Chiuse le case, “questa stanza non ha più pareti”

Eugenio Damasio
Iride Magazine
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4 min readMay 16, 2016
Qui aveva soltanto vent’anni

Una delle più belle canzoni della musica italiana è nata dentro a una casa chiusa. Una casa dalla tappezzeria viola subito dietro a Porta Soprana, ai limiti della Città vecchia di Genova; una canzone che sapeva di rivoluzione anticipata. La scrisse un ventiseienne e venne interpretata per la prima volta da una ragazza che di anni ne aveva soltanto venti.

Era il 1960: “Il cielo in una stanza” vendette due milioni di copie in tutto il mondo, rese Mina e Gino Paoli i più celebri cantanti della loro generazione e rivoluzionò la percezione che tutti gli italiani avevano avuto sino a quel momento riguardo alla questione sessuale. E non che non si parlasse di sesso in quegli anni, anzi. Nessuno, però, nella cultura popolare lo aveva fatto in maniera tanto aperta, nessuno si era mai permesso di esaltare non solo l’atto in sé ma, soprattutto, la dignità della compagna con cui quell’atto si era appena consumato.

Il nostro Paese, infatti, sino a pochi anni prima aveva trattato l’argomento delle case chiuse partendo sempre dal punto di vista dei suoi clienti, senza interrogarsi mai davvero sulle situazioni di sfruttamento delle donne che lì venivano impiegate: una condizione di sudditanza divenuta tradizione. Se da una parte i giovani venivano “iniziati” nei bordelli ma nessuno lo avrebbe mai potuto dichiarare apertamente (a parte Montanelli, però lui era anche Montanelli), dall’altra, le donne rischiavano un fermo di polizia se trovate a passeggiare sole per strada la sera: le più indecenti, addirittura, fumavano una sigaretta.

Prendetevi mezz’ora per capire un po’ meglio come era il nostro paese in quel decennio

È in questo contesto che Lina Merlin promulgò la legge che, ancora oggi, tutti citano quando si parla di regolamentazione della prostituzione.

Lina Merlin e le “Lettere dalle Case, 1955”

Nata nel 1887, la senatrice socialista fu una delle sole cinque donne presenti all’interno della “Commissione dei 75”, quella in cui si scrisse la nostra Costituzione. Laica, partigiana e profondamente femminista Merlin rappresentò la voce di migliaia di donne che, per la prima volta, iniziavano un lungo processo di alienazione dalle logiche patriarcali tipiche della tradizione del nostro Paese. È grazie a un suo intervento in Aula che l’articolo 3 della Carta, il più bello ed universale, si conclude con le parole: “senza distinzione di sesso”. Fu la prima donna in assoluto a prendere la parola a Montecitorio, quella che a 64 anni corse nel suo Polesine per prestare aiuto a tutti gli alluvionati (ma proprio a tutti, date un occhio a che diceva di lei Andreotti) e, tra le altre cose, anche quella che portò avanti con più forza un disegno di legge che abolisse le case chiuse, unica senatrice donna della legislatura 1953–1958.

Un provvedimento che, da lì in avanti, la marchiò legandola indissolubilmente all’argomento. Venne accusata di ogni cosa, insultata, sbeffeggiata (e sempre da uomini) ma non fece mai un passo indietro. Sapeva che quello che aveva fatto, in quel periodo storico, era il primo tassello per una necessaria rivoluzione della percezione della figura femminile.

Oriana Fallaci la intervistò nel 1963 e, con la schiettezza che la contraddistingueva, la incalzò con l’argomento che ancora oggi viene utilizzato contro quella legge: chiudendo i bordelli non si è di certo abolita la prostituzione che, anzi, continua come prima “ nella stessa brutale umiliazione morale, nello stesso sfruttamento, nella stessa desolazione”.

Lina Merlin rispose così:

Ma è matta lei! Ma davvero non capisce nulla! E chi pretendeva di abolire la prostituzione? Io?!? La mia legge mirava solo a impedire la complicità dello Stato. Rilegga il titolo: «Abo­lizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui». Stop. Io avevo anche aggiunto «… e contro il pericolo delle malattie veneree», ma me l’han tolto perché c’era già una legge. Davvero mi meraviglio che dica simili bestialità. La prostituzione non è mica un crimine, è un malcostume. E ammettiamo che per taluni sia un crimine: la differenza tra le clandestine e le regolamentate è la stessa che pas­serebbe tra i ladri autorizzati a rubare e i ladri che come in tutto il mondo rubano di nascosto. Scusi, conosce un Paese in tutto il globo terrestre, uno solo, dove non esista la prostituzione?

Due anni dopo la legge Merlin, e forse proprio grazie a quella, in cima alle classifiche si celebrava l’orgasmo e soprattutto la donna, non la prostituta, con cui si era raggiunto.

Eugenio Damasio

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