“Mi sveglio alle 2 del mattino ma sono felice”

Marisandra Lizzi
Spazio delle Relazioni Umane
23 min readFeb 6, 2024

Questa non è una citazione, ma è quello che ci risuona dopo aver parlato con Nicola Ghittoni, Caposervizio a Sky TG24, responsabile della rassegna stampa del mattino.

Intervista a cura di Raffaele Castagno e delle persone che insegnano o studiano in Mirandola Formazione

a cura di Marisandra Lizzi e Carlotta Minuzzo

Ogni mattina mi sveglio alle 6, porto fuori Raya (non la passeggiata lunga, quella è tra le 7 e le 9), sveglio Riccardo e Mauro e poi insieme facciamo colazione con Nicola Ghittoni. Nicola non lo sa, ma ormai è proprio diventato un nostro appuntamento quotidiano, accendiamo SKY TG24 e non sono tanto le all news che ci attraggono, ma proprio la rassegna stampa con le selezioni di Nicola Ghittoni, il nostro Raffaele Castagno in Sky. Le sue selezioni mi aiutano a scegliere quali giornali comprare alla mattina e ormai è diventato una piacevole abitudine, proprio come il caffè e la camminata del mattino.

Il 30 novembre gli ho scritto su LinkedIN dove in passato mi ero limitata solo a fargli qualche complimento e a presentargli i nostri Binario 9 ¾:

“La tua battuta che la notizia sui bambini farfalla doveva aprire i quotidiani mi è piaciuta tantissimo. Mi piacerebbe intervistarti in call un’oretta nel nostro corso di Relazioni Umane. https://www.mirandola.net/formazione/. Conosci Cinzia Pilo?”

Mi è venuto proprio dal cuore porgli queste due domande ed eccoci quindi ad averlo collegato davanti a noi il 13 gennaio in un’oretta di intervista coordinata dal “nostro Nicola Ghittoni”, Raffaele Castagno. Insieme a lui lo hanno intervistato Francesco Sicchiero, Carlotta Minuzzo (che mi ha aiutata a scrivere questo post), Camilla Obbi, Chiara Camporese e Francesco Gamberini. Ecco uno stralcio di alcune sue risposte che abbiamo trascritto con l’aiuto di Transcribe e poi rielaborato e pulito, riascoltando parola per parola, grazie all’abilissima penna di Carlotta Minuzzo che ringrazio infinitamente perché certe parole bisogna centellinarle. E per farlo un testo aiuta più di un audio o di un video.

Marisandra Lizzi
Con il caffè ci sei tu. La mattina sei diventato per me un vero e proprio rito quotidiano, tanto da farmene sentire la mancanza durante le vacanze di Natale! Amo il giornalismo, ricerco la qualità nelle notizie che leggo e mi piace farmi condurre da chi sa analizzare gli eventi con profondità. Proprio per questo motivo, ho introdotto nella nostra agenzia, Mirandola Comunicazione, un lettore professionista, Raffaele Castagno. Oggi Raffaele ci ha svelato i suoi segreti per leggere in maniera efficace ed efficiente. Ma prima di condividerli anche con te, ti chiediamo quali sono le tue di strategie. Scoprire i tool utilizzati dai docenti è infatti la cifra stilistica di questo nostro corso di Relazioni Umane. Insomma, diamo il via a uno scambio di sogni e passioni.

Raffaele Castagno: Buongiorno Nicola! La prima curiosità che ho riguarda il backstage di ciò che vediamo tutti i giorni sui nostri schermi: cosa ti guida nella selezione delle notizie, spesso di nicchia? Qual è il messaggio che vuoi trasmettere ai tuoi ascoltatori?

Nicola Ghittoni
Sky TG24 fa da sempre rassegne stampa. Agli inizi accoglievamo in studio giornalisti che, per la durata di una settimana, conducevano rassegne classiche, con un giornale cartaceo sul tavolo e un cameraman alle spalle. Siamo stati i primi, nel 2008, ad utilizzare il tavolo touch screen, diventato negli anni un’abitudine per molte redazioni. Con l’occasione, l’allora direttore Carelli aveva proposto a cinque giornalisti del desk (coloro che non risultano in video, ma che si occupano di impaginare le scalette), tra cui il sottoscritto, di iniziare a condurre la rassegna stampa “da casa”, senza il gettonista esterno. Dopo una decina d’anni di altre mansioni, un anno e mezzo fa, l’attuale direttore De Bellis mi ha invitato a tornare a condurre la rassegna stampa, con l’idea di rinnovarne l’impostazione. Nel frattempo lo sviluppo dei podcast e il successo di Morning, la rassegna mattutina condotta da Francesco Costa per Il Post, avevano trasformato gli scenari, alzando l’asticella.

La consegna del Direttore era quella di creare una rassegna esportabile anche in podcast. Per farlo, occorreva però modificarne l’impostazione. Prima di allora, il nostro impianto era abbastanza rigido, con un ordine di esposizione dettato principalmente dall’importanza delle notizie e dalle tirature dei giornali: Corriere della Sera, Repubblica, Stampa, Sole 24 Ore e giù a scalare. A me è stata data finalmente la possibilità di spaziare maggiormente, sempre nel pieno rispetto di tutte le opinioni e dando comunque voce a tutte le posizioni politiche, ma con la libertà di puntare su qualche notizia meno mainstream e di dare conto anche dei siti.

Un’altra indicazione fornitami era di tenere a mente che, essendo SkyTg24 un canale All News nonché un sito di informazione costantemente aggiornato, il nostro pubblico avrebbe comunque ricevuto le notizie più importanti e i nostri approfondimenti: compito della nuova rassegna stampa sarebbe stato di integrare l’offerta già presente con qualche storia particolare, la ricerca di qualche taglio inconsueto.

Raffaele Castagno
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un ritorno in auge delle rassegne stampa, elementi di per sé “vecchi”. Una ragione potrebbe essere legata alla frammentazione odierna delle notizie. I lettori necessitano di una bussola, di una selezione meno affidata agli algoritmi dei social. Pensi sia un fattore rilevante? Se sì, come come vedi questo aspetto?

Nicola Ghittoni
Oggi, molto spesso, il palinsesto di notizie ci viene fornito da una serie di stimoli provenienti dai social. Abitualmente, se durante il nostro scrollare quotidiano qualche titolo cattura la nostra attenzione, approfondiamo. Cliccando sulla notizia, veniamo dirottati in un punto che non fa parte della normale impaginazione di un sito.

Il sito di Sky TG24 ha avuto grandi sviluppi negli ultimi anni. Tuttavia, la maggior parte del nostro traffico non è diretta ma proviene da click su altre fonti, come i motori di ricerca o i post sui nostri canali social. Per certi versi, quindi, una rassegna stampa fa qualcosa di simile. Ci ho riflettuto proprio quando ci siamo scambiati alcune mail per preparare questo incontro, non era una cosa alla quale avessi mai pensato prima. Io mi prendo il mio compito di leggere quindici quotidiani per conto dello spettatore e segnalargli i fatti più interessanti: di fatto, una sorta di “notifica push” umana. Insomma, per quei diciotto minuti che ho a disposizione, procedo con questa logica. Esplicito un fatto che mi ha incuriosito e che magari potrebbe non essere facile da trovare per chi non ha tempo di leggere tutti i quotidiani ogni mattina. Con lo spirito di chi alza per primo la serranda e ogni giorno vuole darti un buon motivo per alzarti, uscire di casa e andare in edicola a prendere quel giornale.

Francesco Sicchiero
Piacere di conoscerti, Nicola. Innanzitutto volevo chiederti se per te ha ancora senso la classica priorità delle notizie. Solitamente, troviamo le news più importanti in prima pagina e, in base al rilievo, si scala fino all’ultima. Al giorno d’oggi, ha ancora senso mantenere questo ordine?

Nicola Ghittoni
L’impaginazione dei quotidiani riflette le nostre abitudini. In quanto oggetto non interattivo, il giornale dà una sicurezza orientativa. Mi spiego, se voglio conoscere l’autore di un articolo, cerco la firma in fondo al paragrafo. Se mi interessano le pagelle calcistiche, sfoglio fino all’ultima pagina. L’economia, invece, la troverò sempre a metà. Ormai nessuno compra il giornale richiamato dal titolo di apertura. Chi si dirige in edicola, lo fa per cultura o tradizione, rimanendo fedele alla testata, indipendentemente da quello che trova scritto. Non vedo una limitazione nell’assecondare una comodità. Trovo invece infondato dedicare le prime dieci pagine alla politica interna, dando visibilità a dibattiti spesso non accattivanti per la nostra audience.

La carta stampata, in molti casi, serve anche a portare avanti gli interessi degli editori e ad assicurarsi un presidio di informazione anche in quell’ambito. Ormai spesso la cronaca politica serve più agli attori citati che agli utenti, e questo spiega l’ipertrofia delle pagine politiche, ma forse anche un poco la disaffezione crescente dei lettori.

Francesco Sicchiero
Tu sei, vista la tua esperienza, un termometro del giornalismo. Leggendo tanto, hai sicuramente avuto modo di capire se la professione sta perdendo di qualità. Cosa ne pensi?

Nicola Ghittoni
A noi giornalisti piace molto autodenigrarci (salvo poi essere permalosissimi di fronte alle critiche) ma posso dirti che, leggendo ogni mattina tanti quotidiani, anche con occhio critico, trovo sempre tanti contenuti di qualità, e in tutte le testate, anche in quelle più schierate politicamente, che tendiamo a identificare con le campagne più martellanti. Ma nelle pieghe di ogni giornale, spesso oscurate dalle pagine firmate dai colleghi “in missione”, si trovano ottimi articoli di ottimi professionisti. Capita quindi che, a seconda della tua posizione politica, eviti ciò che non condividi ideologicamente. In ogni caso, i grandi quotidiani continuano ad avere la forza, anche economica, di inviare i reporter lì dove accadono le notizie. Oggi si dà tanto spazio a Corriere, Repubblica e Stampa non tanto per questioni di affinità, ma perché vi lavorano giornalisti esperti che raccontano gli eventi dal luogo originale. Ecco, questo è un valore aggiunto che li rende meritevoli, a parer mio.

(Aggiunta di Marisandra dalla rassegna del 24 gennaio. “Questa mattina, ad esempio, sulla notizia dell’approvazione in Senato dell’autonomia differenziata, Nicola ha dato una lettura dei giornali a favore e di quelli contro, suggerendo al lettore una lettura incrociata. Se pensi che questa decisione politica sia giusta, conviene leggere i giornali che ne danno una lettura critica, viceversa se pensi il contrario. Interessante questa modalità che ci aiuta a formare un pensiero critico.)

Raffaele Castagno
Visto che abbiamo anche un’aspirante giornalista qui tra noi, ti poniamo alcune domande sul futuro del giornalismo.

Carlotta Minuzzo
Buongiorno. Mi incuriosisce sapere come vede la professione del giornalista tra 30 anni.

Nicola Ghittoni
Quando mi vengono chiesti consigli a titolo personale, suggerisco di leggere tanto e di tutto. Ma non solo. Se si ha una passione, di darsi l’obiettivo di diventare dei massimi conoscitori di un argomento, essere particolarmente informati su un determinato campo fino a diventare un punto di riferimento credibile. E allora tutti i ricercatori universitari possono fare i giornalisti? No. Alle conoscenze occorre unire la capacità di esposizione. Questo si collega anche alla seconda parte della domanda di Francesco: molti giornalisti o commentatori di qualità sono riusciti a farsi spazio fuori dall’ecosistema tradizionale, imparando a sfruttare l’audience che danno i social.

In un mestiere dove diventa sempre più difficile fare la classica gavetta e dove l’ingresso ufficiale alla professione arriva in buona parte dalle scuole di giornalismo (che comunque consiglio, essendomi formato in una di queste, a Perugia), farsi cooptare in virtù di una credibilità costruita postando sui social o aprendo un blog può essere una chiave per aggirare un percorso tradizionale. In particolare, i giovani possono trattare temi su cui giornalisti più navigati non hanno polso e sensibilità. Mi rendo conto che la mia risposta si focalizza sul futuro della singola persona, più che sull’intera categoria. Era tuttavia necessaria la premessa per comprendere come il giornalismo riuscirà, da qui a trent’anni, a confezionare questi contributi. Io sono molto fiducioso nelle capacità di chi vuole raccontare, sa informarsi ed è curioso, ma una questione mi preoccupa. Chi avrà l’autorevolezza di dire al lettore che questo è giusto e credibile e questo no? Non sempre i grandi numeri sono la garanzia della qualità, ma alle volte sono la garanzia dell’abilità a far passare un messaggio. Le grandi testate sono comunque un cappello che valida quello che si fa. Io mi sento appoggiato dalla forza del marchio che ho dietro. So che, se la mia rassegna stampa, esattamente com’è ora, fosse pubblicata da un brand meno forte, non avrebbe diffusione. In quel caso, ci si chiederebbe quali sono le mie fonti, dove voglio arrivare, che messaggi voglio veicolare. Invece, si accende la tv, si ascolta quel che dico e ci si fida; il tutto grazie alla credibilità che ha conquistato la testata che rappresento.

Ecco, nel futuro, non so se i grandi network sapranno mantenere questa capacità. Di certo il singolo dovrà sapere bene gli argomenti cruciali, quali ambiente e tecnologia, mentre le redazioni dovranno essere più varie per genere e per nazionalità. Se si iniziasse già ora a essere multicolore e multiforma, si saprebbe rendere meglio quel che il pubblico ricerca.

Raffaele Castagno
Mi riaggancio alla risposta, in quanto accennavi a questi nuovi media. Joshua Benton, il fondatore del Nieman Journalism Lab della Harvard University, sostiene che il successo delle newsletter dipenda in gran parte dal fatto che offrono agli iscritti qualcosa che vale la pena di essere letto. Assistiamo al ritorno di un potere della curatela, che con l’onda dei social si era smarrito. Ora ti chiedo: questi fenomeni, podcast e newsletter, come li vedi? Si tratta a tuo avviso di qualcosa che è destinato ad avere un successo economico? E per quanto concerne l’idea del giornalista indipendente, editore, cosa ne pensi?

Nicola Ghittoni
Sul successo di questi strumenti non c’è dubbio: ci sono e saranno sempre persone che hanno voglia, bisogno e motivazione di leggere contenuti di qualità. Il rischio però è che si tratte di tante nicchie. Tu hai giustamente aggiunto la parola “economico”. Nel campo si trovano lavori molto ben fatti, che purtroppo non riescono ancora a sopravvivere. Non so darti una risposta precisa, perché io ho personalmente la fortuna di avere una “cuccia” che mi protegge. Ti faccio un esempio: prima di tornare alla rassegna stampa ho realizzato, per mia iniziativa personale, il primo podcast della storia di Sky TG24. Un giorno, nel 2019, mi presentai da De Bellis e gli proposi: “Quest’anno sono i trent’anni della caduta del muro di Berlino. Vogliamo tentare di pubblicare un podcast su Sky TG24. Me ne occupo interamente io e vediamo come va”. Partì il progetto con la collaborazione del Sole 24 Ore. Onestamente, mi divertiva molto! Era un racconto che univa due mie passioni: la storia e la musica: ripercorrevo la storia del Muro di Berlino attraverso gli artisti, le canzoni e i concerti che avevano accompagnato la sua epopea e che avevano dato un contributo concreto alla sua caduta. Dopo il primo lavoro ci ho preso gusto, e sempre con lo stesso schema — i grandi eventi storico/politici raccontati attraverso le canzoni simbolo — ho realizzato “Ghit Parade”, una serie di otto podcast con argomenti che spaziavano dal Black Lives Matter al G8 di Genova, dal golpe militare in Argentina all’assedio di Sarajevo. Io ne ero e ne sono tutt’ora molto soddisfatto, ma diffusione, ascolti e riscontri sono stati miseri (in buona parte era dovuto a un problema di diritti delle canzoni che arricchivano le puntate: non era possibile caricarle sulle piattaforme dei podcast né consentirne il download, di potevano ascoltarle solo in streaming sul sito di SkyTg24). Perché ti dico questo? Perché alla fine si è trattato di un vanity project, un’intenzione che mi appassionava e che è stata possibile solo perché la realizzavo fuori dall’orario di lavoro, senza alcun aggravio sui turni del Tg. Se però il podcast avesse dovuto camminare sulle sue gambe, non sarebbe stato economicamente in piedi.

Tanti sono i piani che senza editore non spiccano il volo. Io sono un consumatore compulsivo di podcast, ma non so se quelli come me bastano per tenerli in vita. Ai giornali piace scrivere a riguardo, abbiamo questo vizio un po’ superficiale di definire tutto “una tendenza” o “una moda” (forse per giustificare il fatto che gli abbiamo dedicato una pagina). Al momento, però, non mi risulta che sia particolarmente redditizio. E sinceramente non so quale sia la formula per farlo diventare tale. È per questo che consiglio ai ragazzi di diventare molto forti su qualcosa. Qualcuno li nota e li coinvolge, un editore con le spalle larghe magari: questo avrà piacere di aggiungere alla propria offerta un contenuto di qualità, e l’autore avrà la speranza di campare facendo ciò che gli piace.

Chiara Camporese
Mi piacerebbe avere delle sue riflessioni riguardo l’equidistanza. In che modo essa è considerata un’opinione? Perché prendere una posizione equidistante può influenzare chi legge?

Nicola Ghittoni
L’equidistanza. Sarei tentato di dirti che è impossibile averla in natura. Tutti i giorni ho il dovere di cercare di essere corretto e rispettoso dei punti di vista altrui. C’è tuttavia un fattore da considerare: il tempo. Occorre fare delle scelte, decidere cosa tenere e cosa escludere. Un altro fattore inestirpabile è la nostra testa: il modo in cui scegliamo e presentiamo le notizie è frutto delle nostre esperienze e sensibilità personali. Da questo punto di vista, negli ultimi mesi chi come me si occupa di rassegne stampa sta facendo grande fatica. Il tema del Medio Oriente è difficilissimo da affrontare tenendo insieme le sensibilità. Come rendere una narrazione simile con equidistanza? D’altronde, se non fosse la tematica più complessa del nostro tempo, non ci troveremmo in questa situazione. Personalmente, tendo a cavarmela ingrandendo lo zoom per raccontare storie umane, testimonianze della gente che dai due fronti sta vivendo il disastro in prima persona.

La seconda parte della tua domanda riguarda il rischio di influenzare il lettore. C’è di buono che non sono direttamente io a influenzare le persone: leggo articoli scritti da altri. Ma non mi nascondo dietro il paravento delle firme altrui: so bene che dalla mia posizione sono in grado di premere il grilletto della rabbia o della reazione indignata, scegliendo determinati toni o generi di notizia. Questa è un’attitudine che cerco di evitare assolutamente.

È facile generare attenzione su di sé dando un’opinione tranchant o buttando lì una frase che solleverà un vespaio. È il meccanismo su cui prosperano i social, quello dell’engagement. È comunque molto tossico, per chi fa il nostro mestiere, seguire questa strada. Visto che la selezione degli articoli dipende da una questione di sensibilità personale, quel che ti posso dire è che esiste, più che l’equidistanza, la correttezza. Banalmente, l’autodichiarare anche eventuali coinvolgimenti rientra in questa. Anche per questo cerco di leggere più notizie che editoriali.

Raffaele Castagno
Marisandra segnalava i bambini farfalla, argomento che ti ha condotto da noi.

Nicola Ghittoni
Ci sono temi che dovrebbero essere patrimonio di tutti: il diritto alle cure, ad esempio. La storia dei bambini farfalla, che soffrono di una malattia rara, è così interessante da aver bisogno di un megafono dell’informazione. Questi pazienti necessitano di cure molto costose, che però servono a pochissime persone. Comprensibile, dunque, che le case farmaceutiche tendano a non investire in prodotti dal commercio così ristretto. C’è bisogno allora di sponsor, donatori e sensibilizzatori. Trasmettere queste realtà è un modo di fare la mia parte, affrontando un tema non divisivo e che rientra nel mio impegno di trattare il più possibile situazioni quotidiane.

Raffaele Castagno
Ben venga così. Ti pongo una domanda che hanno fatto anche a me stamattina. Per me non è stato facile rispondere, ma sono interessato a sapere il tuo punto di vista. Come ti informi? Quali sono gli strumenti che usi? Quanto del tuo tempo anche personale dedichi alla lettura?

Nicola Ghittoni
La giornata è drammatica da quando faccio questa rassegna stampa. Trattandosi di una rubrica che nasce per la carta stampata, io mi informo nel modo più tradizionale e meno innovativo possibile. La sveglia suona alle due. Faccio colazione e nel mentre leggo giornali. Alle 4 prendo un autobus notturno e, se non ho incidenti di percorso, per le 4:30 sono agli studi Sky. Qui, segnalo ai grafici le pagine che ho selezionato e mi faccio truccare: per fortuna non è un compito impegnativo, mi devono solo scurire fronte e zigomi, a coprire il resto ci pensano barba e occhiali. Tento di farmi un nodo decente alla cravatta, un microfono e si va in onda.

Quanto alle storie pescate sul web, mi ritaglio un’oretta la sera prima, tra le 19 e le 20, per fare una carrellata dei siti che consulto più spesso e appuntarmi i link degli articoli più interessanti. Dopo le 20, per come sono fatte le redazioni web, difficilmente ci sono aggiornamenti. L’unico lusso che mi concedo sono i lunghi tragitti a piedi per tornare a casa quando stacco dal lavoro: in quelle camminate ascolto tendenzialmente Morning per capire se ho trascurato qualche storia interessante e poi stacco la spina.

Nel tempo che mi rimane, mangio, recupero un po’ di sonno e leggo qualcosa per piacere personale. Le newsletter mi piacciono, ad esempio, ma mentirei se ti dicessi che riesco a seguirle.

Dal lunedì al venerdì sto a Milano per lavoro, ma la mia famiglia è a Roma. Il venerdì stacco alle 10. Alle 10:30 sono sul treno e a pranzo arrivo a casa. Per 48 ore non ci sono per nessuno. Leggere longform mi piacerebbe da morire, ma raramente ci riesco. Il risultato sono decine di newsletter e che si accumulano nella posta. Ogni volta mi dico: le leggo domani.

Raffaele Castagno
Torniamo un attimo sulla rassegna. Camilla aveva una curiosità alla quale sono stato sottoposto anche io.

Camilla Obbi
La mia curiosità nasce da una riflessione che ho fatto osservando la newsletter di Raffaele e la tua rassegna stampa. Si tratta di lavori elaborati in contesti differenti e con obiettivi diversi. La domanda però è la stessa. Quanta percentuale di Nicola c’è dentro la tua rassegna stampa, in termini di selezione delle informazioni da presentare al pubblico?

Nicola Ghittoni
Tanto. Da una parte è fisiologico, proprio perché scelgo io. Devo dire, come premessa, che ho la fortuna di godere di grande libertà. Sono stato selezionato per un motivo e vado avanti nello stesso modo. I miei responsabili erano consapevoli di stare mettendo un oggetto delicato in mano a una persona tendenzialmente equilibrata. Io ho un’assenza quasi totale dai social. Non ho uno storico per cui mi si può rinfacciare un’invettiva, un predicozzo, l’adesione a una crociata. Avevo, insomma, una fedina pulita. Devi pensare che la rassegna stampa per un direttore di tg è una rogna. Quando gli altri direttori hanno rimostranze, vogliono sapere il motivo della loro eventuale assenza o del poco spazio ricavato durante la messa in onda, alzano il telefono e non chiamano me, ma il loro pari grado. Al momento non sono ancora arrivate lamentele da parte di quotidiani, quindi devo dedurre che la stima che sento nei miei confronti sia ben riposta. Come dicevo, ho la fortuna di avere un editore che mi lascia agire come ritengo opportuno, ma non dimentico che Sky TG24 è all’interno di un pacchetto di una pay TV. Il tg è parte importante della nostra offerta, ma non è mai stato la ragione per cui qualcuno si fosse abbonato a Sky: c’è chi lo ha fatto per i film e chi per il calcio, gli appassionati di Mastechef o di motori, i fan di X Factor o quelli di Gomorra. Insomma, i nostri abbonati sono persone di ogni tipo e il nostro compito è quello di offrire menu per tutti i palati, a maggior ragione da quando il tg è trasmesso anche in chiaro sul digitale terreste, intercettando così un’audience ancora più variegata e potenzialmente illimitata. Quindi ho ben chiaro che nessuno mi ascolta per chi sono o per le mie idee, ma per la credibilità che il canale si è costruito nel tempo. In me spero che il pubblico trovi un alleato, senza pregiudizi. Quanto alle storie che racconto, se mai mi venisse il dubbio su quali scegliere, non è mai un cattivo parametro buttarmi su quelle che mi hanno acceso di più l’interesse. Quando esco dalla rassegna trovo in redazione una caporedattrice che mi chiede regolarmente: “Cosa devo leggermi, stamattina?”. Io le rispondo istintivamente con gli articoli che mi hanno incuriosito di più. E se mi accorgo che non corrispondono a quelli che ho presentato in rassegna, capisco che ho sbagliato qualcosa e corro ai ripari, citandoli nel corso del resto della mattinata, nella trasmissione “Buongiorno” condotta da Tonia Cartolano.

Devo ammettere che la chiacchiera politica mi incuriosisce meno e la lascio tendenzialmente fuori. In particolare tendo a concentrarmi sugli atti politici, quelli che hanno effetti concreti sulle nostre vite, più che sulle sparate di un ministro che pure magari stanno suscitando clamore sulla stampa e sui social; bado più ai decreti che alle dichiarazioni.

Al contrario, e proprio per questo, mi piace molto la cronaca bianca: tra i miei pallini c’è tutto ciò che riguarda sanità, scuola, trasporti. Se qualche volta cedo alla tentazione di lanciare un messaggio, lo faccio cercando di rivendicare un approccio garantista rispetto alle questioni giudiziarie: mi sembra una questione di civiltà. Mi interessa raccontare cosa succede nelle carceri. Se trovo notizie sull’Iran le metto sempre in risalto, perché non smette mai di commuovermi il coraggio di donne e uomini che lottano per la loro libertà anche a costo della vita. Polemiche italiane per le quali la gente si sente eroica solo per aver messo un cuoricino o aver ri-postato un contenuto, mi colpiscono meno.

Riassumendo, c’è molto del mio gusto, ma cerco sempre e comunque di essere corretto e di tenere a mente che non è il mio personale show, ma una rassegna il più possibile oggettiva. Quando trovo una notizia in un luogo nascosto, mi fa piacere tirarla fuori, mi sento utile.

Francesco Gamberini
Nicola, io ti volevo chiedere: nel tuo lavoro, cosa ti dà più gioia e cosa ti irrita di più?

Nicola Ghittoni
A me ha sempre dato gioia la vita di redazione. I luoghi di lavoro sono spesso anche fonte di molte frustrazioni, ma per me sono importantissimi. Mi è sempre piaciuto far parte della macchina del telegiornale. Noi siamo sempre in diretta, tutto il giorno in onda. Questo meccanismo assomiglia molto al lavoro che si fa in barca: ognuno ha un compito e deve portarlo avanti, o la nave affonda. Anche il lavoro di rassegna stampa, che al momento della preparazione e della messa in onda è un lavoro da solista, in realtà in tutte le fasi intermedie e lontane dai riflettori è un’opera collettiva: lo spunto del collega, la tempestività del grafico, l’abilità del montatore. Al netto di tutti i mugugni, la redazione continua a essere un ecosistema piacevole. Gli stagisti trovano in noi un’atmosfera collaborativa.

Mi irrita invece la tendenza sempre più marcata al personal branding nei giornalisti. Sempre più spesso i quotidiani mi danno l’impressione di non essere un’opera collettiva, ma la somma di tante individualità ognuna impegnata nella propria ricerca di visibilità, nella speranza di diventare un marchio, conquistare un’ospitata fissa in un talk tv, promuovere la propria firma in vista del libro di imminente pubblicazione.

Mi è sempre piaciuta l’idea che il prodotto giornalistico fosse un lavoro di insieme. E, se vogliamo, è il segreto del Post. è un modello di giornalismo che funziona perché comunica l’idea di un luogo di lavoro che riflette su quello che fa e dialoga con il lettore; si prende anche il tempo per spiegarsi e nel farlo crea un senso di comunità; dà l’idea di un contesto in cui i colleghi interagiscono tra loro per creare proposte e scambiarsi pareri. Non so se è un modello replicabile in redazioni molto più numerose, e sarebbe forse ingenuo immaginare che un transatlantico come il Corriere della Sera si possa governare con le stesse modalità di una nave pirata come il Post. Ma mi piace credere che sia quella la direzione da perseguire per conquistare di nuovo i lettori, o conquistarne di nuovi. All’interno di questo modello, ci sta ed è importante che i singoli talenti spicchino. In fondo, ho appena consigliato a chi si appresta alla professione di diventare un’autorità in un campo o su un tema, che sembrerebbe il massimo del personal branding. Ma è il senso di un indirizzo comune a dare forza al progetto.

Raffaele Castagno
Che poi, è l’approccio di Francesco Costa praticamente, considerato che ha trasformato una passione in un lavoro.

Nicola Ghittoni
Esatto. Secondo me è il filo che unisce tutti i discorsi fatti finora, compresa la sostenibilità economica. Mi auguro che il futuro, da qui a trent’anni, trovi una sintesi in questo concetto. Spero in tante case, tante redazioni, tanti editori che mettono insieme il meglio delle qualità che il singolo sa dare, all’interno di una visione comune, perché è questo che all’ascoltatore dà garanzia. Alcune delle nostre case sono invece ancora confusionarie: ognuno cura il proprio orticello, cerca di avere la propria fetta di visibilità, andando in ordine sparso e preoccupandosi esclusivamente degli interessi degli editori.

Raffaele Castagno
Sì, devo dire che, alle volte, abbiamo percepito anche noi questo caos all’interno di stesse testate. Si tratta di una confusione che crea incidenti diplomatici, a causa, magari, di conflitti tra pagine o rubriche.

Ringraziandoti per la disponibilità, a maggior ragione visto che il sabato per te è giustamente sacro, ti poniamo un’ultima domanda. Ci consigli un libro, una newsletter, un podcast, un quotidiano o un magazine anche internazionale?

Nicola Ghittoni
Io sono sia per i podcast sia per i libri. Sono abbastanza attratto dalle persone fissate, dai pazzi e dai “completisti”, persone che afferrano un tema e lo sviscerano. in tutte le sfaccettature possibili. In questo senso sono esemplari le serie a puntate di Leonardo Tondelli , che aveva iniziato a scrivere sul Post un catalogo di recensioni di tutti gli album di Bob Dylan. Si è poi imbarcato in un’impresa ancora più bella e folle: raccontare e recensire ogni singola canzone dei Beatles. Il tutto è poi evoluto in un libro.

Piero Trillini è un altro giornalista che ammiro. Dopo aver letto il suo primo libro, che tra l’altro per Sky è diventato anche un documentario, sono rimasto affascinato. Si intitola La partita ed è la storia di Italia-Brasile, il celebre 3–2 dei mondiali dell’82.

È un volume di 600 pagine, in cui i 90 minuti di quella partita epica esplodono in un caleidoscopio di racconti che abbracciano un secolo di storia. C’è l’Italia della P2 e il Brasile della dittatura militare, l’epopea delle sponsorizzazioni sportive e l’evoluzione del calcio in tv, la storia del pallone e la lotta fratricida tra Adidas e Puma, i tormenti dell’arbitro israeliano che dirige la gara mentre il figlio combatte sul fronte Libanese e le vicende di calciatori pazzi, donnaioli o filosofi e rivoluzionari. Insomma, lo scrittore prende questo microcosmo e lo espande all’infinito. Ecco, mi sono appena fatto regalare il suo secondo romanzo, R4, che con lo stesso metodo racconta la storia della macchina Renault 4 dai pionieri dell’auto al ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, dalla nascita della fabbrica a Boulogne-Billancourt al fatale appuntamento con la morte in via Cateani a Roma.

Ecco, questo è il tipo di impresa che mi piace.

Un podcast da cui sono abbastanza dipendente, per esempio, si chiama Hit Parade, curato da un critico musicale, Chris Molanphy. Il programma mensile racconta storie di musica, basandosi sugli andamenti delle classifiche Billboard. L’ho conosciuto grazie a una puntata dedicata agli artisti che non sono mai arrivati al primo posto, ma che si sono sempre fermati al secondo gradino del podio.

Un altro podcast che mi ha tenuto incollato è Wind of Change. La voce di Patrick Radden, giornalista americano, narra storie d’inchiesta. In particolare, spiega di come l’iconica canzone degli Scorpions possa essere stata commissionata, e in parte scritta, dalla CIA, nell’ambito di una strategia volta alla caduta del muro di Berlino. Dal suo ultimo libro — “L’impero del dolore”- tra l’altro, è tratta la serie Netflix Painkillers.

Un terzo podcast che consiglio è The Witch Trials of J.K. Rowling, sullo scontro tra buona parte della comunità LGBTQ+ e l’autrice di Harry Potter. A renderlo ancor più interessante è la storia della giornalista che lo ha realizzato, una ragazza cresciuta in una famiglia cattolica ultra-tradizionalista, che sin da piccola la trascinava a cortei anti abortisti e che le ha fatto vivere in prima persona i meccanismi dell’intolleranza dall’altra parte della barricata, quella dei carnefici. Durante gli episodi dà conto di un dibattito sulla transfobia con punti di vista forti, citando la battaglia feroce e aggressiva che viene condotta sui social ogni giorno.

Marisandra Lizzi
La parola chiave è Ossessione. Ne parliamo da ieri anche qui al master. Ci insegni che bisogna seguire le nostre passioni e condividerle. Io sono felicissima di averti avuto con noi oggi. Una mattina ero un po’ distratta mentre bevo il caffè e ho sentito la citazione di Valigia Blu. Non ho riavvolto perché ancora non ho capito come si fa, ma ho aspettato il secondo round. Anch’io, come te, sono appassionata di Arianna Ciccone e della sua missione di creare un giornalismo approfondito e diverso. Vederla citata in televisione mi ha emozionato. M’immagino la sveglia alle 2 di notte. Bisogna essere un po’ ossessionati dal proprio lavoro e anche farlo con gioia, perché altrimenti potrebbe pesare sul benessere psicofisico. So che hai anche dei bambini, quindi gestire questa quotidianità anomala sarà complesso.

Nicola Ghittoni
Se la sveglia alle 2 fosse qui a Roma, dove vive la mia famiglia, sarebbe peggio. Diciamo che è brutto stare lontano dai miei figli, ma, ne parlavo ieri con mia moglie, almeno a Milano i miei ritmi non intaccano il benessere di nessuno.

Marisandra Lizzi
Siamo ora consapevoli dell’enorme regalo che ci hai fatto: rubare un’ora per noi alla tua disconnessione digitale. Noi siamo felicissimi e ti ringraziamo tutti. È stato bello conoscerti. A me in realtà sembrava di conoscerti già, considerato che ti vedo in video tutte le mattine. Un po’ come quando riconosci una firma, ti ci affezioni!

Nicola Ghittoni
Io ringrazio voi perché mi avete costretto a riflettere su quello che faccio, cosa che altrimenti non capiterebbe.

Marisandra Lizzi
Effettivamente, il corso di Relazioni Umane l’ho organizzato secondo questa logica: fermarmi a riflettere sulle tappe che stavamo incontrando. Quando Francesco Sicchiero me l’ha proposto, dapprima ero un po’ scettica. Ho capito invece che ci avrebbe dato la possibilità di riflettere, rallentare la routine quotidiana per chiederci: perché facciamo questa scelta?

Questi under 30 che frequentano le lezioni ci permettono di vedere il mondo da altri punti di vista. Il nostro mestiere è quello di comunicatori, con un focus particolare sulle relazioni con i giornalisti. Il tutto parte da un amore profondo per il giornalismo di qualità.

Noi oggi ti abbiamo definito “il giornalista gentile”. Non so se questo aggettivo ti piace, ma è veramente quello che noi abbiamo sentito in questo scambio, quindi grazie ancora.

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Marisandra Lizzi
Spazio delle Relazioni Umane

Scrivere per migliorare il mondo, partendo dal mio e poi allargando il raggio parola dopo parola