Nel secchio o nell’acqua

inutile
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5 min readDec 19, 2017
Immagine di copertina.

In redazione son passate persone davvero fanatiche di Roberto Bolaño — e come dar loro torto? Abbiamo raccolto gli articoli che Pietro Menozzi e Marco Montanaro hanno scritto nel corso degli anni (e che sono stati poi ripubblicati altrove), chiedendone in prestito alcuni ad altri siti amici. Abbiamo poi preso una mano di terra del deserto e fatto questo speciale. È riservato ai nostri soci, che lo trovano già nella loro area riservata: chi lo vuole leggere può associarsi da qui.

La mia padrona di casa era una lettrice di Bolaño. Le piaceva definirsi lettrice, lasciare pile di libri in giro per la casa, pile che sono rimaste pressoché inviolate durante tutto il periodo che ho abitato con lei. Ma Bolaño lo teneva con sé, in camera sua. Stava leggendo Los detectives salvajes: ne parlammo con la superficialità di estranee legate da un affitto la cui priorità è difendere la formalità del condividere la cucina. Annuivo e sorridevo molto, ammettevo di aver letto poco di Bolaño, e a singhiozzo, pelavo patate e non commentavo l’affermazione della mia padrona di casa, «uno scrittore mejicano». Intuii che era meglio concedere alla padrona di casa, messicana espatriata nella provincia inglese, un moto di orgoglio nell’allinearsi a Bolaño, immaginavo che, forse, trovasse un conforto nella somiglianza tra le loro parabole di nomadi in Europa. «Ay, quanto mi piace questo romanzo» ripeteva per riempire i buchi in una conversazione tra donne che hanno poco da dirsi. Sorridevo e mi faceva male la faccia, dicevo stupidaggini su quanto fosse faticoso leggere passaggi così violenti, difficile accettare che i personaggi sparissero dopo duecento pagine, contavo i secondi prima che il riso scuocesse, la salutavo con sollievo mentre infilava Detectives nella borsetta e usciva di casa. Le piaceva molto leggere durante la pausa pranzo, soprattutto Kafka, mi aveva raccontato. «Sto scrivendo un romanzo, nello stile di Bolaño» mi disse una mattina. Non volevo sogghignare e non lo feci, lavare la tazza in cui avevo bevuto il caffè mi diede la scusa per guardare altrove mentre le chiedevo di elaborare sul tema. Avrebbe scritto un giallo? Un poliziesco? Avrebbe inserito elementi autobiografici? Che lingua avrebbe usato? Ogni giorno mangiavo seduta davanti al quadro che la padrona di casa stava dipingendo, un paesaggio esotico tagliato a metà da un fulmine, che occupava gran parte del tavolo. Era chiaro quanto sollievo si potesse trarre da tutte quelle attività culturali tipicamente intraprese da donne di mezza età, sole e con entrate stabili: lettura, pittura, giardinaggio, arrostire mandorle e fare il pane in casa. Ma quale consolazione trovava in Bolaño la mia padrona di casa? Che cosa c’era dietro il desiderio, che trovavo così comico, di riscrivere Bolaño? Che cosa aveva individuato, tra le mille appendici e salti geografici e personaggi dissolti e riemersi, di esportabile e riconoscibile, che io mi ero persa? Chissà che cosa c’è dietro, mi chiedevo, invaghita dalla sua supponenza e dalla mia cecità critica. Lavoravo di fantasia, inventavo cose come “ricerca di un discorso disinfettato”, “impulso di catalogare le sorti di personaggi spalmate per una quindicina di libri”, “nervosismo di chi vuole arrivare all’osso della trama”. La lingua, annunciai per calmarmi, dev’esserci qualcosa nello spagnolo migratore che non capisco, che non passa in traduzione, che non colgo. Non ho mai letto nulla dal manoscritto della mia padrona di casa, la tensione che si era creata a seguito di un divergente utilizzo del detersivo per lavatrice ci rese fredde l’una verso l’altra fino alla mia partenza.

Il nome di Roberto Bolaño si appresta a godere della popolarità appartata (perlopiù postuma) di cui godono gli autori il cui prestigio è unanimemente riconosciuto, non più materia di dibattito. Il periodo in cui ostentare la lettura di Bolaño andava di moda non è passato da tanto, e ancora non si vedono le avvisaglie del backlash revisionista che porta dritto o alla canonizzazione o allo scatolone dei libri usati. Ci sentiamo lungimiranti al riguardo, e oltre a far tornare la voglia di continuare a leggere Bolaño, vorremmo anche rivisitare le riflessioni che ha suscitato. Questo speciale vuole fare questo: immortalare un momento nella storia della lettura di Bolaño. Gli articoli scritti da Pietro Menozzi e Marco Montanaro ci parlano di “epanortosi bolañiana”, del concetto di limite e dei mondi che proliferano a ridosso del limite, della violenza intesa come naturale conseguenza del benessere garantito altrove, dei cerchi concentrici di caos quotidiano, dell’accumulazione di oggetti trascurabili su cui si basano l’inventario e il lessico della realtà di Bolaño. Ci parlano di uno scrittore profondamente consapevole della materialità del lavoro letterario e della necessità di collocarlo (collocandosi) all’interno di una rete di autori e pensatori, sia contemporanei che predecessori illustri, per farlo sopravvivere. Un pragmatismo smagliante che è evidente — senza essere per forza autobiografico o metanarrativo — nella schiera di personaggi-scrittori tra le pagine di romanzo, ma soprattutto nella cosmogonia di case editrici, riviste, scrittori minori più o meno falliti, traduttori, bibliografie, manoscritti perduti che, per esempio, riempiono da soli l’antologia posticcia Literatura nazi en América e le “pause” tra i capitoli di Los sinsabores del verdadero policía. Che non sia forse una comunità letteraria, che scrive per continuare a scrivere, o per convincere gli altri a scrivere, chiedendosi ossessivamente se scrivere sia inutile — o quanto inutile sia scrivere — quello che la mia padrona di casa ha intravisto, e a cui abbia ambito aggregarsi? Cedendo alla distanza ho fallito, posso solo immaginare che la mia padrona di casa si sia vista protagonista, pesce nell’acqua, pronta ad accettare lo sciupio intrinseco al tentativo, mentre io mi sono accontentata di descrivere cerchi nel secchio, intontita davanti al limite, un’esca già appesa all’amo. E con questo speciale noi di inutile ci auguriamo che, sia che vi sentiate piccola esca o preda saporita — nient’altro che uno stratagemma per capire quanto crediamo alle storie che ci raccontiamo — continuiate a leggere, Roberto Bolaño, e non solo.

—Francesca Massarenti

Quarta di copertina.

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