Il mio difficile rapporto coi peperoni

Una storia d’amore travagliata, ma a lieto fine

Remo Gilli
Iride Magazine
5 min readJun 22, 2016

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Da bambino, diversamente da adesso, ero parecchio schizzinoso riguardo al cibo. Non mangiavo verdure fatta eccezione per i pomodori, le carote e, se me la sentivo, le zucchine tagliate fini fini nella pasta al sugo.

Mai avuto problemi con la frutta.

La frutta l’ho sempre mangiata in tutti i modi: cruda, cotta, a pezzi, frullata, tritata, con o senza guscio, a testa in giù, con una mano legata dietro la schiena… Ecco, con la frutta ho sempre avuto un bel rapporto. Al limite tra l’amicizia e l’amore.

Invece con la verdura ammetto di non avere mai avuto troppo a che fare. Sì, qualche uscita coi pomodori (mai da soli, mi sono sempre portato due mozzarelle con me), sono caduto nella trappola del sedano (che sa presentarsi bene vestito di Philadelphia ma che quando si spoglia lascia sempre un po’ di amaro in bocca) e ogni tanto mi hanno fatto passare una parmigiana di melanzane per qualcosa che non era, per farmela mangiare.

Se devo scegliere un ortaggio che ha sempre suscitato in me il ribrezzo, però, questo è il peperone.

Rosso, giallo, verde. Poco importa: non siamo mai andati d’accordo. Penso di essere rimasto shockato da piccolo, quando mio padre mi ha portato alla Sagra del Peperone di Carmagnola, vicino a Torino, per poter ammirare tutte le varietà dei peperoni di questo mondo e dell’altro.

La prima cosa che mi ha colpito negativamente di queste bestie da orto erano i colori. Il rosso troppo rosso, il giallo troppo giallo. Il verde… Il verde?!? Ma non si era detto che quando un ortaggio è verde significa che ancora non è maturo? Bleah! A quella sagra demoniaca c’erano persino dei peperoni viola, non scherzo, accompagnati da tanti piccoli peperoncini di ogni forma e colore che manco a Soverato, in Calabria.

Ricordo una degustazione in cui i peperoni venivano mangiati crudi e intinti nell’olio, in pieno stile piemontese (avete presente il detto “Dui puvrun bagna’ ‘nt l’oli”, impronunciabile nel nostro dialetto?) per il piacere del palato e dello stomaco degli avventori. Ricordo l’odore forte dei peperoni e quel senso di schifo che ho provato nell’assaggiarne uno.

“Esagerato!” starete pensando.

E invece no. Mi facevano proprio schifo, li trovavo amari e stranamente croccanti. Io me li immaginavo morbidi, pieni di polpa, e invece mi sono trovato davanti dei palloncini vuoti, con solo semi al loro interno e quella parte bianca che mammamiacheschifostammilontano.

Quella non è stata l’unica volta in cui mi sono trovato di fronte a questi mostri venendo sconfitto. Avevo 14 anni quando sono andato a cena per la prima volta dalla mia fidanzatina di allora. Ovviamente, alla domanda “Mangi qualsiasi cosa?” risposi di sì: sarebbe stato davvero poco carino fare gli schizzinosi alla prima occasione davanti ai suoi genitori.

Il menù, quella sera, era composto dall’antipasto fino al contorno da peperoni. PEPERONI. A fatica mangiai il primo. Al secondo vacillai e quando mi sono trovato davanti all’insalata di peperoni ho “mollato”: ho finto di stare male pur di non mangiare una forchettata di quella roba in più.

Solo il dolce non conteneva peperoni, ma avendo finto di stare male non ho potuto provare per verificare, mannaggia.

Dopo questi episodi, ho portato avanti per anni la teoria che i peperoni fossero amari. Sì, proprio così, amari e schifosi, oltreché antipatici e cattivi. Brutte persone, insomma. Questa mia presa di posizione non si può dire che sia stata facile da tenere, i difensori del peperone sono più di quanti pensiate e, forse, ce ne sono anche tra di voi lettori di IrideMagazine.

Due anni fa, o forse meno, lavoravo in hotel in alta montagna. Lo chef dell’albergo era un bastardo di prima categoria, ma ammetto che sapesse quel che faceva ai fornelli. Era successo che avessero sbagliato un ordine, ed erano arrivati chili di peperoni non richiesti. Ovviamente, vennero utilizzati per il cibo dei dipendenti, così ci trovammo a mangiare peperoni per due settimane buone.

Il primo giorno, visto quell’ammasso di colori nella pentola, mi sono rifiutato di mangiare e sono andato a comprarmi un panino al bar del paese. Lo stesso ho fatto per la durata della prima settimana. Dopo una settimana di panini a 7€ l’uno, però, non ne potevo più né a livello gastrico né a livello economico.

Mi sono arreso.

Sono arrivato al tavolo, mogio mogio, e mi sono seduto aspettando che arrivasse il veleno. Dopo essermi servito con quattro pezzi di peperoni conditi e cucinati, ho fissato il piatto per qualche minuto sperando fosse un incubo. Non lo era, così ho preso la forchetta e ho addentato, dopo anni di astensione, un peperone giallo.

Dolce.

Dolce?!?

Ero basito. Quei peperoni erano dolci! Lo feci notare ai miei colleghi che, per tutta risposta, risero.

“A vent’anni ti accorgi che i peperoni sono dolci? Ma dove vivi?”

Ne mangiai tre piatti a pranzo e tre piatti a cena.

Da allora sono un amante di questi palloncini colorati e profumati. Li mangio più volentieri di qualsiasi altra verdura e, se fosse per me, li inserirei in ogni menù, tanto sono buoni.

Penso che il problema, prima, fosse legato al mio essere prevenuto nei confronti di tutto ciò che non avessi provato prima, non solo dei peperoni. Ho cambiato abitudini alimentari e il modo di guardare il cibo, senza pregiudizi e senza essere schizzinoso: assaggio tutto (anche le rane e le lumache) e mangio quasi tutto, basta che non siano cetrioli (i cetrioli mi faranno sempre schifo, gli ho dato più di una possibilità per redimersi senza risultato).

Non sono mai tornato alla Sagra del Peperone a Carmagnola, però. Ho paura che a rivedere tutte quelle casse di ortaggi e quei piccoli diavoli colorati mi passi tutta la fantasia di mangiarne ancora.

E poi, chi diamine li mangia dei peperoni viola?

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