Taki183

Francesco Cisco Pota
inutile
Published in
7 min readApr 18, 2017
E un giorno, di colpo, Taki183 si svegliò famoso

«Phase 2 è il dritto che ha praticamente inventato lo sbombolo!» a pronunciare questa frase, che, bisogna dirlo, suona ridicola, è Ramon il writer, o meglio il graffiti writer, del film Beat Street, uscito nel 1984. Suona ridicola e non è l’unico caso in cui un doppiaggio, sopratutto quando deve riprodurre uno slang giovanile, risulta falso. Nel caso specifico, il traduttore doveva affrontare uno slang che in Italia non era ancora praticamente arrivato. Forse un risultato troppo giovanilistico ma comunque un’impresa improba.

Purtroppo mi tocca smentire Ramon: quello che lui chiama, in italiano, sbombolo, ovvero il writing o il graffiti writing, non è stato inventato da Phase2. Tra la fine dei ‘60 e l’inizio dei ‘70, cinque-sei anni prima di Phase2 e 15 prima di Beat Street, qualcuno aveva cominciato a scrivere il proprio nome su un muro e da qui è poi disceso tutto il movimento. Non è che prima degli anni 70 i muri fossero puliti e lindi, anche allora c’era chi scriveva sui muri ma il punto è che quella che viene chiamata gergalmente la tag, la firma di un writer, il suo alter ego, nasce in quegli anni. È la prima forma di writing e ci aiuta a comprendere le particolarità di quanto nacque. Tra i primi ci furono Taki183 e Julio204. Il primo a ricevere l’attenzione della stampa fu Taki183 su cui, il 21 luglio 1971, il New York Time scrisse l’articolo ‘Taki 183’ Spawns Pen Pals.

Di colpo i treni e i muri si riempiono di nomi e numeri. C’è della sistematicità nel modo in cui si cercava di diffondere il proprio nome, secondo l’articolo già citato del NYT in quell'anno ripulire dalle tag i treni della metropolitana costò 300mila dollari. Molte sono le interviste ai writer di quegli anni in cui ricordano come parte integrante dell’azione fosse l’attesa del passaggio del treno con il proprio graffito, il vedersi diffuso, sapere che il proprio lavoro (o atto vandalico, dipende dai punti di vista) stesse girando per la città.

Invece i numeri con cui i primi writer accompagnavano la propria tag indicavano la strada dove vivevano. Indicare da dove si viene è un po’ come indicare chi si è, per sottolineare un’appartenenza. Taki è il diminutivo di Demetrius, un ragazzo di origini greche che viveva sulla 183a strada a Washington Heights, NY ovviamente perché questa storia è tutta newyorchese. Secondo quanto riportato da questo articolo, nel 2011 il quartiere è uno dei meno pericolosi di Manhattan ma la storia di Washington Heights è molto travagliata e al tempo della gioventù di Demetrius le cose erano decisamente diverse.

Il quartiere ha subito diverse trasformazioni nel corso degli anni. Nel secondo dopoguerra era abitato da irlandesi, ebrei tedeschi, armeni e greci. Gli ebrei, la cui presenza era così significativa che il quartiere era soprannominato Frankfurt on Hudson, dalla città di Frankfurt am Mein da cui provenivano molti di loro, ricordano come allora i ragazzi ebrei dovessero stare lontani dai gruppi di irlandesi, che spesso li aggredivano e li picchiavano. Le gang e la questione etnica e sociale sono una parte integrante della storia del quartiere, e anche del writing.

Le gang sono un fenomeno che New York e quelle zone già conoscono dagli anni ’40 e nel 1957 il quartiere è scenario di lotte per il controllo del territorio, pur se si parla di una sorta di possesso rispetto ad altre gang e ancora non sono coinvolte attività criminali. Nell'immaginario collettivo le gang giovanili del dopoguerra hanno la faccia di Tony e Maria da West Side Story. Queste gang, che nella realtà si chiamavano Egyptian Kings o Vampires o Dragons, segnavano il territorio, lo marchiavano, lo facevano diventare la loro casa. Un posto dove sentirsi, in qualche modo, a casa mentre gli Stati Uniti e New York ancora non lo erano, nel caso di figli di immigrati, o li escludevano, nel caso di minoranze etniche come gli afroamericani. Stiamo parlando di preistoria rispetto al writing e la relazione non deve essere presa come una discendenza diretta ma come un indizio.

Gli ebrei lasciarono Washington Heights negli anni ’50, subito dopo lo fecero anche gli irlandesi, nel quartiere erano arrivati dominicani, cubani, portoricani e afroamericani che lavoravano per salari più bassi. Il cambiamento degli abitanti, la diminuzione del salario pro capite e le tensioni etniche e razziali trasformarono in peggio la zona. Nonostante una delle sue vie principali sia il proseguimento di quella Broadway che pochi chilometri più a sud, oltrepassando Colombus Circle, si riempie di teatri, il quartiere diventa profonda e dimenticata periferia. Washington Heights è abbandonato insieme alle persone che ci vivono.

È in questa situazione di abbandono che nasce Demetrius e un giorno dell’estate 1969 viene a sapere che, qualche strada più in là, un ragazzo portoricano sta lasciando in giro il proprio nome e numero di strada, Julio204, e pensò fosse fico, fosse cool. Da lì Demetrius diventò Taki183 e iniziò a scrivere su ogni superficie disponibile, dicendosi ispirato alle campagne pubblicitarie con gli sticker e le campagne elettorali degli anni precedenti. Diffuse la sua tag talmente tanto che il New York Times si accorse di lui. Non che fosse l’unico ma era quello che aveva lasciato più tracce o avuto la fortuna di attirare l’attenzione del giornalista.

In quegli anni, come qualunque cultore de I Guerrieri della Notte sa, New York aveva un numero spropositato di bande giovanili, le cosiddette gang. Nel quartiere di Taki c’erano i Savage Skulls e i Savage Nomads. Le gang segnavano il proprio territorio come facevano i Jets, gli Sharks o gli Egyptian Kings vent'anni prima, era un modo per rivendicare il territorio o per invaderlo. Erano molto violente, alcune si battevano contro gli spacciatori, altre vi avevano a che fare, sicuramente si battevano tra di loro e non era insolito che gli scontri finissero con dei morti. Sia gli Skulls che i Nomads erano composti da afroamericani e portoricani, le gang sono etnicamente miste, come lo sono i quartieri dove nascono. Erano diventate un modo per molti ragazzi per far parte di una comunità, con regole al di fuori di quelle stabilite dalla legge che da quelle parti risultava molto lontana e spesso inapplicata o inapplicabile. Julio204 faceva parte dei Savage Skulls e non portò mai la sua tag al di fuori della sua zona.

Marcare il proprio quartiere, questo è forse quello che fa Julio204 ma Taki183 e altri hanno un motivo diverso, non legato alle gang e alle loro faide: tutto il movimento hip hop delle origini promuove parole come peace and unity. Un tentativo di andare oltre al panorama di una realtà degradante e avvilente. Taggare un treno era un modo per andare in giro, un modo per far vedere il proprio nome in altri quartieri, a chi poteva capire ma anche a chi non poteva capire. Un provocazione attraverso la quale affermare la propria presenza e la propria identità. Ma c’è di più: era una specie di assalto.

Quel writing ha molto a che fare con l’illegalità, la costruzione di una legalità alternativa a quella imposta con la legge dai poliziotti. Il rapporto con la polizia in quei quartieri era estremamente complesso (oggi sono in vena di eufemismi) poterla sfidare, e attraverso quella sfida lanciarne una alla New York delle Torri Gemelle in costruzione che non lasciava nemmeno le briciole al proprio quartiere, era un passaggio necessario e liberatorio. Nell'assalto dei writer ai treni personalmente vedo anche un aspetto provocatorio e distruttivo: portare al centro un po’ della rovina delle periferie.

Se da un lato i treni erano i luoghi predilietti di ogni writer, ovunque nei quartieri cominciarono ad apparire nomi scritti a colori sgargianti, disegni, figure, messaggi. A mio avviso sono spettacolari le immagini di quelle case occupate dove venivano svolti i primi concerti rap e feste hip hop, piene di graffiti e tag. I colori scelti dovevano imporsi, dovevano essere evidenti. Tutto in quei primi anni mi pare urlasse

Ehi, cazzo, sono io e sono qui!

Un affermazione di identità e personalità che passa anche attraverso i colori e la forma delle lettere. Il lettering, ovvero la forma che un writer da alle lettere del proprio graffito, danno forma al proprio stile, insieme ai colori determinano l’identità di un writer.

Un atto illegale, una ricerca di un’identità negata ma anche una forma di ribellione anche al proprio quotidiano. Un modo per colorare il proprio quartiere, una forma autogestita e inconscia di ristrutturazione. I graffiti erano un modo per poter avere altro oltre alle macchine abbandonate e i palazzi incendiati. Erano una forma di riqualificazione auto-organizzata, non concertata con il resto della cittadinanza, nemmeno per forza bella o artistica. Erano, e uso il termine in maniera leggermente ironica, un’avanguardia rivoluzionaria, nel senso che imposero a dei quartieri che venivano lasciati senza speranza, senza alternative, grigi e distrutti, un’ondata di colore e di immaginazione. Imposero la propria reazione anche a chi non la condivideva.

Secondo un documentario del 1976 l’età media dei writer era tra i 12 e i 16 anni. Anche la giovanissima età credo che sia importante, in questo ambito come negli altri dell’hip hop in quegli anni. Infatti se personalità del calibro di Phase 2, Cliff, Revs, Chill2 e altri hanno avuto una lunga carriera, molti, oserei dire la maggioranza e come lo stesso Taki183, una volta trovato un lavoro e messo su una famiglia smettevano di disegnare e scrivere il proprio nome ovunque.

Lo stile evolse in pochi anni e nel giro di poco tempo i graffiti cominciarono ad essere riconosciuti come una forma di arte urbana, piano piano normalizzandoli e attenuando la loro carica ribelle. Oggi il writing si può definire duale: da un lato assurge all'onore delle cronache come simbolo del degrado, dall'altro lato è stato più che accolto dalle gallerie d’arte, lo stesso Taki183 vende on line la propria tag a 650 dollari il pezzo. Oggi i graffiti e le tag sono parte del panorama quotidiano, hanno assunto varie forme e si sono evoluti. Non mi pare abbiano ancora quel carattere di ribellione che avevano nei primi anni ‘70.

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