Il Referendum spiegato da mia nonna

Breve storia familiare di come settant’anni fa l’Italia divenne una Repubblica

Eugenio Damasio
Iride Magazine
3 min readJun 2, 2016

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«Basta menarsela con ‘sta Repubblica! Non mi interessa e non la riconosco: lo san tutti che al referendum ha vinto la Monarchia!»

Quando mia nonna lo diceva a tavola per sedare l’ennesima discussione su una legge ad personam, il gelo più assoluto cadeva sui presenti. Dieci bocche urlanti tornavano a mangiare in silenzio. Perché si poteva anche essere in tanti ed essere rumorosi (e lo eravamo), ma sulla Monarchia, almeno fin quando era presente la nonna, non si scherzava.

Ogni volta che si avvicina il 2 giugno quindi, immancabilmente, queste parole iniziano a tornarmi alla mente, montando sempre più, un tarlo fastidioso. Mia nonna non era la sola a pensarla così.

Ogni volta che si avvicina il 2 giugno, infatti, e negli anni tondi di celebrazione come questo più che mai, quella che per mia nonna era una boutade utile a fermare il berciare di una famiglia troppo numerosa, diventa un’insinuazione difficile da arginare. Semplicemente googlando “Referendum Repubblica Monarchia”, infatti, si nota come tra i primi risultati disponibili ci siano link al portale dell’Unione Monarchici Italiani o a blog che titolano: “Aveva vinto la monarchia”. Il tarlo diventa sempre più insistente. Quando si va a ricostruire quelle giornate, poi, la cosa si fa estremamente confusa. Esattamente settanta anni fa tutti gli italiani con più di 21 anni, e per la prima volta anche le donne, ebbero la possibilità di recarsi alle urne per indicare una preferenza tra le due forme di governo e la composizione dell’Assemblea che avrebbe ratificato una nuova Costituzione post-bellica. Con una affluenza vicina al novanta per cento vennero espressi 23.437.143 voti validi di cui più di un milione di schede bianche. Per il conteggio ci vollero giorni e il risultato finale fu reso noto solamente il 18 giugno: la Repubblica aveva vinto con due milioni di voti di scarto.

Questa è la versione semplificata di alcune settimane di assoluta follia e incomprensioni in cui, in Italia, nessuno ci capì molto. Le pressioni internazionali fioccarono e se, da una parte, si iniziò a spargere la voce che nel caso di una vittoria monarchica Tito con le sue truppe comuniste sarebbe stato pronto a invadere il Nord-Est, dall’altra, a Napoli, dove la monarchia vinse con l’80% dei voti, ci furono vere e proprie rivolte di piazza culminate con la strage di via Medina di cui fu testimone addirittura Giorgio Napolitano (come racconta in questo recente intervento televisivo dal minuto 22) e in cui in nove persero la vita. Nel mezzo un conteggio fatto con mezzi di ogni sorta , una crisi del governo De Gasperi e accuse incrociate rispetto ai molti che non poterono votare. Il 2 giugno, infatti, tutti i prigionieri politici, i friulani e gli altoatesini non presero parte alle elezioni. In tutto ciò, come se non bastasse, in seguito a polemiche sul conteggio delle schede bianche o nulle ai fini del risultato finale, il re Umberto II prese un aereo per il Portogallo dichiarando “sciolti dal giuramento di fedeltà al Re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove”. Una situazione talmente intricata che, ancora oggi, nessuno può ricostruire con certezza gli avvenimenti di quei giorni né, tantomeno, riuscire a verificare con esattezza l’esito del referendum.

«Che poi il Re era tanto buono come lo era anche il Duce: l’unico problema che hanno avuto è di essersi messi con quel tedesco là»

era la formula con cui la nonna tendeva a chiudere il discorso e a spezzare il silenzio imbarazzato. Quando mi ricordo anche di queste parole, però, tutto torna a farsi chiaro. Il tarlo scompare.

Eugenio Damasio

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