Sillogismo sugli haiku

Claudio Serena
inutile
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4 min readApr 23, 2018

Non può esserci un’introduzione se non c’è un argomento centrale/principale/più-importante-rispetto-al-resto.

L’haiku non ha un argomento o verso centrale, siamo noi occidentali che vogliamo trovarcelo per forza.

Conclusione: l’haiku non ha versi introduttivi, non ha porte di ingresso su un tema o evento principale.
Tutto possiede la stessa centrale importanza, non c’è gerarchia di significati. Barthes direbbe che regna la sospensione del senso.

L’haiku come pratica

Dove finiscono
i fiori di deutzia
una porta di buio

Mukai Kyorai (1651–1704)

L’haiku è breve nella mente ancora prima che nella parola, il che non significa però che sia un gesto estemporaneo, quasi romantico.
Sono anzi frutto di un continuo costante esercizio e di regole precise da applicare.

Una volta fatte completamente proprie, queste regole possono essere dimenticate, non nel senso di eliminate (anche se può succedere, ed è successo più volte, che alcuni poeti tralasciassero alcune regole, soprattutto metriche, per ottenere una particolare sonorità o un particolare effetto grafico, data l’importanza del segno grafico nella lingua giapponese), ma nel senso di applicate non meccanicamente, cioè senza cercare attivamente di applicare una data regola. L’haiku fluisce attraverso la mente allenata dello scrittore che riflette il mondo intorno a sé senza interpretarlo (cosa estremamente aliena alla cultura occidentale).

Questo non significa che non si debba provare a scrivere haiku, anzi, bisogna continuare a provare fino a che non si riesce.

Siedo scomposto su un mucchio di fieno
scrivo haiku
e bevo vino.

Jack Kerouac

L’haiku come osservazione

Il raccoglitore di rape
con una rapa
mi indica la strada

Kobayashi Issa (1763–1827)

L’haiku può parlare di qualsiasi cosa, perché tutto nel mondo è ugualmente stupendo (ci sono haiku su cavalli che cagano…).

Un haiku è, per così dire, un particolare che appare del tutto insignificante a chi non lo sa guardare.

Ragazza con furgone —
cosa
posso saperne io?

Jack Kerouac

L’haiku come narrazione

Tranquillità
il verso di una cicala
penetra la roccia

Matsuo Bashō (1644–1694)

L’haiku è un momento immobile, non c’è narrazione come non c’è un prima e un dopo, c’è solo quello che succede in quel momento.

Acqua in una pozza
che osserva
i cieli fradici.

Jack Kerouac

L’haiku come interpretazione del mondo

Il venditore di sandali
è venuto:
i primi fiori di ciliegio

Chiyo-jo (1703–1775)

L’haiku è senza un soggetto, in genere, nel senso che non c’è un soggetto che esperisce emozioni, anche se ovviamente c’è un punto di vista: quello del poeta che riflette ciò che lo circonda e non SU ciò che lo circonda.
Non c’è speculazione emotiva, c’è solo un particolare momento osservato e riportato (negli haiku contemporanei di scuola non classica questo aspetto è stato in gran parte abbandonato, tanto che alcuni haiku sembrano più che altro poesie di Ungaretti, brevi, ma molto metaforiche e connotate da forti elementi emotivi)

Le stelle in cielo
non conoscono l’ira
bla, bla, bla, fine

Chuck Palahniuk

L’haiku come componimento formale

Haikus are easy
but sometimes they don’t make sense.
Refrigerator.

Rolf Nelson

Un haiku è un componimento di 3 righe soltanto.
Le sillabe dovrebbero essere 5–7–5, ma tenendo conto del fatto che in italiano questo è molto difficile perché molte parole sono bi- o tri- sillabiche, a differenza di quelle giapponesi che sono spesso monosillabiche (come quelle inglesi).

Necessari alla scrittura di un haiku vero e proprio ci sono poi il Kigo, cioè l’elemento che fa riferimento ad una stagione (ne esiste un elenco ufficiale del 1600, mi pare, ma anche questo aspetto è stato, col tempo abbastanza trascurato) e lo Shoryaku, omissione, cioè il salto grammaticale o logico di termini necessari in un linguaggio in prosa, per stimolare la fantasia e le reazioni del lettore (elemento tipico di tutta la poesia, anche occidentale, dal 1800 in poi, forse anche prima).

L’haiku è sì definito da regole precise, ma non è detto che queste debbano essere rispettate per sempre alla lettera, basta averle fatte proprie e violarle in modo consapevole, senza pensare che la prima poesia di tre versi brevi che esce dalla penna sia un vero haiku, ma tenendo presente che l’ultima poesia, magari di due o quattro versi e che parla di come si è diventati sereni guardando un maiale dormire potrebbe esserlo.

La differenza sta nella consapevolezza.

kasa mo naki
ware wo shigururu ka
nanto nanto

Ora che non ho neppure il cappello di bambù
mi sorprenderà la pioggia?
Ma che importa…

Matsuo Bashō (1644–1694)

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Claudio Serena
inutile

DM @FumbleGDR | Producer, Gamer e Podcaster @quertycast