Il giro del miele

Licia Ambu
inutile
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5 min readApr 21, 2017

È piuttosto strano vederlo qui adesso: stanotte sembra che quel Davide e un altro che io non conoscevo ancora, cresciuto negli anni in cui lo avevo perso di vista, facciano a spintoni al mio tavolo, e quando vince quello nuovo è come un tizio che ha taciuto per tutto il tempo e prorompe in uno sfogo; le parole gli raschiano la gola per l’impeto e la gran velocità, si spingono a vicenda e si scavalcano. O è davvero sotto il dominio della lince.

Il giro del miele è saper condurre la trattativa. Portare a casa il risultato e impugnare la salvezza.

Avere un ritorno dal lavoro fatto e così far quadrare i conti.

Saper condurre la trattativa significa traghettare una faccenda verso una conclusione favorevole, e le conclusioni, si sa, hanno il germe trasformativo subito in coda alla stretta di mano. Trasformativo è il nome di un potere, vuol dire che si parte da una cosa e ci si ritrova con un’altra. E se sai condurre potrebbe anche finire bene. Ad esempio: il miele è il risultato del potere trasformativo delle api, il mobile è il risultato del potere trasformativo del falegname, anche il giro del miele è una trattativa, precisamente è la trattativa che porta il miele in città per trasformare il lavoro delle tue api in soldo. La polarità del risultato è soggettiva ovviamente, a volte una catarsi è un ottimo risultato ad esempio, anche se può sembrare che nessuno abbia un trofeo da stringere, non è così.

In una casa dell’appennino bolognese, di fronte a un camino, di notte, due uomini e una bottiglia di grappa, seduti a un tavolo dialogano. Giampiero è il più grande e conosce Davide da sempre, il figlio del falegname che guidava il pulmino per i bimbi della scuola e che ha sposato la Silvia (l’articolo prima del nome è voluto). Partiti dallo stesso nocciolo di paese, facce e panorami, i due percorsi si fanno i propri affari per poi ritrovarsi una sera, quando Davide bussa alla porta di Giampiero e finisce a confessioni e tacche di pennarello intitolate sulla bottiglia: fin qui, e non oltre. Davide racconta, Giampiero ascolta, risponde, e racconta anche lui. A volte, mentre Davide non può sentire, racconta solo a noi. A volte nessuno dei due sente, e siamo soli in sala. Giampiero è il custode storico di tutte le versioni pervenute di Davide: figlio, marito, giovanotto, apicoltore, fratello e uomo. A un certo punto della storia avrà anche la versione che gli manca: il Davide racconto di se stesso. Giampiero è il figlio che Davide non è stato per suo padre, Davide è il figlio che Giampiero non ha avuto con l’Ida, sua moglie. Il loro dialogo comporta un costante scambio di ruoli tra confessore e confessato; ricostruzioni e non detti — un sacco di non detti — sono il cammino verso la resa dei conti. Ecco noi entriamo qui, a questo punto della storia. E forse è un po’ tardi. Il fatto è che Davide ha intravisto la lince che già altri hanno avvistato prima di lui, ma che nessuno è mai riuscito a prendere. E proprio così, cercandola, con la resa dei conti in spalla, è andato a bussare a casa di Giampiero.

La storia di Campani appartiene ai suoi luoghi molto più di quanto i luoghi non appartengano alla storia. I personaggi ti urlano in continuazione che sono figli esattamente della terra su cui camminano, praticamente camminano su loro stessi. Non sono esattamente quel che si dice cosmopoliti, sono localissimi, ma maledettamente universali. Questo microcosmo — ma vale come regola generale, per l’appunto — è un ambiente molto fertile, un piccolo spazio che può ospitare la felicità di un matrimonio, il lavoro operoso delle api, il pulmino porta bimbi ma anche l’inquietudine o certe fini, una specie di seme del male. Il male può sorprendere ovunque: paura, rabbia, il lato oscuro che tocca tutti ma non si fa mai prendere, come una lince, la depositaria della verità viscerale della terra che appare quando gira a lei. La verità spaventa, inganna, pesa anche quando non si vede, perché si sente che è lì che ti schiaccia, perché non saper dire di un’emozione non ci libera dal sentirla. Per niente. E le emozioni in un certo senso possono essere potenziali pericoli, restano lì a farsi covare senza che si sappia dirle ed ecco il guaio.

La trattativa è un dialogo tra almeno un paio voci: la realtà del paese è l’incubatrice, la città è la rovina (eppure della città non si può farne a meno se si vuol vivere e guadagnare, lì solo si può fare il giro del miele); dialogico è il senso di marcia: si entra e si esce dalla stanza, un momento siamo di fronte al camino con la precisa visione di ogni minimo spostamento d’aria, il momento dopo usciamo a spasso per ricordi a vedere cos’è accaduto. Il dialogo alterna aggressione e accoglienza — mai come a questo tavolo la parola aggredire rimanda al significato etimologico di “andare verso”. Persino le cose si comportano a due voci: il fuoco scalda o brucia, la natura appaga o spaventa. Il senso delle cose è a due voci: un mucchio di parole maschili e un sovrastante silenzio femminile, capitanato dall’Ida, che al piano di sopra dorme e rappresenta il silenzio di tutti quelli che non ci sono. Sì, è un libro pieno di assenze importantissime questo, gli assenti certe volte sembrano gli unici a poter dare le conferme, a testimoniare che “oh, non sempre si è riuscito ma almeno ci si è provato, a fare qualcosa”.

Questa storia vi farà venire un sacco di sete. Vi porterà in giro a vedere cosa si può guadagnare a volte dalle trattative. Vi renderà assetati di catarsi a poche pagine dall’inizio. Siamo la lince eterodiegetica che aspira all’onniscienza. E questa scrittura è un suono, un corpo, un colore della natura chiamato col nome corretto, che sa condurre una trattativa in modo impeccabile e preciso. Anche magico. Non so bene se mi sono spiegata, Il giro del miele è un gran bel libro.

Poi, la trattativa è la vostra.

Su certe cose tacerò. Fin qui, e non oltre. Sul male di prima e sul bene di poi.

(NB: L’Appennino bolognese sarebbe in verità l’Appennino tosco-emiliano. La recensitrice si è lasciata trasportare da una geografia del cuore, sentendosi troppo a casa. Ci scusiamo per il disagio.)

Sandro Campani, Il giro del miele, Einaudi (2017)

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Licia Ambu
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