Canto I del panzerotto (o del cibo pugliese)

Luca Magrone
Iride Magazine
Published in
4 min readJun 28, 2016

Nel mezzo del cammin di mia vita
mi ritrovai verso una Milano oscura,
ché la via del panzerotto era smarrita.

Ahi quanto a dir che si mangiava è cosa dura
in esta strada per Milan selvaggia e trafficata e forte
che nel pensier rinova la paura!

Tant’ è amara che poco più è la ricotta forte;
così per la Puglia mia io voler mi voltai,
e or dirò de l’altre cose che li milanesi mai ebbero scorte.

Io non so ben dir da che statal per Milan m’infilai,
ma tant’ero senz’una frisella a quel punto
che la pugliese via io bramai.

Quando poi fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava esta tangenzialle
che m’avea di fame il cor compunto,

vidi nell’autogrill ormai alle mie spalle
una focaccia di Bari non di altro pianeta
al cui richiamo accorron genti da ogne calle.

Affatto non fu la fame un poco queta,
poiché nel ricordo del cor v’era quella burrata
che non dava spazio al pensier della dieta.

E come quella gente che con lena affannata,
mangiava all’Expo e si diceva giuliva,
senza saper cos’è la giuncata,

così l’animo mio lesto da essi fuggiva
sine voltarsi retro a rimirar dell’Expo il passo
che non lasciò già mai persona viva.

Poi, ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per l’autostrata diserta
sentendomi come l’ polpo arricciato sul masso.

E quando per girar allo svincolo stavo allerta,
un odor di brasciola s’appresta al volto,
che di sugo macolato era coverta;

e non è che si partia dinanzi al volto,
anzi impediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui di ritornar pensai molto.

Assai ne passò dal principio del mattino,
fino a che ‘l sol montava ‘n sù con quelle stelle
ch’eran con me quando l’amor pe’l Primitivo vino

moveva nel mio capo tante cose belle;
sìcché a bene sperar aveo ragione
che la di mia pugliese pelle

arrivasse a Milano in altra stagione;
e per paura di non trovar le scarcelle
alla mia vista un vigile parve un leone.

Questi parea che contra me venisse
con la paletta alta e con rabbiosa fame,
parea che l’ mio viaggio maledisse.

Di fianco a el una lupa, che di tutte brame
le servia contro la magrezza,
una domenica colla parmigiana di melanzane

questa mi porse cotanta tristezza
ch’ebbi paura e per una svista,
mi persi lo svincolo alla di Milano altezza.

Quand’ecco vidi costui nel gran diserto,
«Mannaggia a me», gridai a lui,
«ma tu non sei ombra, ma omo certo!».

Rispuosemi: «Non ombra, omo fui,
e li parenti miei furon lombardi,
ma pugliesi per patrïa ambedui.

Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol di Puglia che beve nero di Troia,
prima che l’ulivo pe’l gasdotto fu combusto.

Ma tu perché guidi verso tanta noia?
perché non scendi il tortuoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?

Torna indietro al tuo cibo e alla fonte
o il mangiar dell’Expo ti farà da boia».
Così l’imago di Lino Banfi disse a me di fronte

non potei proprio far l’ ruffiano
con un gir di volante mi allontanai da Milano
della città Expo rifiutai le nozze,

preferendo una tiella di riso, patate e cozze.

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