Essere fuori di sè, nelle scarpe altrui

Federica Riccardi
inutile
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5 min readNov 17, 2016

Ci sono persone che odiano il doppiaggio italiano, e altre per le quali è una delle glorie del nostro paese — e poi ci sono io. Sono una purista del caffè e lo bevo senza zucchero, senza latte, macinato sul momento e rigorosamente ad una temperatura tra i 70 e gli 80 gradi; però, di guardare Game of Thrones in lingua originale me ne frega poco o niente. Inglese o italiano, per me fa lo stesso.

Così, quando cercavo un buon libro da recensire per inutile, ho pensato a We Are All Completely Beside Ourselves, anche se l’ho letto in originale — la trama e i personaggi di Karen Joy Fowler non dipendono certo dalla lingua. Poi, però, sono andata su Goodreads a controllare i dettagli dell’edizione italiana, e mi è preso un colpo. Siamo tutti completamente fuori di noi, su quel sito web, è un libro totalmente diverso.

La trama è la stessa, e i personaggi pure: si parla sempre di Rosemary, la voce narrante, e di suo fratello Lowell, che è sparito da un pezzo. Si racconta di Fern, sorella gemella di Rose, di cui altrettanto non si sa più nulla, e della loro infanzia assieme. Ci sono i medesimi elementi autobiografici: la madre che rispolvera il passato donando a Rose i propri diari, il padre intelletualoide e psicologo — ma non quel genere di psicologo, precisa qui la Fowler, un etologo, di quelli che studiano il comportamento animale. Le stesse scomode verità vengono a galla quando la pazza Harlow, una sorta di nuova Fern, entra in scena.

Il problema dell’edizione italiana come presentata su Goodreads (e anche sul sito della casa editrice, Ponte alle Grazie), è che nella descrizione della trama c’è uno spoiler così grande da rendere quasi superfluo comprare il libro. Non vorrei essere fraintesa: il bello di questo romanzo non è solo (o perlomeno non è tutto) nella grande rivelazione di cui prima. Ma Karen Joy Fowler non è certo una novellina: ha molteplici premi alle spalle e un’opera (Il club di Jane Austen) che è stata inclusa nella bestsellers list del New York Times per più di tre mesi. Se un’autrice di questo calibro aspetta fino a quasi un quarto del libro per chiarire al lettore di cosa si stia davvero parlando — be’, deve pur esserci un motivo.

La giuria del PEN/Faulkner, nel premiare Siamo tutti completamente fuori di noi, ha detto del romanzo che dà un nuovo significato al principio secondo cui “ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. L’analisi delle disfunzionalità di personaggi che in realtà non sono poi così strani nè disfunzionali, in effetti, è uno dei temi preferiti (e più abusati) della letteratura postmoderna. Ciò che rende il libro della Fowler speciale, però, è che davvero riesce a cambiare la prospettiva del lettore, e fargli analizzare la vicenda attraverso gli occhi di Rose — e ci riesce, guarda un po’, proprio tenendo segreti al lettore alcuni elementi fondamentali. Una tecnica, questa, che se usata in modo improprio tradisce chi sta al di là della pagina; e che qui, invece, dimostra come sia possibile creare del bello, infrangendo le regole.

Il fatto che il lettore stia ben piantato nelle scarpe di Rose permette alla Fowler di esplorare il significato dell’essere fratelli; condivisione e fiducia istintive, quasi ad un livello corporale, legano i tre Cooke fin dai primissimi giorni assieme — e, quando Fern sparisce, è quasi naturale che Lowell faccia la stessa fine. Rosemary è lasciata non tanto a se stessa, quanto ai suoi genitori: non c’è più un fronte comune con cui dividere il peso degli adulti, delle loro responsabilità disattese e dei loro rimorsi. Così, Rose cresce privata della possibilità di specchiarsi in Fern, prendendo sulle proprie spalle — come spesso fanno i bambini — la colpa di quanto crede sia accaduto. L’arrivo di Harlow, la sua scenata, sono per Rose così familiari ed alieni allo stesso tempo che qualcosa scatta, e i ricordi cominciano ad accavallarsi; e, non a caso, il disastro nella mensa scolastica è proprio l’episodio che apre il romanzo.

Siamo tutti completamente fuori di noi non è solo una storia di affetti familiari, e di come essi crescano e si accartoccino in risposta a scelte azzardate e a volte infelici; racconta anche (e forse soprattutto) perchè la propria identità non vada costruita per negativi e chiaroscuri. Rose è stata sempre comparata a Fern e su di lei ha costruito il metro per misurare se stessa ed il mondo che la circonda: è un rischio che corrono tutti i gemelli, e prima o poi arriva il momento di prendere coscienza del fatto che le due sorelle sono due entità distinte, con destini drammaticamente diversi. Un piccolo spoiler, questo sì, ve lo posso fare: in Siamo tutti completamente fuori di noi non muore nessuno. Rimane, però, un libro a proposito della perdita, e della ristrutturazione cognitiva che inevitabilmente la segue — un po’ come quando si perde un occhio, e il corpo deve attuare nuove strategie per mantenere l’equilibrio e misurare le distanze. O un po’ come quando si perde un arto e, irrazionalmente, il fantasma di esso continua a dolere.

Non si tratta, comunque, di un romanzo triste; il tono della Fowler è pragmatico e le elucubrazioni di Rose sono sempre supportare da aneddoti gustosi. L’umorismo della protagonista può essere un po’ tagliente, venato a volte dalla melanconia del ricordare senza poter raddrizzare le cose andate storte. La ricerca della verità, però, apre a Rose un mondo molto più sereno: finalmente libera del non detto, la voce narrante riesce a cambiare per il meglio quella storia familiare che credeva fosse ormai già scritta.

Insomma: sia che siate appassionati di letteratura che si prende sul serio e racconti drammatici, e sia che entrambe le cose vi facciano sinceramente schifo, date una chance a Siamo tutti completamente fuori di noi. Compratelo anche in italiano, se volete — però non leggetene su Goodreads e buttate anche via la quarta di copertina, che non si sa mai. Insieme beveteci un bel caffè nero, senza latte, senza zucchero, macinato sul momento, tra i 70 e gli 80 gradi. Perchè, anche se The Sopranos ha un doppiaggio magnifico, è vero che certe cose è meglio gustarle nude, senza orpelli che svelino i colpi di scena — come sono state ideate.

Siamo tutti completamente fuori di noi, di Karen Joy Fowler (Ponte alle grazie 2105, 320 pagine, traduzione di L. Berna)

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Federica Riccardi
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I’m a writer and artist wannabe based in Milan. I share here personal thoughts & memories, nicely crafted. I need to be read and judged to grow and get better.