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Righetconsult
Internazionalizzazione delle Imprese
8 min readSep 4, 2016

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La Brexit e’ un fatto

Qualche tempo fa, subito dopo il referendum per la Brexit ma ben prima dei primi dati economici post Brexit, ho parlato con un amico imprenditore (grande azienda che fa export alimentare): era agitato per via delle presunte catastrofi che avrebbero colpito l’economia europea e mondiale, nonche’ per il futuro della sua azienda.

Mi ricordo di avergli detto:

Al di la’ del fatto che per almeno due anni (finche’ la Gran Bretagna resta in UE) niente cambia, secondo me potrebbe invece essere un’occasione per le imprese che fanno export ed internazionalizzazione — pensa solo alla possibilita’ di costituire una filiale in un paese extra UE, ovvero senza i 10.000 vincoli imposti dall’Unione Europea e con la possibilita’ di esportare piu’ facilmente in molti paesi, e magari di non ritrovarsi “vittime” di embarghi o sanzioni assurde. Anzi, secondo me molte aziende sgaie si trasferiranno in Inghilterra.

Per le imprese UE dell’export e dell’internazionalizzazione, la Brexit cosa significa?

Sta di fatto che le presunte “piaghe d’Egitto” che avrebbero dovuto colpire la Gran Bretagna — nonche’ la UE ed il mondo tutto — subito dopo il referendum non si sono viste: oserei dire che gli effetti immediati sono stati dovuti proprio al sentimento ed alla “propaganda” di coloro che erano contrari alla Brexit.

Poi sono arrivati i primi dati economici post Brexit — estremamente positivi per l’economia inglese — nonche’ le dichiarazioni USA, dichiarazioni che sottolineano la volonta’ americana di mantenere rapporti economici privilegiati con gli UK.

Resta da vedere cosa riserva il futuro, ovviamente, ma per ora le catastrofiche previsioni delle cassandre non si sono assolutamente verificate.

Personalmente, e prendendo in considerazione solo il fattore economico, penso che un paese come l’Italia avrebbe potuto fare affari d’oro se si fosse svincolato dalla UE per fare da ponte tra l’Occidente e la Russia — e l’Asia ovviamente.

Se per l’Italia e’ ormai troppo tardi, poiche’ le sanzioni hanno devastato l’export verso la Russia, probabilmente non lo e’ per le imprese dell’export.

Esportare e internazionalizzare — tutto puo’ essere un vantaggio, anche la Brexit

I PRIMI DATI POST BREXIT

A luglio 2016 — ovvero dopo il referendum — la disoccupazione nel Regno Unito ha raggiunto il minimo da 11 anni; non solo e’ continuato il trend positivo dei mesi precedenti, ma il trend e’ stato ancora piu’ positivo (8.600 richieste di disoccupazione in meno rispetto a giugno).

Tutto cio’ e’ avvenuto nonostante il numero molto elevato di cittadini UE ingaggiati dalle aziende — 89.000 da aprile a giugno.

Questi dati dimostrano che il disastro immediato dopo la Brexit, previsto dal fior fiore degli economisti — e dall’intellighenzia europea — non si e’ verificato; fra l’altro, si tratta di dati relativi all’indicatore piu’ importante per le persone comuni.

Personalmente, essendo abituato a lavorare per le imprese ed a tenere i piedi per terra, non guardo molto a borse, finanza, ecc.; preferisco contare il numero di contratti, valutare la liquidita’, contare i soldi che entrano, valutare se l’impresa deve assumere o licenziare.

Inoltre, imprese che assumono significano un sentimento positivo, nonche’ che gli imprenditori — cioe’ quelli che l’economia la fanno — hanno fatto i loro conti, e che tali conti sono positivi.

Imprese che assumono e meno disoccupazione significano ottimismo della popolazione, ovvero della nazione — la nazione non e’ fatta dall’intellighenzia, dagli economisti o dalla finanza, e’ fatta dalle imprese e dai lavoratori.

La cosa strana — o meglio ben poco strana — e’ che di questi dati ben pochi parlano; i media principali che parlano di disoccupazione tendono a fare articoli incompleti e comunque corredati da opinioni che tendono a “sminuire” la situazione.

E qui veniamo al motivo per cui devo ora inserire il link ad un tabloid: la notizia che segue e’ praticamente impossibile da trovare sui media.

Ed ecco la notizia: a luglio 2016, gli accordi commerciali sono cresciuti del 800%26,3 miliardi di sterline rispetto a 3,2.

Ma non finisce qui: gli accordi commerciali includono grosse acquisizioni societarie da parte di aziende estere — in poche parole, non si e’ certamente verificata la paventata fuga degli investitori stranieri.

Veniamo alle vendite al dettaglio: nel luglio 2016 sono cresciute del 1,4%, dopo un calo dello 0,9% in giugno.

La UE e’ destinata a fallire?

L’INTELLIGHENZIA EUROPEA TACE — LE IMPRESE INVECE CHE FANNO?

Come abbiamo visto, non si tratta di indici o previsioni finanziarie o chissa’ cosa — numero di occupati e valore degli accordi commerciali significano economia reale.

Guarda caso, gli stessi che urlavano che con la Brexit sarebbe calata la “peste”, e che subito dopo il referendum attribuivano ogni dato negativo (contemporaneo o futuribile) dell’economia mondiale alla Brexit stessa, ultimamente sono particolarmente tranquilli.

Ovviamente, sul lungo periodo le cose potrebbero cambiare (in meglio od in peggio), ma e’ evidente che le previsioni delle cassandre erano completamente sbagliate; e lo erano, come sa bene chi ha letto i miei precedenti articoli (sia pre che post Brexit), perche’ erano frutto di posizioni politiche ed ideologiche — chi vuole approfondire ha solo l’imbarazzo della scelta, ma consiglio di leggere l’articolo Brexit, la UE ed il Futuro dell’Europa, antecedente il referendum, dove fra l’altro scrivevo:

‘ … Personalmente, non credo che capiterebbe chissa’ che cosa al Regno Unito in caso di Brexit.

Tempesta o vantaggio per export ed internazionalizzazione?

Altro discorso e’ cosa capiterebbe ad un’Unione Europea che ha ormai raggiunto livelli di burocratizzazione, pianificazione ed inflessibilita’ che ricordano l’Unione Sovietica: probabilmente collasserebbe in poco tempo.

Questo e’ probabilmente il motivo per cui la Grecia e’ stata (e viene) tenuta a tutti i costi in UE, secondo me contro gli interessi di tutti: l’intellighenzia non vuole che qualche stato esca dall’unione …’

Visto che l’intellighenzia europea e’ interessata alla politica ed alle posizioni ideologiche, la lasciamo ora da parte per parlare di cose pratiche — parliamo di economia reale, di imprese, di export ed internazionalizzazione.

Ebbene, cosa sono abituate a fare tante aziende?

Tanti anni di UE, ovvero di un “mostro” burocratico che impone mille lacci e lacciuoli, hanno distrutto il concetto di impresa: al di la’ delle infinite regole, si assiste alla caccia ai famosi contributi europei — fondamentalmente, le imprese spendono parecchi soldi (e tempo) per cercare di ottenere tali contributi, contributi alimentati dalle tasse pagate dalle aziende stesse. O forse pensate che i soldi dei contributi europei arrivino da Marte, anziche’ dagli stati membri?

L’Union eEuropea ha raggiunto nuovi minimi nella percezione popolare

A cio’ si aggiunge la burocrazia dei singoli stati, burocrazia che nel famigerato caso italiano ha raggiunto livelli elevatissimi.

Il risultato finale?

Le imprese vanno a caccia di contributi nazionali — vedi i voucher per l’internazionalizzazione — ed europei invece che di nuovi mercati; ovviamente, a cio’ si aggiungono embarghi e sanzioni varie. E questo sarebbe fare impresa?

Tutto cio’ e’ avvenuto a causa dell’intellighenzia, ovvero di cio’ che ha burocratizzato oltre ogni limite l’internazionalizzazione, di cio’ che ha messo lacci e lacciuoli alle imprese coi regolamenti UE, di cio’ che ha distrutto il concetto stesso di impresa.

Quello che tante aziende stanno facendo e’ ormai tutto fuorche’ impresa.

Da questo punto di vista, la Brexit e’ estremamente positiva — o meglio lo sarebbe se i media fossero equilibrati: dopo essersi giocata la faccia, l’intellighenzia europea che figura ci fa ora?

Sta di fatto che gli imprenditori dovrebbero “svincolarsi” dal main stream e cominciare a cercare personalmente l’informazione loro necessaria — ed agire in base a tale informazione.

https://youtu.be/jLAEKbq3H2k

Video: Internazionalizzazione - I Voucher e la Velocita’

EXPORT ED INTERNAZIONALIZZAZIONE NEL POST BREXIT

Partiamo dal grande per arrivare al piccolo: e se l’italia, invece di allinearsi alle posizioni UE ed imporre sanzioni contro la Russia — con cui aveva eccellenti rapporti commerciali e politici — avesse detto di no, e magari avesse deciso di fare da ponte tra l’Occidente e la Russia — nonche’ l’Asia?

Si sarebbe aperto un immenso mercato, tanto piu’ che nel frattempo gli altri paesi europei sarebbero stati tagliati fuori e quindi l’Italia si sarebbe potuta agevolmente “mangiare” buona parte della loro quota di export.

Che fine stanno facendo l’internazionalizzazione e l’export delle imprese italiane?

In poche parole, si e’ trattato di una magnifica occasione persa. Persa a causa di un ragionare — comune anche agli altri paesi UE — che privilegia sempre e comunque la politica (o meglio le posizioni ideologiche) rispetto all’economia.

I primi dati inglesi post Brexit sembrano confermare che dissentire dalla UE non e’ assolutamente un anatema — nel caso inglese il dissenso e’ arrivato al goodbye, eppure invece delle cavallette sono arrivati contratti e posti di lavoro.

Dove sta scritto che le imprese debbano fare lo stesso errore degli stati?

Ho gia’ approfondito il tema di come fare export ed internazionalizzazione in Internazionalizzazione di Impresa — Una Nuova Era, dove fra l’altro scrivevo nel capitolo intitolato Fare impresa e le nuove rotte dell’export:

Si possono sempre aprire nuove rotte per l’export

‘… Uso il termine rotta perche’ richiama i bei tempi dell’impresa nella sua accezione originaria — nonche’ imprenditori previdenti e coraggiosi che percorrevano i mari per fare export e profitto

Il mondo e’ grande: si puo’ esportare ed internazionalizzare in quasi tutti i paesi — ovviamente con le dovute cautele, cautele che non e’ che non si debbano prendere anche in Europa o negli USA.

Invece, il povero imprenditore si trova a dovere scorrere infinite liste di prodotti che la UE non gli lascia esportare nel paese X — o che le contro-sanzioni del paese X non gli permettono di esportare.

Ancora, il povero imprenditore si trova a fare business con un paese che sta “antipatico” al suo paese od alla UE, per cui non puo’ contare su un appoggio.

Insomma, alla fine della sua ricerca il povero imprenditore si ritrova a fare export od internazionalizzazione la’ dove ci sono 10.000 concorrenti — a questo punto, mi dite a cosa gli servono i contributi (se li ottiene, magari con vincoli a gogo), gli appoggi (teorici), ecc.?

La Brexit c’e’, ora c’e’ da andare avanti

Non sarebbe forse meglio per l’impresa svincolarsi dai 10.000 lacci e lacciuoli statali o para-statali, rinunciare a (presunti) benefici se non quando pratici ed immediati, e muoversi subito — senza perdere mesi e senza tanti costi burocratici?

Il Regno Unito lo ha fatto e, nonostante le previsioni di pesti varie ed immediate delle cassandre, sta raccogliendo degli eccellenti benefici immediati — l’impresa, lasciata libera di esprimersi, sta prevalendo sulla burocrazia, sullo statalismo estremo (UE), sulle ideologie.

Posto che se fossi un’azienda che fa export — e, soprattutto, che fa internazionalizzazione — io un pensiero per un ufficio in Inghilterra (Inghilterra, non Scozia od altro) ce lo farei, non vedo perche’ le imprese non possano seguire l’esempio inglese e fare vera impresa la’ dove ci sono i mercati.

Ovviamente, bisogna fare le cose con testa e con i dovuti crismi, ma i rischi sono sempre piu’ elevati anche in UE e perfino negli USA — ma di questo ho gia’ parlato in Imprese ed Instabilità — Fare Export Oggi.

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