione non è solo ai vertici, il posizionamento è ovunque. Si osserva una catena alimentare caratterizzata da concorrenza estesa e capillare.
Quali sono i fattori di successo di un social?
È la capacità delle piattaforme di intercettare le grandi trasformazioni nel loro contesto e di adeguarsi ad esse attraverso acquisizioni e importazioni delle funzionalità dei competitor che in quel momento li mettevano in pericolo. Però non sempre questa operazione premia, infatti un’altra importante capacità è quella di intercettare quelle esigenze emergenti che non hanno trovato ancora un modello comunicativo.
Quali sono, invece, le caratteristiche che ne determinano il fallimento nel lungo periodo?
Non ci sono delle caratteristiche predefinite e sono innumerevoli. Una può essere la mancanza di sostenibilità: per esempio una piattaforma può avere successo, ma con costi maggiori dei guadagni. Un’altra causa può consistere in problemi di interfaccia, oppure i competitor sono molto più performanti, oppure cambia la nicchia intercettata.
Quale può essere un esempio di fallimento?
Mi viene in mente quello di Foursquare: era un social network basato sulla geolocalizzazione disponibile tramite web e applicazioni per dispositivi mobili. Il suo scopo era consentire di conoscere la posizione degli utenti per offrire loro pubblicità targettizzata. In realtà la piattaforma non aveva un vero e proprio modello comunicativo, cioè non prevedeva un beneficio per gli utenti.
Cosa è successo, invece, a Clubhouse? Una causa del suo fallimento può essere l’accesso elitario?
Clubhouse si basava su due modelli comunicativi. Uno era quello della conferenza partecipata, in cui una o più persone parlano e tutti gli altri ascoltano, potendo intervenire. L’altro era quello del tipo molti a molti della comunità dei radioamatori. Clubhouse, però, richiede un’attenzione molto alta e quindi tempo. Mi aspettavo immediatamente un’integrazione con gli smart speaker, ma il social non ha trovato il suo device di riferimento. Secondo me il carattere elitario non è stato un fattore determinante, perché alla fine l’invito arrivava a tutti.
BeReal si può considerare un competitor di Instagram e TikTok? È possibile per i brand e i creator usarlo per monetizzare i propri contenuti?
BeReal ha un consumo molto puntiforme, chiede poco agli utenti e dà poco e proprio per questo può infilarsi tra i consumi mediali delle persone. Il successo non riguarda solo le piattaforme-mondo che diventano punto di riferimento (come Meta), ma anche gli usi puntiformi oppure molto specifici che però hanno dei modelli di business sostenibili.
In questo momento io non vedo monetizzazione su questo social. Magari più avanti verrà introdotta a pagamento la possibilità per le aziende di allargare il numero di contatti, aprendo così un modello di monetizzazione. Adesso si sta creando una base utenti, utile successivamente per dei contenuti pubblicitari.
Trovate la prima parte dell’intervista qui.