I tre volti delle Olimpiadi

Grandi vittorie, cocenti sconfitte e miserabili frodi. I Giochi sono anche questo.

Remo Gilli
Iride Magazine
6 min readJun 15, 2016

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Paolo Viberti, noto cantastorie dello sport italiano ed esperto conoscitore delle olimpiadi, ha raccontato al Salone del Libro di come, guardando e partecipando alle olimpiadi, queste suscitino negli spettatori emozioni forti, che spaziano dalla gioia al dispiacere, dall’orgoglio all’amarezza.

«Durante le olimpiadi è più bello essere italiani, sentirsi parte di qualcosa di più grande. È una forma di patriottismo sana, diversa da altre che siamo soliti vedere o sentire.»

Viberti nella sua narrazione parte da un caso epico, nel vero senso della parola perché, dice, ricorda molto le gesta di certi eroi omerici, ovvero quello di Eugenio Monti. Monti è nato nel 1928 a Dobbiaco, nei pressi di Cortina d’Ampezzo. Sciatore provetto, all’età di vent’anni si rompe i legamenti di entrambe le ginocchia.

Carriera finita.

Ma Monti non si abbatte: a Cortina c’è l’unica pista italiana di bob dell’epoca, decide così di iniziare ad allenarsi in questa disciplina. Vincerà, negli anni successivi, ben 12 medaglie d’oro ai campionati mondiali di bob, demolendo ogni record di vittorie precedente.

Eugenio, però, ha un sogno, un obiettivo: vincere la medaglia d’oro ai giochi olimpici. L’occasione si presenta proprio a Cortina: nel ’56 gareggia per l’Italia, vincendo due medaglie d’argento, nel doppio e nel quadruplo. Monti non si abbatte, aspetta per altri quattro anni ma, nel ’60 alle Olimpiadi di Squaw Valley per motivi economici non viene montata la pista da bob.

Ancora quattro lunghi anni e ci siamo: Innsbruck ’64, Monti è il favorito nel bob oltre ad essere stato il portabandiera dell’Italia alla cerimonia di apertura. Dopo la prima manche (di due) Monti è primo. Dietro di lui c’è il britannico Tony Nash, bobbista di caratura mondiale. Al termine della sua prova, però, Nash perde un bullone del proprio mezzo. Le regole del CIO (il Comitato Olimpico Internazionale) sono chiare: o si trova un bullone nel luogo in cui si disputa la gara, oppure Nash è squalificato. Monti è già medaglia d’oro, al punto da non essere costretto nemmeno a fare la seconda manche.

Enrico Monti e Tony Nash

Ma è qui che succede l’imprevedibile: qualcuno bussa alla porta di Nash. È Monti, e in mano ha un bullone prelevato dal suo bob. Glielo porge, offrendo così a Nash la possibilità di gareggiare. In quella gara, Nash fa il record della pista: Monti è secondo, ma primo per fair-play vincendo così per la prima volta il premio Pierre de Cubertin proprio per il gioco pulito. A seguito di questo episodio, nell’enciclopedia britannica è stata istituita la voce “Eugenio Monti” come esempio di sportività assoluta.

Ma favola di Monti non finisce qui.

Altri quattro anni, siamo alle Olimpiadi di Grenoble ’68. Monti ha 40 anni, quella è la sua ultima olimpiade. Prima di scendere per la sua ultima manche nel doppio, Monti guarda il suo frenatore Luciano de Paolis e gli dice: «Se freni prima dell’arrivo ti ammazzo». De Paolis si dimentica di frenare, al termine della gara il bob dei due si schianta contro il cumulo di neve posto alla fine della pista. È oro, che verrà doppiato poco dopo anche nel bob a quattro. Un successo che vale tanto, a fronte della tenacia e del gesto di quattro anni prima. Un oro che rimarrà nella testa (e nel cuore) di tutti coloro che amano lo sport.

Perché è questo lo sport di cui la gente ha bisogno.

Dopo la bella storia di Eugenio Monti, Viberti cambia registro. Lo sport non è sempre questione di grandi vittorie e grandi eroi, ma anche di cocenti sconfitte e uomini in carne e ossa, vittime della paura e dell’insicurezza esattamente come tutti gli altri. Correva l’anno 2006, Torino ospitava le XX Olimpiadi Invernali cambiando faccia, da città industriale a meta turistica nel giro di pochi mesi. Siamo i favoriti in molte discipline, dallo slittino (col quale abbiamo vinto il primo oro con Armin Zöggeler) al fondo (con cui abbiamo vinto l’ultimo oro, grazie a Giorgio Di Centa).

Giorgio Rocca dopo la caduta

Su tutti, c’è grande attesa per la punta di diamante della compagine italiana: Giorgio Rocca, eroe dello Slalom Speciale e detentore di svariati record su pista. La prova si tiene a Sestriere, la città è gremita di italiani giunti ad assistere a quella che dovrebbe essere una festa per lo sport nostrano. Della batteria italiana, composta da quattro sciatori, Rocca è il primo a scendere.

Poco oltre la metà della prima manche, però, succede qualcosa. I cronisti, gli assistenti e i tifosi al fondo pista vengono gelati da una semplice parola, detta in inglese: «Out». Rocca è fuori, caduto dopo aver sbagliato una traiettoria. Il panico si diffonde silenziosamente tra le file italiane. Il secondo sciatore cade dopo 11’’, il terzo ancora prima. Solo il quarto, il giovane Schmid, arriva a traguardo, ma con più di 25’’ di ritardo rispetto al primo classificato.

È una Caporetto, nessuno si sarebbe mai aspettato una sconfitta simile. Questa è una storia di paura, di speranze infrante e di sogni spazzati via. Tutto il team credeva in Giorgio e, dopo la sua caduta, nessuno è riuscito a rialzare la testa. Una storia amara ma che ha lasciato il segno, tant’è che da allora esiste un team di psicologi specializzato a seguire la squadra olimpica italiana nella preparazione delle prove.

Viberti dice:

«Le Olimpiadi lasciano il segno sempre, nel bene e nel male. Ogni tanto, per alcuni, sono anche l’occasione del riscatto e, a volte, di redenzione»

Questo è il caso di Alex Schwazer, il nostro marciatore di punta, colui che vinse ai giochi olimpici di Pechino 2008 l’oro nella marcia 50 km, per poi essere escluso dalle olimpiadi di Londra nel 2012, a seguito dell’esito positivo al controllo antidoping.

Alex Schwazer all’arrivo dopo la prova di marcia a Pechino

Schwazer è sempre stato una grande promessa della marcia italiana. Ha stabilito il primato italiano nella categoria, detenuto prima di lui da Damilano e stabilito a La Coruna nel ’92, ha vinto un titolo europeo e ha conseguito due bronzi ai campionati mondiali, oltre all’oro ottenuto ai Giochi di Pechino.

Una storia fatta di luci e di ombre, dovute innanzitutto alla sua provenienza (è altoatesino) e al suo attaccamento all’Italia. Un fatto, questo, che gli è costato le critiche da parte della comunità altoatesina perché considerato “troppo italiano” nei suoi modi di fare.

È stato il volto immagine della Kinder fino allo scanalo del 2012, per poi essere criticato sotto tutti i punti di vista a seguito delle sue dichiarazioni di scuse, ritenute “finte e tardive”, ed essere scaricato da tutti i suoi sponsor.

Come dice Viberti, però, c’è sempre l’occasione per redimersi: alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, Schwazer sarà di nuovo membro della compagine italiana alla ricerca innanzitutto del riscatto personale, oltreché della gloria olimpica.

Queste sono le tre facce delle Olimpiadi: la bellezza della vittoria, lo sgomento per la sconfitta e la voglia di riscatto dopo aver perso la faccia e la dignità di sportivo.

Non ci resta che aspettare il 5 agosto per vedere chi ci darà la gioia delle medaglie, chi tradirà le attese e se, dopo 4 anni di squalifica, Schwazer riuscirà a ritrovare la fiducia degli amanti dello sport e il sostegno dei tifosi italiani.

Come diceva lo slogan di Torino 2006, “Passion lives here”. La passione vive qui, nel cuore di ognuno di noi, e si riaccende più forte che mai ogni 4 anni, in occasione delle Olimpiadi.

Per questo motivo non possiamo proprio farne a meno.

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