Guardando il mondo con occhi nuovi
Sarà che mio figlio ormai mi ha fatto cantare tutte le canzoni dei Teletubbies tante di quelle volte che mi sono entrate nella memoria a lungo termine. Mi ricordo ancora la prima visita di controllo, quando il piccolino era praticamente un batuffolo di carne pulsante e i canti tribali riecheggiavano nella sala dei pediatri del San Raffaele. Da una parte c’era chi cantava in loop Il leone si è addormentato, con altri genitori in altre salette rispondevano in un medley con immortali capolavori delle canzoni per bambini.
I teletubbies iniziano sempre allo stesso modo:
Sulle alte colline
Non molto lontano
Giocano i Teletubbies
Tenendosi per mano
Ecco, immaginate il mio stupore quando finalmente mi sono ritrovato alla sede storica di Mirandola, vedendo comparire in mezzo agli alberi il pittogramma della azienda che in un anno è diventata un pezzo importante della mia quotidianità. L’avevo sempre vista in foto e in video, mai dal vivo. Non avevo accarezzato l’asinella, il cane Raya, respirato le idee che lì lievitano e prendono forma nel bellissimo tandem che sono riusciti a creare Mauro e Marisandra.
Sembrava davvero di essere a Teletubbylandia! Il fisico da Teletubbies che mi ritrovo aiuta nell’immedesimazione.
Un’impresa nel senso più bello del termine, quella di Mirandola che ha cambiato passo, riscrivendo la mission dopo le belle pagine che mi avevano spinto a mandare una mail a Marisandra, che non sentivo da anni.
Quanta vita in un anno appena! Quanti progetti, quanti piani per vecchie e nuovi amici che hanno scelto di affidarci la voce delle loro aziende.
Sono stato a scuola di linea con una persona unica e preziosa come Daniele, l’uomo dei numeri, un mix perfetto tra Albert Einstein e Frodo Baggins. Paragone a cui mi sento autorizzato visto la sua riconosciuta passione per “Il signore degli anelli”.
Proprio il link con il mondo tolkeniano mi spinge a mettere insieme parole per rendervi l’emozione di lavorare con un gruppo simile.
Un friulano che veniva da tutt’altro mondo, un giornalista genovese di stanza a Parma che raccontava storie con un taglio più da narratore che da cronista e vive(va) respirando libri, un economista che si è ritrovato a scaldare numeri e renderli notizia, una professionista di lifestyle e food a cui è impossibile non rispondere e infine un siciliano tondo tondo che è stato cronista, corrispondente dal Sud America, editor di narrativa, responsabile marketing.
Uno squadrone che ha messo in Mirandola il proprio bagaglio di vita e di esperienze, come dicevano i famosi cioccolatini: “arricchiamoci delle nostre reciproche differenze”.
Ma neanche noi siamo al riparo dal vento che sta attraversando il mondo del lavoro, ne parlavo qualche settimana fa con Pier Maria Minuzzo: lo scontro generazionale in atto è qualcosa di inedito.
La pandemia ha davvero rappresentato un prima e un dopo, una cesura potente tra la vita che era e la vita che potrebbe essere. Nel nostro lavoro di PR — ne converranno amici, conoscenti, colleghi — la parte più importante non è nella P, è nella R: Relazioni.
Abbiamo la fortuna più unica che rara di riprendere a respirare contatto umano dopo troppi anni di distanziamento sociale.
Però come uno che riprende a mangiare dopo un digiuno, forse è meglio fare qualche passaggio intermedio e non buttarsi su una grande abbuffata. Guardando i calendar scoppiano di call, pesante eredità degli anni che ci siamo lasciati alle spalle e si stanno riempendo di dozzine di eventi. Non è che prima di rimparare a camminare, abbiamo iniziato a correre senza il necessario riscaldamento?
Questo dubbio mi si insinua vedendo soprattutto i colleghi più giovani, e non solo, anche gli junior di altre realtà. Si trovano in un vortice a cui non erano abituati. Alcuni neanche l’hanno vissuta la vita di prima, quando trottolare in giro per Milano era la norma.
La norma dei tanti e la non norma di uno solo, scriveva Matheson nel suo capolavoro “L’ultimo uomo sulla terra”.
Ma alla fine di tutta questa corsa cosa resterà?
Qui noi 40enni possiamo fare solo una cosa, riscoprire il mondo con gli occhi della generazione Z, cercare di vedere cosa vedono loro, perché hanno eletto a loro mentore Frank Gramuglia che narra un mondo che loro, per mere ragioni anagrafiche non hanno neanche vissuto?
“I peggiori nemici dei trentenni che hanno urgenza di manifestare le proprie idee non sono i cinquantenni o i sessantenni che non lasciano loro il posto, ma gli altri trentenni che si lamentano, che passano da uno stage all’altro e che pensano di dover ancora aspettare prima di parlare. Che si lamentano, e che giudicano gli altri trentenni che costruiscono qualcosa. Ragazzi, non c’è più niente da aspettare. Siate imprecisi, siate approssimativi, ma parlate” scriveva così qualche anno fa la filosofa, scrittrice e divulgatrice Maura Gancitano.
Qualcosa i giovani hanno incominciato a fare, ma sembra che sia solo un moto di protesta che demolisce senza costruire, noi eravamo in una bolla mentre il secolo breve cedeva il passo al nuovo millennio. Noi millennial ci siamo trovati incastrati in una terra di mezzo, troppo vicini alla vecchia generazione, gettati sotto i fuochi di una crisi dopo l’altra: gli scontri a Genova, la crisi economica mondiale, i mutui sub-prime, il movimento No-Logo, avevamo come riferimenti culturali quello che ci propinava la tv quando non sapevamo manco che fosse il 4K. Un pendolo che oscillava tra Willy il principe di Bel-Air, i tormenti del non più giovane Dawson e le battute di Friends.
Ci sono sempre corsi e ricorsi, lo scriveva già Vittorini nell’immediato Dopoguerra:
«C’è oggi nel mondo, non solo in Italia, una disperazione di vivere che sembra togliere, proprio ai più giovani, ogni possibilità, anche semplicemente storica, di lottare. Durante il fascismo c’era almeno risentimento, negli scrittori che la mostravano. Oggi ci sono occhi che nemmeno guardano, tanto li offusca stanchezza o pianto. Ma sono occhi, sono uomini. Sono una realtà con la quale dobbiamo pur fare i conti.» (Elio Vittorini — Il Politecnico, n. 29 — maggio 1946)
Risposte? Citerò un altro dei nostri referenti culturali, l’Omero di Pavia, Max Pezzali:
Di risposte non ne ho
Mai avute mai ne avrò
Di domande ne ho quante ne vuoi