Il Cerchio degli Uomini: lavorare sulle emozioni per prevenire la violenza

Marta Perroni
Iride Magazine
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5 min readJan 2, 2017
Ulay/Abramovic, Rest Energy, National Gallery of Art, Dublino, 1980

Diciassette anni fa, un gruppo di Torinesi, accomunati dalla necessità di interrogarsi sull’essere uomini e sulla natura delle proprie relazioni si riunisce per condividere e discuterne. Ecco che nel 1999, a Torino, nasce l’associazione “Il Cerchio degli Uomini.

Il 9 novembre scorso, alla “casa di quartiere, bagni municipali di San Salvario” ho avuto la possibilità di intervistare Domenico Matarozzo, counselor dell’associazione.

«Tutto è nato perché avevamo cominciato a ragionare sulle nostre relazioni, sulle nostre pratiche, su come stavamo, sul nostro livello di felicità e così via. Per fare questo utilizzavamo la condivisione» mi spiega. Il simbolo del cerchio è quindi venuto spontaneo. Un cerchio fisico, quando i partecipanti si riuniscono durante le riunioni, e simbolico, una forma che rende tutti uguali e fa in modo di «parlare rispettandosi e ascoltandosi, senza giudicare ma mettendo a disposizione ognuno i propri vissuti e le proprie esperienze». Così, man mano, si sono resi conto di quanto la condivisone fosse un modello che gli uomini hanno frequentato pochissimo.

Ancorato e bloccato in una cultura androcentrica, l’uomo è stato incoraggiato a esserne il capo ed è stato spinto a diventare un individuo che combatte per il proprio territorio e compete a ogni costo, imponendosi di non esprimere le proprie emozioni.

Ecco il modello culturale che si contrappone a quello femminile votato, invece, al prendersi cura dell’altro, all’ascolto e all’empatia. «Se ai bambini maschi si regala una pistola, un fucile, un videogame di guerra, e quindi lo si abitua culturalmente ad annientare il problema» mi dice Domenico, «domani quel problema potrebbe essere la compagna o la moglie dalla quale, quei bambini diventati adulti, sono messi in discussione e, così, vengono educati a eliminarlo: c’è un problema, sparo, anniento». È questo il nodo culturale ed educativo che il Cerchio degli Uomini da quasi vent’anni si impegna a sciogliere, tentando di sgretolare quel modello, androcentrico, gerarchico, patriarcale, presente nella nostra cultura, in cui l’uomo si trova al centro con il potere, ma da cui però viene, più o meno consapevolmente, logorato nella sua interiorità.

Henn Kim Illustration©

«Alle bambine invece, generalmente, danno altri tipi di regali» continua Domenico Matarozzo, «e quando regaliamo o la bambola o il peluche, questi sono simboli o di presa in cura di qualche cosa, o di relazione e di accoglienza, e, in questo modo, vengono praticate le emozioni. Base di un’educazione che porterà poi a stare in contatto con quel livello emotivo che sempre di più è importante che venga stimolato e sviluppato».

A questo proposito, l’Italia è rimasto insieme a Polonia e Bulgaria, l’unico Paese dell’Unione Europea a non prevedere l’educazione sessuale o “all’affettività” nei curricula scolastici. Necessità frenata dal fatto che questo scatena ancora discussioni e assurde paure, da parte dei genitori, di un indottrinamento con teorie innaturali che sconvolgerebbero la crescita dei bambini. E questo nonostante il progetto del ministero venga dall’idea che “oggi le modalità di relazione sono improntate su un livello di apparenza e superficialità, che impediscono una conoscenza reale dell’altro” e sia quindi volto a “promuovere l’uguaglianza di genere, la non discriminazione e la cittadinanza democratica al fine di prevenire e contrastare i discorsi di odio e i fenomeni di violenza”.
Ecco che, quindi, al Cerchio degli Uomini, l’espressione delle proprie emozioni e la capacità di gestirle diventa prioritario:

se non si viene educati a questo, fin da piccoli, il modello comportamentale che pone l’uomo al centro può fomentare e giustificare anche atti di violenza.

«Se sono abituato alla competizione e mi capita di scontrarmi con il genere femminile che mi mette in discussione, possono succedere due cose, o accolgo la differenza e la valorizzo e insieme vediamo come uscirne, oppure elimino quel problema che mina la mia posizione», mi spiega Domenico, «noi diciamo sempre che bisogna accogliere le differenze come una ricchezza che fa stare meglio, che fa crescere. Se una donna mette in discussione una meccanicità di comportamento maschile, si può annientare lei che pone il problema, o accogliere lo stimolo e allargare la propria visione, facendo in modo che diventi un’opportunità di crescita e cambiamento».

Henn Kim Illustration©

Nell’aprile 2009 viene quindi inaugurato anche lo sportello per il disagio maschile, promosso dalla provincia di Torino. E quello del Cerchio degli Uomini lavora non solo sui casi di emergenza con gli uomini maltrattanti ma anche con tutto il substrato culturale e ciò che ne deriva, in un’ottica, quindi, di prevenzione. Si legge sul sito cerchiodegliuomini.org: “il 95% delle violenze domestiche non viene denunciato, ma dimora nel silenzio, se ne conosce ancora abbastanza poco e gli uomini molto spesso non riconoscono la violenza e difficilmente se ne assumono la responsabilità, minimizzando o dando la responsabilità a fattori esterni.” Lo sportello di ascolto nasce proprio con l’obiettivo capire “attraverso quali percorsi e in quali situazioni il disagio si trasformi in violenza e se e come dietro la violenza vi sia sempre un disagio, spesso negato e rimosso grazie alla complicità della cultura e della collusione sociale” si legge sempre sul sito. Torna quindi il problema culturale,

«l’uomo, spesso, non si accorge di commettere violenza proprio perché giustificato o protetto dall’ambiente e dalle abitudini comportamentali che lo circondano»

e, continua Domenico Matarozzo, «molto spesso le donne che subiscono violenza come primo ostacolo hanno i propri famigliari da quali si sentono dire “va bè è tuo marito, è il padre dei tuoi figli”, come se essere il padre lo legittimasse a usare violenza. La classica frase pronunciata è “va bè ma è solo una sberla mica l’ho ammazzato come ha fatto l’altro”. Dire “come ha fatto l’altro” equivale a dire che l’altro è un femminicida, io sono solo uno che ha alzato una mano».

Lo sportello dell’associazione ha quindi registrato, nei primi tre anni, circa 1200 interventi complessivi tra chiamate telefoniche, colloqui individuali e gruppo disagi relazionali. Ed è stato calcolato che per il 50–60% degli utenti sembra emergere un’incapacità-difficoltà a esprimere sentimenti e stati emotivi e un 20–30% dichiara di non sentirsi amato-stimato; ulteriore prova che le emozioni devono essere centrali in un percorso di aiuto o prevenzione.

Henn Kim Illustration©

Il programma del Cerchio degli Uomini verte quindi su una decina di temi, tra i quali: come funziona la violenza e quali sono i suoi cicli, la gestione dei conflitti, qual è il danno che si arreca con un comportamento violento, quale svantaggi, a livello relazionale, sociale, con i figli, ne ricavi l’uomo stesso e, infine, conclude Domenico, come si sta in contatto con le emozioni, che per me è centrale, anzi da oggi in poi, nel giorno dell’elezione di Trump a presidente, sarà ancora più centrale perché questo è un esempio chiaro di come le emozioni non le conosciamo e l’incapacità di gestirle ci faccia essere facili prede di quelli che possono essere definiti tranelli banali.

Marta Perroni

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