Dentro i campi profughi di Salonicco: tra polvere e vita che grida

L’emergenza migranti è stato uno dei temi più dibattuti nel 2016. Secondo le stime del Ministero greco, il numero di rifugiati presenti in Grecia è di circa 58.000: una piccola parte nelle isole, il resto sulla terraferma, soprattutto tra Atene e Salonicco.

Simone Cartini
Iride Magazine
5 min readDec 22, 2016

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credits: Chiara Mercurio _ Facebook

Dopo lo smantellamento di Idomeni a maggio, i profughi che stavano tentando il passaggio in Macedonia sono stati sistemati in campi governativi istituiti e coordinati dal Ministero Greco, dal Commissariato ONU per i rifugiati e da alcune ONG. Per far funzionare tutto l’apparato di questi centri di accoglienza servono persone, tante: volontari che ogni giorno si spendano verso gli altri, supereroi tra sofferenza e polvere. Chiara Mercurio è stata una di loro.

Ventitré anni, nata a Prato e da poco laureata in Cooperazione Internazionale, Chiara ha deciso di donare un pezzo della propria estate nell’aiuto del prossimo. Ha trascorso due settimane con una ONLUS nei campi profughi di Salonicco.

  1. Per iniziare, perché hai scelto di fare un’esperienza di volontariato? A chi ti sei dovuta rivolgere per partire?
    Sono sempre stata interessata alla questione dei migranti, prima ancora che il fenomeno si ingigantisse. Era da qualche anno che provavo a contattare associazioni per andare a fare volontariato in Sicilia, ma tutte quelle trovate richiedevano dei grossi contributi per partire. Poi, alcuni mesi fa mi sono iscritta a una pagina Facebook che cercava volontari per Idomeni, prima che chiudesse. Su quella pagina venivano pubblicati costantemente annunci da parte di associazioni. Così ho scoperto Mam Beyond Borders: un’associazione parmense che lavora nei campi intorno a Salonicco. Non chiedevano competenze specifiche o determinate figure professionali (di norma si parla di ostetriche o infermiere). Avrei dovuto pagarmi vitto e alloggio da sola ma senza somme di partecipazione. Certo, sarei stata intenzionata a partire anche da sola, come volontaria indipendente, ma in questi nuovi campi governativi devi avere un’autorizzazione per entrare.
  2. Dove operavi e quali mansioni svolgevi?
    A Salonicco ci sono diversi campi, intorno alla città e nella provincia. Mam Beyond Borders interviene nei campi di Vasilika e Kalochori. L’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) distribuisce il cibo, fornisce tende e coperte, ma i bisogni a livello più piccolo vengono forniti dalle associazioni.
    Kalochori è un campo piccolo: circa 200 persone di cui la metà sono bambini. Lì organizzavamo attività ricreative ed educative per i più piccoli. Inoltre, quando sono arrivata stavano iniziando lezioni di inglese e arabo. Nel campo di Vasilika, invece, sono accolte quasi 2.000 persone. Il nostro compito era di fare un censimento, tenda per tenda. Bisognava capire da quanti membri erano composte le famiglie, la loro provenienza, dove volevano andare e dare delle cure se necessario. Ascoltavamo le loro esigenze ma più che altro si provava a dare un sostegno morale.
  3. Qual è la provenienza dei migranti che hai conosciuto nei campi? Che tipo di viaggio hanno dovuto compiere per raggiungere l’Europa?
    La maggior parte erano siriani. con qualche iracheno. Alcune minoranze, le prime a essere perseguitate dall’ISIS, sono partite addirittura 2–3 anni fa. Altre sono in viaggio da alcuni mesi.
    Genti diverse ma sempre passate per vie “illegali”, dalla Turchia. Molti mi hanno anche raccontato di essere stati derubati durante il tragitto. L’esodo si conclude sulla costa turca dove prendono poi delle imbarcazioni, i “gommoni”, sperando di raggiungere le isole greche del Sud, le più vicine alla Turchia. Se arrivano, dopo vengono smistati.
    Le persone che ho conosciuto erano le prime a essere rimaste bloccate sul confine macedone quando le frontiere sono state chiuse. Sono poi stati portati nei campi governativi di Salonicco. Alcuni sono stati portati nei dintorni di Atene dove l’UNHCR li intervista e li mette in attesa per la richiesta d’asilo.
  4. Come è vista la “sosta obbligata” nel campo?
    Ho avuto l’impressione che nessuno di loro si aspettasse di rimanere bloccato in Grecia. Dove lavoravo, erano per la maggior parte persone in attesa di ricongiungimento familiare, quindi con parenti in Europa (in primis Germania e paesi del Nord) o ricollocamento secondo i nuovi accordi UE. Poi c’erano tanti ragazzi di 20–23 anni, partiti da soli perché la famiglia è rimasta in Siria o non c’è più. Loro rimarranno in Grecia perché la priorità a chi si deve ricongiungere.
    La burocrazia è complessa e alcuni vivono la situazione del campo come una prigionia. Li uccide l’incertezza, l’attesa; nessuno sa dir loro quando andranno via.
  5. Hai un momento particolare che ti è rimasto impresso nella mente?La storia di Jalil, un uomo di 70 anni, siriano yazidi. La sua è una delle minoranze etniche tra le prime perseguitate dall’ISIS. È scappato dalla Siria con la figlia, diciottenne, e un figlio poco più piccolo che soffre di problemi neurologici e continue crisi epilettiche. Mentre era in Turchia, Jalil ha avuto un ictus che l’ha costretto sulla sedia a rotelle. Non sono riuscita a capire come, ma sono arrivati al mare, poi a Idomeni e infine spostati nel campo di Salonicco. Quando io passavo a trovarli, mi capitava spesso di trovare il figlio riverso in terra in preda alle crisi e lui affianco, in carrozzina, impossibilitato ad aiutarlo. Era straziante. Ora, mi hanno detto che sono ad Atene, in attesa di intervista per il ricollocamento.
  6. Quanto è importante, soprattutto per un giovane, fare un’esperienza di volontariato come questa?
    Penso che tutto ciò sia un’emergenza umanitaria ingente e mai abbastanza considerata. Deve essere una prerogativa, Nei campi ci sono persone che gridano e qui nessuno le sente.
    Il poter parlare con le persone, vedere i loro occhi mentre ascolti le storie che ti raccontano, è un qualcosa che ti entra dentro. E non ti lascia di più. Quando torni vedi tutto diversamente; ti senti molto più fortunato di quanto hai mai pensato di essere. Allo stesso tempo ti nasce una sorta di intolleranza verso il mondo che ti circonda; vorresti fare qualcosa ma non basta mai quello che fai.
  7. Un’ultima cosa. Pensi, in futuro, di aiutare ancora in dei campi profughi?
    Assolutamente. Spero di ritornare presto a Salonicco. C’è ancora molto da fare.
credits: Chiara Mercurio _ Facebook

Simone Cartini

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