Tutto il nostro tempo
Mi ha tenuto compagnia qualche tempo fa Le cose che non facciamo (SUR) di Andrés Neuman, un libricino zeppo di minutissimi racconti, alcuni dei quali mi risultano ancora molto vivi nella mente per l’originalità del punto di vista. In chiusura l’autore inserisce i “Dodecaloghi di uno scrittore di racconti” stilati durante la stesura del libro stesso — si impara strada facendo, no? Un punto mi ha colpito più di altri e recita così: anche se parlano al passato i racconti accadono sempre adesso.
Non ho potuto fare a meno di tenere stretta questa riflessione durante la lettura di Tutto il nostro sangue di Sara Taylor che a) non è un racconto, b) non è una raccolta di racconti, c) è un romanzo che sulla soglia della narrazione sfoggia un bell’alberone genealogico a due pagine e parecchi rami, che pare messo lì a segnalarti che Hey, stai per addentrarti nella storia di un’unica grande famiglia, ok? Guarda che si parla di generazioni, eh? Tempo che passa, nipoti, nonni, prozie, tutti legati tra loro, ramo frutti semi radici e foglie: conviene che tu mantenga il segno, perché dovrai tornare qui spesso, per raccapezzarti su nomi e parentele, sei avvisato, quindi d) che cosa c’entra la storia secolare delle famiglie Lumsden e Day raccontata da Sara Taylor, con l’idea (opinabile, ci mancherebbe) che i racconti succedano sempre nel presente?
Chi ha scritto in queste settimane di Tutto il nostro sangue si è interrogato su cosa stesse effettivamente leggendo. Di certo non una classica saga familiare: non seguiamo infatti le vicende dei suoi membri attraverso le generazioni, anzi, si potrebbe quasi dire il contrario. Leggiamo alcuni episodi, tra i tanti disponibili, della vita di alcuni membri della grande famiglia Lumsden-Day, in ordine assolutamente non cronologico e con un campo visivo volutamente parziale. Tante parentele rimangono ai margini, manciate di fratelli vengono soltanto nominati, il destino di molti rimane sconosciuto. I pezzi del puzzle sono lanciati alla rinfusa, e qualcuno manca.
Sembra allora legittimo farsi soccorrere dall’idea di racconto: i capitoli possono anche considerarsi tali, pur sullo sfondo di un atmosfera e di una geografia comune, con piccoli indizi che tengono unite le storie col susseguirsi delle generazioni. Ma indizi piccoli, mi raccomando: non lezioni di vita, ricordi indelebili, esempi morali da seguire: al massimo la disposizione delle stanze di una villetta che ti fa capire che quella villetta l’hai già incontrata una quarantina d’anni prima.
Ogni capitolo — e qui ho iniziato a pensare a Neuman e ai suoi racconti — succede esattamente in quel momento, davanti ai nostri occhi. Medora vive il suo presente del 1876 esattamente come Chloe vive il suo 1995 e Tamara il 2037 e, per noi che leggiamo, tutto accade nello stesso momento senza la profondità temporale che sembra essere la cifra più tradizionale della narrazione familiare.
I nipoti non imparano dai nonni — o almeno, non lo fanno nello spazio che Sara Taylor concede alle loro storie — e i figli non conoscono il passato dei loro genitori. Ognuno vive il suo presente fatto di episodi più o meno miliari, più o meno ricchi di conseguenze per la famiglia, ma con la sensibilità di chi quegli episodi li sta vivendo all’interno della propria limitata esperienza di vita, consapevole solo del presente. In questo senso ogni personaggio non è tale in quanto padre, figlio, nipote, cugino: il tempo si sovrappone in sottili strati soltanto ai nostri occhi di lettori, come la carta da parati si sovrappone alla carta da parati dei precedenti proprietari in una scena piuttosto emblematica del libro.
In fin dei conti Sara Taylor sceglie di raccontare il tempo di una famiglia accostando molti presenti, uno dopo l’altro, il che è certamente un approccio originale oltre che stranamente realistico. Ho pensato: mio nonno è stato mio nonno solo per una piccolissima porzione della sua vita. Sara Taylor probabilmente avrebbe scelto di raccontare, non di quando giocava insieme a me quando avevo 4 anni, ma di quando da giovane percorreva la distanza Napoli — Caserta in bicicletta. Un episodio di cui è più difficile — anche se non impossibile — capire le ripercussioni sulle sue figlie o sui suoi nipoti, ma sicuramente un episodio unico, che è appartenuto a lui come individuo e a nessun altro, nemmeno a noi che siamo venuti dopo.
Tutto il nostro sangue, di Sara Taylor (minimum fax 2016, 300 pagine, traduzione di Nicola Manuppelli)