Scuoieresti un Big Bad per me?

CoseCheNonEsistono
inutile
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9 min readJul 23, 2014
Hai detto anni ‘90?

Nei primi mesi del 2005 avevo da poco compiuto 20 anni e non avevo un soldo. Dissi a mia madre che, a partire da un certo giorno, avrebbe dovuto comprare i dvd in uscita con Tv sorrisi e canzoni.
«Ti conviene dire al giornalaio di metterli da parte con regolarità, caso mai una settimana ci dimenticassimo» dissi.
Ero molto seria perché si trattava dei i dvd di Buffy L’ammazzavampiri: dvd contenuti in scadentissime custodie salvaspazio con lo scadentissimo logo di Tv sorrisi e canzoni stampato sopra. Non un cofanetto, non una scatola in cartone che li dividesse per stagioni, non un libretto. Tieni, prendi questi dvd avvolti nella carta del pane. Ho calcolato che costarono 252 euro.
Ho anche calcolato che per i dvd di Lost spesi 170 euro. Cioè poco più della metà per la serie più pompata della storia, dal Manzanarre al Reno, contenuta in elegantissimi cofanetti no logo.

Credo che esistano due epoche: quella Avanti Lost e quella Dopo Lost.
Tutto quello che la tv ha prodotto A.L. ci appare più scadente perché, nell’era D.L., siamo diventati dei rompicoglioni. Lost ci ha insegnato a essere esigenti con le serie tv, a pretendere coerenza, continuity, a distinguere tra trama orizzontale e verticale, a chiedere robusti sviluppi alla prima e frivoli-ma-non-troppo cali di tensione alla seconda, episodi stand-alone che non si riproponessero come un brutto vizio, a percepire ciò che è in character e out of character, i cliffhanger e i salti dello squalo, i cavallier, l’arme, gli amori.
Buffy lo guardavamo in piena notte, o dopo pranzo su Italia1 se ci andava di lusso, subendo una programmazione che oggi ci farebbe disgusto ma all’epoca era l’unica programmazione possibile: con la pubblicità in mezzo. Buffy è stato tanto tempo fa, e qualcuno gliene fa una colpa. Eppure le qualità che pretendiamo oggi da una serie tv Buffy ce le aveva già. Il problema è che non avevamo ancora tutte quelle categorie di giudizio a disposizione.

Quando andò in onda negli Stati Uniti, dal 1997 al 2003, il suo creatore sapeva tenere la penna sul foglio ma non era certo una star. Joss Whedon aveva messo mano ad alcune sceneggiature per il cinema e, nel 1992, alla storia di una ragazza che combatteva i vampiri. Quest’ultima vide poi la luce, modificata, tagliata e maltrattata, come film bruttobrutto: ecco perché, quando gli venne chiesto di farne una serie, decise che avrebbe avuto il controllo completo della realizzazione. Di figuracce ne aveva fatte abbastanza. Venne fuori la storia di una ragazzetta del liceo bionda e superficiale che un attimo prima fa la cheerleader e quello dopo è chiamata a ad essere la Cacciatrice, Prescelta per combattere il Male, l’Apocalisse, i vampiri e i demoni più svariati con paletto di legno nella destra, acqua santa nella sinistra, calci rotanti ai piedi. Tutto si svolge nella cittadina di Sunnydale, placidamente adagiata sulla Bocca dell’Inferno: una fonte di malvagità sotterranea che agisce su quelli che abitano in superficie — un «bidet di malvagità», si dirà con una felicissima battuta in uno degli ultimi episodi.
Whedon mescola horror, drama, ambientazione teen e LOL a pacchi in una ricetta, per l’epoca, praticamente sconosciuta.

*

«Scuoieresti un Big Bad per me?»
«Dai, sembro una cretina a chiederglielo.»
«No! Perché capisci a) se avete gli stessi gusti in fatto di telefilm e b) se è uno che si mette in gioco, uno disposto a tutto.»
«Magari evito di dire “magia” o “Big Bad”. Così capisco anche se coglie il riferimento.»
«Brava. Digli così: se io morissi in maniera tragica, se in una giornata di sole mi raggiungesse un colpo di pistola pochi secondi dopo che ci siamo scambiati un bacio, scuoieresti il mio carnefice?»
«È perfetto.»
«Solo se dà la risposta giusta.»
Consigliai alla mia migliore amica di fare questa semplice domanda al ragazzo che stava frequentando. Si ispirava a uno dei momenti più drammatici dell’intera serie. Siamo alla sesta stagione: la migliore amica di Buffy, Willow, ha appena visto morire la sua ragazza, Tara, per mano di uno dei cattivi del momento, Warren. Willow è una strega potentissima, ma non riesce comunque a resuscitare Tara. In preda all’ira più cieca fa ricorso alla magia nera, cattura Warren, lo lega in mezzo a un bosco e lo scuoia senza nemmeno muovere un dito. Io e la mia amica eravamo sul divano di casa sua a rivedere questa scena dai miei dvd nuovi di zecca. L’ammasso di muscoli esposti era abbastanza impressionante. Misi il lettore in pausa e discutemmo a lungo se si trattasse o no di una prova d’amore coi controcazzi.
Joss Whedon è così: ama affrontare i grandi temi morali. La vendetta, il pentimento, la redenzione, il coraggio, il senso di responsabilità, l’amicizia. Da quel momento Willow precipita in una spirale di violenza incontrollabile che la trasforma nel vero Big Bad della stagione e che la segnerà per sempre. Non è difficile immedesimarsi in uno qualsiasi dei suoi personaggi e chiedersi quale scelta si sarebbe fatta. Perché la grandezza di un qualsiasi personaggio di finzione sta nel non sembrare di finzione, e quindi cambiare, camminare, muoversi continuamente, tornare indietro, andare avanti ma per la strada sbagliata, fare la giravolta. A partire da Buffy, passando per Xander e Willow, per Giles, fino ad arrivare a Spike e Angel, Anya, Tara, Oz, tutti i personaggi, principali o secondari che siano, ci mostrano un movimento narrativo che è prima di tutto personale: quello di Buffy è un universo umano che ribolle, nessuno nell’ultimo episodio è uguale a com’era nel primo.
Eppure per sette stagioni guardiamo indubbiamente un’unica storia: la specifica lotta di questi ragazzi contro il Male. L’ultimo episodio è l’esatto epilogo del primo.
Joss non cazzeggia: sa fin dall’inizio dove andrà a parare e va a parare proprio lì. Buffy è Buffy all’inizio come alla fine, non è dieci, cento telefilm diversi, non è tentativi iniziati e poi abortiti: è compatto e riconoscibile.
Ecco perché, per i fan, Whedon è Dio.
Ecco perché è merito suo se la mia amica e quel ragazzo poi si sono sposati.

Io e mia sorella siamo sedute su due scomode poltroncine in vimini. «Diciamolo insieme ad alta voce al mio tre.»
«Ma se poi tu dici tre e non dici niente e parlo solo io?»
«Ti do la mia parola che al tre dirò il titolo della mia puntata preferita in assoluto, prometto e giuro su quanto ho di più caro.»
«E se ti viene un colpo di tosse e parlo solo io?»
«Stai esagerando.»
«Quello che dirò influenzerà per sempre il tuo giudizio nei miei confronti, senza che io abbia a mia volta a disposizione un titolo attraverso cui giudicarti.»
«Sei da curare.»
«E se poi…»
«Tre!»
«OMWF!»
«OMWF!»

OMWF sta per Once more with feeling, il titolo dell’episodio musical della sesta stagione. Difficile che un episodio totalmente cantato — i protagonisti sono vittime di un incantesimo che li costringe ad esprimere le proprie emozioni cantando e impedisce loro di mentire — possa inserirsi fluidamente all’interno della trama orizzontale di una qualsiasi serie che non sia Glee.
Gli episodi stand-alone sono quegli episodi a sé stanti che iniziano e finiscono senza apportare mutamenti all’arco narrativo principale. Poco più che riempitivi. Fringe ha patito tantissimo l’eccesso di questo tipo di episodi, sfidando la pazienza dei fan che si vedevano sfilare davanti gli intrecci decisivi in maniera davvero troppo diluita.
In Buffy non mancano episodi stand-alone che sembrano soltanto slegati dall’arco narrativo principale. In realtà Joss dà sempre un colpo alla trama orizzontale, anche piccolo, perché vuole bene agli spettatori e non crede in Santa Pazienza.
Inca mummy girl (seconda stagione) è forse uno degli episodi più brutti dell’intera serie, eppure vi compare per la prima volta Jonathan, uno dei protagonisti della sesta stagione.
Tucker, il protagonista del dimenticabile The prom (terza stagione) verrà chiamato più volte in causa nella sesta e settima stagione in quanto fratello di Andrew, parte attiva della gang di Buffy fino all’ultimo episodio.
Addirittura alcuni dei migliori episodi dell’intera serie sono proprio degli stand-alone, o comunque episodi che formalmente si slegano dalle modalità a cui siamo abituati. Pare che con essi Whedon abbia avuto la possibilità di esprimere al meglio le potenzialità della sua creatura proprio perché è nella sua natura la capacità di uscire dal percorso stabilito.
Hush (quarta stagione) è un episodio totalmente muto se non per pochi minuti all’inizio e alla fine.
The Body (quinta stagione) sceglie di raccontare la morte della madre di Buffy attraverso l’assenza di colonna sonora.
Normal again (sesta stagione) apre la porta su un universo parallelo senza confortarci con facili risposte ma ponendo la più spinosa delle domande: e se Buffy fosse solo una ragazza piena di problemi chiusa in un ospedale psichiatrico, vittima delle sue fantasie su mostri e vampiri?
In Once more with feeling la trama avanza velocissima — scopriremo che Buffy avrebbe preferito non essere riportata in vita dai suoi amici e avrà inizio la storia con Spike.
Io e mia sorella quasi piangevamo di gioia quando Breaking Bad ha avuto il coraggio di far girare un’intera puntata attorno a una mosca ma, a pensarci bene, avevamo già visto qualcosa di altrettanto audace.

*

Nostra madre è poggiata allo stipite della porta.
«Credo che abbiate saltato qualche puntata.»
«Impossibile!» faccio io.
«Impossibile!» fa mia sorella.
«Non fate le stupide: un personaggio non compare così dal nulla.»
«Ma’, ti giuro che Buffy non ha mai avuto una sorella» dico io.
«Mai» dice mia sorella.
«Sarà colpa di Italia 1» sostiene mia sorella.
«Un classico» mormoro io.
Ho imparato il significato della parola cliffhanger quando su Italia 1 vidi che tutti i personaggi davano per scontata l’esistenza di Dawn, la sorella adolescente di Buffy, che non era mai apparsa nemmeno in un episodio. Così, uno schiaffo in faccia negli ultimi secondi di un finale di stagione. Arrivederci fra 6 mesi. Per una volta Italia 1 non aveva colpa: la trovata era interessante e si sarebbe poi perfettamente chiarita nel corso della stagione.
Quando il dott. Jack Shepard aveva scoperto in mezzo alla giungla la botola di Desmond Hume avevo provato una sorpresa simile.
Buffy parla di vampiri e demoni, di Bene e Male: non poteva essere avara di cliffhanger e momenti drammatici. Eppure la firma di Joss Whedon — la stessa che leggiamo in The Avengers — è l’umorismo, il LOL.
La serie, mentre racconta la più suprema delle lotte, sfotte gli stereotipi del teen drama e dell’horror, sfottendo quindi sé stessa. La gang va a caccia di vampiri ma, ehi stiamo camminando in un cimitero di notte e siamo davvero degli stupidi perché nei film finisce sempre male e muoiono tutti.
Nell’ultima stagione l’atmosfera si incupisce ancora di più, si allunga l’elenco delle persone coinvolte, delle persone morte, si fa vivida la sensazione di un destino ineluttabile che opprime personaggi e spettatori in egual misura. Eppure si trova il tempo di Storyteller, un episodio che messo in qualsiasi altra serie avrebbe ammazzato la tensione e indotto i telespettatori a comprare torce e forconi. Andrew — ex personaggio secondario, ex cattivo, protagonista di un personalissimo percorso di redenzione — gira un documentario sulla giornata tipo della cacciatrice. «Why can’t you just masturbate like the rest of us?» gli chiede Anya. Perché anche se la fine del mondo è vicinissima, in casa Whedon non la facciamo mai troppo pesante, ecco perché.
Così, la notte prima della battaglia finale, i protagonisti giocano a Dungeons & Dragons, per ammazzare il tempo e l’ansia. Potrebbe essere l’ultima partita in assoluto.

*

Ma chi è Buffy? Prima di tutto è una ragazza e forse è l’aspetto che più conta. Ok: ci sono tanti telefilm pieni di ragazze. Va bene: se parliamo di fardelli, Ally McBeal aveva le visioni. Ma Buffy deve salvare il mondo quindi è chiamata, nell’ordine: a smettere di agitare i pon pon, a indossare vestiti comodi, a dare mazzate. Il punto è che lo fa senza assomigliare a Steven Seagal. Buffy non ti insegna che vince il più grosso: vuole farti vedere che anche chi sembra non valere molto — una liceale non sveglissima — può diventare il più forte. O semplicemente più forte di prima. O essere quello che aiuta il gruppo e mantiene alto il morale.
Nella settima stagione viene risvegliato un esercito di potenziali Cacciatrici, ragazzine di tutte le età sparse per il paese che hanno le potenzialità della Prescelta. Un esercito di giovani donne capaci cioè di crescere, essere più consapevoli, opporsi a ciò che ritengono ingiusto, battersi per qualcosa e, in fin dei conti, imparare a scegliere. Un cammino difficile, che richiede sacrifici, ma su cui possono incamminarsi tutte.
Fu mia nonna ad accorgersi della carica innovativa di Buffy. Nel Natale 2006 avevo delle puntate da vedere e molto tempo a disposizione tra una portata e l’altra. Guardava il televisore dal suo posto a capotavola. Le piacque parecchio l’ambientazione gotica e gli effetti grafici le sembrarono d’avanguardia.
«Un po’ manesca. Ma ai miei tempi ce lo sognavamo di alzare le gambe così» commentò.

*

Arriva l’estate. Faccio il resoconto delle proposte televisive.
Replica di Una mamma per amica.
Replica di Gossip Girl.
Replica di O.C.
Replica di Heroes.
Replica di Smallville.
So che se Italia 1 mi riproporrà, anche quest’anno, le repliche di Dawson’s Creek io avrò nel mobile dvd un umorismo molto migliore di quello di The Big Bang Theory, coerenza maggiore che in Dexter, riferimenti pop degni di Community, più equilibrio che in Fringe, meno ripensamenti che in Lost, più onestà che in Penny Dreadful, tutto a soli 252 euro.

Originariamente pubblicato su inutile nel luglio 2014.

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